C'è una luce che non si spegne mai

di
genere
sentimentali

“Ora dovete solo aspettare, non c’è altro che possiate fare!”

La coppia si strinse, ascoltando le parole del primario, in piedi davanti al loro, dietro di lui la porta del reparto di terapia intensiva.
La donna pianse in maniera sommessa ma controllata, lui restò apparentemente impassibile, dandole dei baci sulla testa per cercare di consolarla.

“Andate a casa, riposatevi, non serve a nessuno che voi restiate qui, ok? E cercate di dormire, andate a letto, sarà un giorno pesante, domani.”
L’uomo fece un cenno di assenso con la testa, il primario scomparì dietro le porte tagliafuoco, che si chiusero con un pesante scatto.
La coppia restò sola nella sala d’attesa. Notte fonda. Lui che continuava a consolare la compagna china sulla sua spalla, stringendola al suo fianco, carezzandole il viso.

Quando le lacrime sembravano esaurite, lei alzò lo sguardo e lo fissò: “Tu mi devi parlare, mi devi dire come stai, non mi parli mai di come ti senta!”
“Non è vero…”
“E’ vero invece, mi tratti sempre come se dovessi difendermi, come se fossi io quella debole. Ma io non sono debole e tu devi parlarmi!”
“Ma se mi sembra che non facciamo altro…”
“Io spesso mi giro e ti vedo in silenzio. E non so cosa pensi. Né come ti senti!”
Un sospiro. “Insomma… partecipiamo a gruppi famiglia, facciamo terapia di coppia: non mi sembra che mi risparmi in quei momenti, sono sempre io a parlare!”
“Sì, ma quando siamo soli noi due spesso mi rendo conto di non sapere cosa pensi. Non devi proteggermi. Hai detto che hai bisogno di sentirti accolto… ma neanche tu sai come spiegare di cosa tu abbia veramente bisogno!”
“Se sto in silenzio, non significa che ti stia nascondendo qualcosa. Come vivo questa situazione, la sofferenza che si porta non te l’ho mai nascosta.”
“E allora a cosa pensi quando non parli? Cosa vorresti da me quando te ne stai muto?”
“Se non parlo è perché non voglio parlare, perché, in mezzo a tanto dolore quotidiano, forse avrei bisogno di qualcos’altro invece che di continuare a rimestare in questa miseria!”
“Ma cosa è che vorresti da me? Che parole vorresti che ti dicessi? Come potrei farti sentire accolto?”
Lui la fissò esasperato.

“Te l’ho detto mille volte, te lo dico da sempre, perché non mi ascolti? Forse non ho bisogno delle stesse cose di cui hai bisogno tu! Forse vivo questo in una maniera diversa da come la vivi tu. E c’è altro che desidero disperatamente, perché sono stufo di tutta questa sofferenza, vorrei solo che fossimo felici e leggeri e cazzari, ogni tanto…”
Una pausa, si guardarono ancora, gli occhi umidi.
“Sono stanco di tanto dolore. Ho bisogno di spegnere il cervello, ho bisogno di non pensare. Lo sai di cosa ho bisogno…”

Lei lo guardò ancora, guardò i suoi occhi castani che d’estate viravano sul verde, dietro gli occhiali.
E piano piano capì.
E gli accarezzò una guancia.
Lui restò inerme, quasi esausto.
E finalmente lei ruppe il silenzio.

“Sei il mio porco…. Il più porco che abbia mai avuto…”
“…mah… mi è sempre sembrata così strana ‘sta cosa.” Rispose lui con voce neutra e poco convinta “Io il più porco? Ma se sono un compassato commercialista di Roma Nord un po’ radical chic”
“Non c’entra nulla, sei un porco.”
“Più del tizio con cui ti dedicavi al sadomaso?”
“Yes, indeed!”
“Please elaborate”
“Perchè ok le corde, le sberle e quello che vuoi, ma tu me la lecchi mentre faccio pipì…”
Il suo sguardo si sciolse in quello di lei.

“… e anche quando ho il ciclo…”
“Perché ti amo, tutta”
“E mi infili bene un pugno dentro… e mi masturbi col vibratore… e mi hai conquistata ficcandomi le dita dentro la prima volta che facemmo sesso nel bagno di quel bar tanto tempo fa!”
“…tesoro…”
“E voglio infilarti la lingua nel buco del culo, e mi ci hai già fatto mettere un dito…”
“E io te ne ho infilate 5. E mi spiace che tu non abbia potuto goderti lo spettacolo, che manco un video ti ho fatto.”
“Ecco: devo ancora dirti perché sei il mio porco?”

Lui si sentì finalmente compreso. Perché non c’era sempre bisogno di parlare dei propri sentimenti, non c’era sempre bisogno di raccontarsi le sofferenze che stavano passando, non c’era sempre bisogno di replicare l’ennesimo percorso di analisi che era certo stato di aiuto in tanti momenti.
In quel momento lui aveva solo bisogno di portare la mente altrove, che il suo corpo e la sua volontà, tutto il suo tutto essere e tutto il suo tempo erano stati presenti, troppo presenti, esposti ad avvenimenti che non avevano messo in conto di vivere quando si erano immaginati assieme, quando tutto era cominciato.
Aveva il diritto di non essere lì. In quel momento.

“E mi hai fatto squirtare tre volte di fila quella notte”
“Cazzo quanto mi manca!”
“Facciamo che manca ad entrambi, va…”
“Deal… e adesso ho solo bisogno di una cosa. Voglio spegnere la testa. Vorrei dormire per sempre. Voglio morire.”
“So io come farti morire.”

Lui la guardò con un fremito. E sentì qualcosa laggiù risvegliarsi finalmente.
Lei se ne accorse, e fece scivolare la mano in basso per aggrapparsi alla sua erezione.

“Andiamo a casa, mi siederò sulla tua faccia, e ti soffocherò con la mia fica finché non svieni!”
“No. Soffocami fino a farmi morire. Pacificami. Che morire sotto di te sarà una maniera celestiale per morire”
Stavolta fu lei a carezzare il suo viso, una mano sulla guancia, osservandolo da dietro gli occhiali.

“Andiamo a casa, amore. Come ha detto il dottore. Che io sia incazzata o meno per i tuoi mutismi, c’è qualcosa di molto importante che dobbiamo fare il più presto possibile.”
“Cos’è?”
“Scopare”
scritto il
2025-08-07
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