Ancora

di
genere
dominazione

La cameriera del bar si era avvicinata con imbarazzo. Si ricordava evidentemente di noi. L’ultima volta che eravamo stati lì, avevo preso un dito di Angela e me l’ero messo in bocca, lei non aveva perso tempo, aveva trattato le mie labbra come poco dopo avrebbe fatto col mio ano, affondando il dito fino in fondo, entrando e uscendo. Allo sguardo interrogativo della cameriera, aveva esplicitato l’intenzione di fistarmi. Così la ragazza era scappata scandalizzata.
Ora eravamo di nuovo lì, più per caso che per qualche progetto, ma tutti e due avevamo riso sonoramente quando lei era venuta a prendere l’ordine. Angela aveva i suoi guanti in pelle corti, sfoderati, gli stivali di pelle nera a metà polpaccio, e una gonna non troppo corta ma morbida, uno spolverino copriva l’ampia scollatura della camicia bianca sul seno nudo, scendendo quasi al bordo degli stivali. Seduto accanto a lei, l’ammiravo nella sua piena bellezza, mentre lei sorrideva. Le accarezzai più volte le gambe, facendo scendere la mano tra le cosce, soprattutto quando la cameriera ci poteva vedere.
Bevemmo il nostro the, chiedemmo il conto e, dopo aver pagato, Angela le chiese a che ora finiva il turno. Lei arrossì, si fermò per almeno una decina di secondi, gli occhi al pavimento, quindi sussurrò “alle 23”. Angela le si avvicinò, con la mano guantata accarezzò il suo viso, piegandolo vero la propria bocca e la baciò lievemente: “A dopo”.
Alle 22:50 eravamo sulla panchina di fronte al bar, in una Verona deserta, la cameriera stava sistemando i tavoli e le sedie esterni. Lei ci aveva visti. Iniziammo a baciarci, Angela mi slacciò i pantaloni, aprì la cerniera lampo e prese tra le mani guantate il mio membro eretto. Si sedette su di me, alzando la gonna e scostando le sue mutande, madida di desiderio. Il pene scivolò dentro con dolcezza. Lei seduta su di me, io dentro di lei. I suoi fianchi ondeggiavano avanti e indietro sulle mie gambe, facendomi entrare e uscire. La cameriera ci stava guardando, le sedie le scivolarono di mano, cadendo rumorosamente sul selciato. Ci fermammo prima che venissi, la lasciammo terminare i suoi lavori, poi venne verso di noi, lenta, titubante. Ci alzammo in piedi e le andammo incontro. Angela si pose davanti e io dietro, la baciammo in contemporanea, lei sulla bocca, io sul collo.
“Lo vuoi?”, “Sì”.
Le nostre mani scivolarono sul suo corpo, ora una carezza, in altri momenti con forza: le spalle, i seni, le braccia, la schiena, le natiche… Lei non oppose nessuna resistenza, si abbandonò ai nostri tocchi, il corpo appoggiato a me o ad Angela. Venne in pochi minuti. Con passo ondeggiante, le gambe molli, ci seguì fino a casa. Entrata nell’appartamento la spogliammo, la portammo in doccia e la lavammo. Le mani insaponate scivolavano con cura su ogni centimetro della sua pelle, le nostre labbra attingevano alla sua bocca, ai suoi seni, alla sua vagina, con baci e morsi. L’asciugammo, indossati dei sottilissimi guanti in lattice, la cospargemmo di olio profumato. Dopo averla distesa sul letto, Angela si sedette sul suo viso, la vagina a coprirle la bocca, chiudendole il naso con le piccole mani di latex. Presi i suoi fianchi, li alzai e la assaporai ancora, spingendo la lingua dentro di lei, le morsi il clitoride facendola urlare. Ma la bocca era bloccata dal sesso di Angela, e il grido soffocava mentre lei si dimenava con forza. Liberata dalla morsa delle cosce della sua carnefice, ne chiese ancora, ancora morsi, ancora sete d’aria. La accontentammo fino al sangue, mente le mani di Angela iniziarono a esplorare le sue cavità. Gemeva, urlava, piangeva e chiedeva “Ancora”. La presi da dietro, credo la sua prima volta, entrando con forza, piegando il suo corpo al piacere, al suo come al mio. Le mie mani le premevano il seno, che diventava prima rosso, poi viola. Stringevo i capezzoli tra le dita, stringendo e rilasciando la sua tensione.
Una masochista pura, sottomessa e desiderosa, repressa prima, totalmente esposta ai nostri piaceri ora. Mai sazia. Il suo corpo fu più volte scosso da spasmi di piacere, uno di seguito all’altro, anche quando era segnato e livido.
Smettemmo dopo tre ore, oltre il limite dello sfinimento. Dormimmo uniti, tra i nostri umori e il sudore, con l’odore del suo sangue nelle narici. Dormimmo noi, stanchi delle fatiche. Dormì lei, martoriata e felice. Al mattino, una nuova doccia ci rese presentabili. Curammo le sue ferite e la riportammo a casa. Per qualche giorno non la rivedemmo al bar. Quando ci rivide, prima di chiederci cosa volessimo, disse solo “Ancora”.
scritto il
2025-11-04
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