Winnie the pooh guarda in disparte

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etero

Winnie the pooh guarda in disparte

Chiara non era solo “la vicina carina” che ti capita di incontrare in ascensore: era un concentrato vivente di erotismo mascherato da semplicità.
Sulla soglia della porta, con quella scusa innocente dello zucchero, sembrava invece consapevole in ogni dettaglio di come si stava mostrando.
Il vestitino cortissimo era leggerissimo, di quelli che appena il tessuto sfiora la pelle e già rischia di scivolare di lato. La stoffa aderiva sulle curve dei fianchi, lasciando intuire senza difficoltà la rotondità del culo sotto, e ogni suo minimo movimento faceva ballare l’orlo qualche centimetro più in su del necessario, come se fosse maliziosamente pronto a rivelare l’inguine.
Il seno, senza reggiseno a contenerlo, tendeva il tessuto con due punte decise, immediatamente visibili.
Chiara aveva un piglio irresistibile: occhioni blu cobalto che scintillavano di malizia, incorniciati da quel caschetto biondo tagliato netto, che le dava contemporaneamente l’aria di ragazzina disinvolta e di predatrice consapevole. C’era un sorriso appena accennato sulle labbra carnose, la curva di chi sa esattamente l’effetto che provoca e lo usa come un’arma.
Le gambe da sogno – lisce, sode – si intravedevano fin troppo generosamente sotto il vestito, e la postura che teneva, con un fianco appena spostato in avanti mentre reggeva la tazza, sembrava studiata apposta per metterle in mostra. Perfino la voce, quando aveva chiesto dello zucchero, era scesa un tono, suadente, insinuante.
Insomma, Chiara non bussava per davvero a mani vuote: bussava portandosi dietro quell’energia sessuale intensa, sfacciata, che impregnava l’aria appena entrava in una stanza.
Lui aprì la porta appena, rimanendo di lato, lo sguardo neutro.
«Ah… zucchero? Certo… vieni dentro» disse con tono pacato, quasi freddo, come se non avesse notato nulla di strano nell’abbigliamento microscopico di Chiara.
La fece passare, chinando appena il capo, e con un mezzo sorriso ironico aggiunse:
«Sai che così sembri più pronta per esibirti in un cabaret che per chiedere zucchero al vicino?»
La battuta uscì leggera, ma portava con sé il guizzo di complicità sotterranea.
Chiara – invece di rispondere subito – si lasciò cadere non sul divano, ma sul bracciolo, infilandosi tra la stoffa e il suo corpo come se fosse il posto più naturale. Accavallò lentamente le gambe lunghe e levigate, facendo scivolare il vestitino di lato, quel tanto da lasciare un bordo di coscia scoperta. Non disse niente, si limitò a passarsi una mano sui capelli biondi con finta distrazione, ma i suoi occhi blu cobalto lo trapassavano, eloquenti.
Lui intanto si mosse in cucina, svuotando goffamente un pensile, rovistando tra i barattoli con la calma di chi finge davvero di cercare zucchero. Ma il vetro della vetrinetta gli restituiva il riflesso perfetto della scena: Chiara inclinata di lato, il piede mosso a ritmo lento, le labbra che giocherellavano con un sorriso a metà, uno di quelli che ti chiedono di spogliarla con lo sguardo.
«Non so se zucchero ne ho…» mormorò lui, fingendo distrazione, ma lasciando che lo sguardo tradisse un istante di troppo nel riflesso.
Chiara accavallò di nuovo le gambe, un gesto teatrale e voluto, poi si mise comoda, portando la tazza contro le labbra come fosse un calice di champagne.
«Io posso anche farne a meno» disse, con voce bassissima, «ma chissà, magari il tuo me lo concedi…»
Il tutto sospeso in quell’atmosfera sottile, giocata sul filo dell’ambiguità. Lui che continuava a fare lo gnorri, puntiglioso nella sua buffa ricerca tra i barattoli, ma con un calore che gli montava addosso ad ogni sua posa.
Lei, invece, perfetta pin-up casalinga, lì a offrire uno spettacolo privato che sembrava fatto apposta per essere guardato di sottecchi.

---

L’acqua scrosciava sul suo corpo, bollente, come a sciogliere lo strato di tensione accumulata negli ultimi giorni. Si insaponava veloce, quasi meccanico, ma la mente non era lì. La mente era incollata a Chiara che, in quel momento, stava aspettando in salotto, seduta come una regina, col sorriso monello che finalmente aveva smesso di mascherare.
Quante volte si era immaginato quella scena? Lei che si presenta, maliziosa, un gesto apparentemente banale — chiedere zucchero, guardare un film, restare un po’ — e dietro ogni singola azione una promessa non detta. Ora, però, non era più solo sottinteso. Quella volta era un invito esplicito, nemmeno nascosto.
Si passò la mano sui capelli, l’acqua che gli scivolava giù sulle spalle forti, sul petto. Chiuse gli occhi.
Vide Chiara. I suoi venticinque anni, quel corpo asciutto che sembrava disegnato per far impazzire chiunque avesse abbastanza fantasia. Le gambe lunghe, lisce, che gli si erano scolpite in testa la prima volta che l’aveva vista con i jeans attillati. Le tette, non grandi ma perfette, rotonde, sode: due pesche mature che sembravano fatte per riempirgli le mani. E il culo… Dio, quel culo. Un mandolino che dondolava in ogni suo passo, con una naturalezza che bastava a farlo dannare. E il pensiero correva inevitabile a ciò che non aveva ancora visto: cosa si nascondeva tra quelle cosce, cosa significava prenderla davvero dopo un mese di languidi ammiccamenti.
Sentì lo spasmo crudele dell’eccitazione. Il suo cazzo si era drizzato quasi all’istante, appena l’immagine di lei gli aveva attraversato la mente. Gonfio, teso, pulsante sotto il getto caldo, come se fosse il segnale inequivocabile che non ne poteva più di attese. Sei mesi. Sei mesi senza una donna, senza una pelle diversa dalla sua. E ora c’era lei lì fuori, che sembrava pronta a offrirsi, lì nel suo salotto.
Inspirò a fondo per controllarsi, ma non servì: l’erezione restava ostinata, vibrante, come se il suo corpo avesse deciso al posto suo.
Spense l’acqua, il cuore che batteva forte come in un ring. Si passò l’asciugamano addosso in fretta, gocce che gli colavano sul petto e scivolavano lungo i fianchi. Un attimo davanti allo specchio: lo sguardo teso, gli occhi scintillanti di desiderio.
Annodò l’accappatoio, senza fretta, mantenendo la corda leggermente larga: non un caso, non in quel momento.
Si fermò davanti alla porta del bagno. Un istante sospeso. L’orecchio tese per captare qualche suo movimento nella stanza accanto.
Il battito del cuore accelerava. Avrebbe potuto respirare a lungo per calmarsi, ma non lo volle. Voleva rientrare in salotto con quell’erezione che ancora si faceva sentire sotto la stoffa leggera, voleva che lei percepisse quell’effetto, voleva vederle negli occhi la reazione.
La mano appoggiata sulla maniglia. Ancora un secondo. Il respiro corto.
Era tempo di scoprire se lei stava solo giocando, o se davvero aveva deciso di buttare sul tavolo tutte le carte.


Riaprì la porta del bagno . Ed eccola lì. Appena varcata la soglia, l’immagine lo travolse come un pugno nello stomaco.
Chiara era completamente nuda. Seduta sul divano, il corpo giovane e scolpito esposto senza vergogna alla luce morbida della stanza. Solo un piccolo cuscino a forma di Winnie the Pooh — ironico, infantile eppure tremendamente erotico per il contrasto — copriva la sua intimità. Le cosce erano leggermente divaricate, abbastanza da insinuare senza mostrare, mentre il resto… il resto era uno spettacolo senza filtri.
Quei seni, finalmente liberi, si muovevano al ritmo lento del suo respiro. Due rotondità perfette, che la pelle liscia e giovane rendeva ancora più invitanti. I capezzoli scuri e piccoli, tesi, puntati verso di lui come due piccoli fanali che lo chiamavano a sé. Il profumo fresco e dolce che emanava colpì le sue narici: non era più lo shampoo o il sapone, era lei, completamente lei, e quella fragranza lo mandò in tilt.
La tazza dello zucchero poggiata sul tavolino faceva quasi ridere: un oggetto banale, che in quel momento sembrava il vessillo innocente di quanto lei avesse programmato fin dall’inizio. I vestiti erano ammucchiati a terra, segno di una decisione appena presa e senza ripensamenti. La stava aspettando così, disinvolta, sicura, sorridente.
«Mi sono messa comoda, spero non ti dispiaccia», disse lei, inclinando la testa, con quel sorriso che un mese intero aveva acceso la sua fantasia.
Il fiato gli si mozzò in gola. Il tessuto dell’accappatoio tese immediatamente, tradito dall’erezione poderosa che cercava di farsi spazio sotto la stoffa leggera. Sparse silenzi e desiderio nell’aria, mentre lui si muoveva verso di lei quasi in trance.
«Credo che hai pensato bene», mormorò, sedendosi accanto a lei. Un brivido lo percorse: il calore del suo corpo lo investì appena sfiorò la distanza minima, con la pelle nuda a meno di un respiro dal suo braccio.
Lei lo guardò fissa negli occhi. «Allora, abbiamo finito con le frecciatine e i sorrisi ammiccanti?»
Un sorriso piegò le sue labbra. Lui sapeva già la risposta. Non ce ne sarebbe più stato bisogno.
«Direi che il passo successivo è baciarmi», sussurrò lei, e lo fece con la certezza di chi non ha alcun dubbio di essere desiderata fino al midollo.
Lui non esitò. Le mani alle sue guance, la bocca che si abbatté sulla sua con una fame che non lasciava spazio a esitazioni. Le labbra morbide di lei si aprirono subito, accogliendo la sua lingua in un intreccio caldo, vizioso, che sapeva di buono, di frutti tropicali e di promessa mantenuta. Un bacio che incendiava, che non lasciava più scampo a nessuno dei due.
Quando le loro bocche si staccarono, lei aveva gli occhi lucidi di brama e un respiro corto, vibrante. Non perse un secondo. Spostò via il cuscino di Winnie the Pooh, in un gesto teatrale e sensuale al tempo stesso, lasciando che la sua intimità si rivelasse in tutta la sua perfezione. Un taglio netto e armonioso, un invito carnale che sembrava scolpito da mani divine. Nessun velo, nessuna barriera, solo desiderio puro e sfacciato.
La voce di lei, roca, decisa: «Togliti l’accappatoio e prendimi qui sul divano.»
Fu un ordine, e lui non necessitava mai di sentirsi ripetere gli ordini due volte. Con un gesto rapido, lasciò cadere l’accappatoio a terra. Il suo corpo nudo apparve imponente, forte, e il sesso eretto e vibrante fu come un colpo negli occhi di lei. Gonfio, pulsante, spingeva verso di lei con una violenza primordiale.
Chiara inspirò forte, socchiuse gli occhi come se stesse già assaporando l’istante successivo. Lui si chinò, lasciando che le labbra risalissero sul suo collo, che i baci si trasformassero in morsi lievi sulla pelle candida, la lingua che si avventava già sui capezzoli piccoli ed eretti che sembravano aspettarlo da sempre. Le mani di lui scivolarono impazienti sulle sue cosce, aprendole, accarezzando l’interno caldo. Ogni centimetro era un fuoco vivo.
Non importava più nulla: non c’erano sorrisi da trattenere, non battute per coprire il desiderio. C’era solo l’istinto, l’urgenza di unirsi, la promessa che in quel momento sarebbe stata esaudita fino in fondo. Lui, pronto a divorare ogni parte di lei, e lei che lo voleva con una fame uguale e contraria.
Le mani di lui, già umide della pelle calda di Chiara, scivolarono tra le cosce spalancate, guidando il proprio sesso rigido e teso proprio contro il solco bagnato. Bastò sfiorarlo, la punta solo appena appoggiata alle labbra intime, e il corpo di lei sussultò, un fremito che partì dal bacino e si diffuse fino ai capezzoli duri, facendoli tremare.
«Ti voglio dentro… adesso», ansimò con voce incrinata dal desiderio.
Lui non la fece aspettare. Con un colpo netto, la spinse dentro di sé, affondando il glande gonfio tra le pieghe calde e strette, penetrandola tutta. La carne cedeva e stringeva insieme, un abbraccio vivo che lo avvolgeva e lo serrava dentro di lei come una morsa umida e calda.
Chiara gemette forte, buttando la testa all’indietro contro il divano, i capelli che si aprivano come un ventaglio, la bocca socchiusa a cercare ossigeno.
Il cazzo dentro di lei la riempiva fino al limite, spalancando ogni fibra, costringendo il suo corpo a vibrare, a muoversi contro di lui in una danza selvaggia.
Ogni affondo era uno schianto di bacini che si scontravano, il suono bagnato e viscerale della penetrazione riempiva la stanza, mischiato ai sospiri e ai gemiti che diventavano sempre più disperati.
Lui la prendeva con forza, afferrandole i fianchi e tirandola a sé, mentre il cazzo scivolava e affondava, trovando sempre il fondo più profondo, ogni volta più dentro, ogni volta più selvaggio.
E i seni di lei balzavano ad ogni colpo, oscillando e schioccando tra le mani e la bocca di lui: morsi sui capezzoli, succhiate voraci, mentre lei graffiava la sua schiena con le unghie, lasciando segni rossi come ferite d’amore.
«Più forte… fammi tua… fammelo sentire tutto», quasi gridò, e lui obbedì, accelerando il ritmo, i colpi sempre più violenti, sempre più veloci. Le cosce di Chiara tremavano, i muscoli interni si contraevano attorno al cazzo, stringendolo, massaggiandolo in un ritmo naturale che lo faceva quasi esplodere.
Il divano oscillava sotto di loro, il cuscino di Winnie the Pooh ormai calpestato a terra, ridotto a simbolo innocente e ridicolo di un amplesso che invece stava diventando animale, carnale, primordiale.
Le spinte diventavano più corte, più frenetiche: lui stava cedendo al richiamo della carne, mentre lei urlava già, un orgasmo improvviso che esplodeva dal profondo, dalle viscere fino alla gola. Il corpo di Chiara si irrigidì, poi tremò a scosse, le pareti vaginali che lo spremettero senza pietà, un’ondata di calore umido che lo inondò tutto.
Lui resse ancora, colpito da quella stretta, resistette dentro quelle contrazioni che lo massaggiavano, lo strofinavano da ogni lato. Poi non poté più trattenersi: il bacino si proiettò in avanti, spinse fino al limite, restando incollato contro il suo corpo, e l’eiaculazione esplose, potente, pulsante, getti caldissimi che si riversarono profondi dentro di lei.
I loro gridolini e ansimi si mescolavano al suono viscerale del seme che si spandeva in lei, un fiotto dopo l’altro, e Chiara nel frattempo sbarrava gli occhi, godendo di quella sensazione di venir riempita fino a traboccare. La miscela dei loro umori — il suo liquido caldo e abbondante, e lo sperma denso di lui — colava a poco a poco, scivolando lento lungo le cosce, sporchi e indissolubilmente legati.
Infine, esausto, crollò accanto a lei sul divano. Il cazzo scivolò fuori piano piano, grondante della miscela biancastra che usciva a filo dalle labbra gonfie e arrossate di Chiara. Entrambi ansimavano, sudati, ma le loro mani si cercarono comunque: la sua che le accarezzava i capelli, le dita di lei che disegnavano linee leggere sul suo petto stillante di sudore.

Un bacio lento e tenero suggellò quell’orgia improvvisa, mentre Winnie the Pooh li guardava dall’angolo del tappeto, ridicolo e complice.


scritto il
2025-08-26
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