Lezioni fuori orario

di
genere
etero

Il bar della scuola era quasi vuoto, in quell’ora sospesa tra la fine delle lezioni e l’inizio della sera. Il professor Leone era seduto in un angolo, con un caffè dimenticato accanto e un fascicolo di diritto aperto davanti. Ma i suoi occhi, di tanto in tanto, si staccavano dal testo per perdersi nel vuoto. Da settimane qualcosa gli bruciava dentro, qualcosa che aveva tentato di ignorare con tutto sé stesso.

Quando la vide entrare, gli si bloccò il respiro.

Lucia. Non era più una sua studentessa. Era uscita da quel ruolo da mesi, ormai maggiorenne, diplomata, libera. Ma nei suoi occhi c’era ancora la stessa sfida di un tempo. Quel misto di innocenza e provocazione che lo aveva sempre fatto vacillare dietro la sua facciata da docente integerrimo.

Camminava verso di lui con passo sicuro, un vestito corto color panna che ondeggiava appena sulle cosce, gambe lunghe, pelle calda di sole. Quando si avvicinò, lui percepì subito il profumo: vaniglia e qualcosa di più intenso. Qualcosa di pericoloso.

«Professore...» disse con voce morbida, accarezzando la "r" come fosse una promessa.

«Lucia...» rispose lui, la voce più roca del previsto.

Lei si sedette senza chiedere. Accavallò lentamente le gambe, facendo scivolare l'orlo del vestito ancora più in alto. Lui seguì quel movimento con lo sguardo solo per un attimo, ma lei se ne accorse.

«Non mi mancano le sue lezioni... ma lei, sì.»

Le parole caddero sul tavolo come una sfida.

«Sai che quello che stai facendo è... molto pericoloso?»

«Mi piacciono i pericoli,» sussurrò lei, mordendosi il labbro inferiore.

Lui non rispose subito. Sentiva il cuore battergli contro le costole. Avrebbe dovuto alzarsi, lasciare il bar, ignorarla. Ma era mesi che sognava la sua pelle. Mesi che si immaginava le sue labbra sulle sue. E ora lei era lì. Reale. Provocante. Disponibile.

Non ricordava nemmeno come fossero arrivati a casa sua. Forse aveva guidato lui, forse lei. Forse era stato il desiderio a trascinarli. Appena chiusero la porta dietro le spalle, si baciarono.

Fu un bacio ruvido, profondo, famelico. Le sue mani le afferrarono i fianchi, poi la schiena, poi il sedere. La sollevò quasi, premendola contro il muro. Lucia lo baciava come se fosse sete, e lui era acqua bollente. Le mani di lei gli slacciavano la cintura, le dita già dentro i pantaloni, a stringere il suo sesso che si stava gonfiando da minuti, pronto da troppo tempo.

La sua bocca scese lungo il collo di lei, aprendole piano il vestito. Non aveva reggiseno. I suoi seni erano pieni, sodi, con capezzoli già duri che premettero contro il petto di lui.

Le si inginocchiò davanti, in mezzo al salotto, e le sollevò la gamba destra sulla spalla. Con le dita le spostò lo slip di lato e le leccò piano la piega interna della coscia, poi la aprì del tutto e affondò la lingua tra le sue labbra calde e bagnate. Lucia ansimò, gli affondò le mani nei capelli, muovendo il bacino contro il suo viso.

«Dio…» sussurrò, «…quanto l’ho desiderato.»

Lui la fece gemere a lungo con la lingua e con due dita dentro di lei, lente, profonde, mentre la guardava negli occhi.

Poi si alzarono e continuarono sul divano. Lei cavalcò lui, nuda, i seni che si muovevano al ritmo dei suoi fianchi, le sue unghie che gli graffiavano il petto, mentre lui la prendeva per i fianchi e la guidava sempre più forte, più in profondità, gemendo insieme fino a esplodere insieme, con un grido strozzato che riempì la stanza.

Non era abbastanza.

Lo fecero di nuovo in cucina, lei piegata sul tavolo con le braccia tese, lui dietro, afferrandole i capelli, mordendole la schiena, sussurrandole frasi sporche all’orecchio.

Poi in bagno, sotto la doccia, le mani scivolose e le bocche assetate. Lei si inginocchiò e lo prese in bocca lentamente, guardandolo dal basso con occhi pieni di malizia. Lui la lasciò fare, accarezzandole i capelli con dolcezza e tensione, trattenendosi con fatica fino a spingerla contro il vetro appannato e prenderla ancora, questa volta più piano, ma senza tregua.

Erano distesi sul letto, nudi, sudati, con il cuore che ancora batteva forte, quando lei gli sussurrò:

«Lo sa qual era la mia vera fantasia?»

Lui la guardò, mezzo sorriso sulle labbra.

«Dimmi.»

«Farlo lì. In aula. Sulla cattedra. Dietro la porta chiusa. Con l’eco dei miei gemiti che si confonde con quelli dei ricordi.»

Lui non disse niente. Si alzò. Prese la giacca. Le porse la sua camicia.

«Andiamo.»

LA SCUOLA

La scuola, di sera, sembrava un altro mondo.
L’ingresso era buio, silenzioso. Nessun bidello. Nessun collega. Solo il rumore dei passi attutiti, l’odore di detersivo e carta vecchia. E il battito accelerato del cuore di Lucia, mentre seguiva il professore lungo il corridoio che una volta conosceva a memoria.

Non dicevano nulla. Lui camminava davanti, deciso, con le chiavi già in mano. Lucia si sentiva come in un sogno sporco e perfetto. Un brivido le saliva lungo la schiena: eccitazione, timore, desiderio.

Quando arrivarono davanti alla porta della 3ªD, quella dove un tempo sedeva in quarta fila con la testa piena di fantasie, lui si voltò.

«Dentro,» disse soltanto.

L’aula era immersa nella penombra. I banchi allineati, la cattedra vuota. Era tutto come allora — ma completamente diverso.

Lucia si avvicinò al legno liscio della scrivania.
«Qui sopra… quante volte ho immaginato di farmi prendere da lei, mentre spiegava.»

«Togliti le mutandine.»

Lei obbedì, lentamente. Se le sfilò sotto la gonna e le lasciò cadere a terra.
Lui si avvicinò, la fece girare e la spinse con dolcezza contro la cattedra, piegandole il busto in avanti.

Con un gesto deciso, le sollevò la gonna e la scoprì del tutto.
La osservò da dietro, le cosce appena divaricate, il sesso gonfio e umido.
Ci passò le dita, lentamente, poi la colpì una volta con il palmo aperto. Non forte. Solo abbastanza da farla ansimare.

«Sei già bagnata. Sei venuta qui per questo, vero?»

«Sì…» sussurrò lei. «Prendimi…»

Lui sbottonò i pantaloni e liberò il suo sesso duro e teso.
Le aprì le gambe e la penetrò in un solo colpo, profondo, facendo sbattere il bacino contro la cattedra.
Lucia si aggrappò al bordo del legno e gemette forte, la voce che rimbalzava tra i muri dell’aula vuota.

Lui la prendeva con forza, ritmo sempre più intenso, i fianchi che sbattevano contro i suoi glutei.
Ogni spinta era una punizione, un premio, una lezione.

«È questo che volevi, Lucia? Farti scopare come una puttana nel posto dove facevi la brava ragazza?»

«Sì… sì, prof… più forte…»

Le tirò i capelli, la fece alzare in ginocchio sopra la cattedra.
Poi la sdraiò di schiena e la prese dall’alto, guardandola mentre la penetrava ancora più a fondo.
Lucia lo tirò a sé, gli morse il collo, lo baciò con foga, con rabbia, con desiderio.

Il legno scricchiolava. Una penna cadde a terra.
Lui la prese per le caviglie e le aprì completamente le gambe, spingendola fino al bordo, continuando a muoversi dentro di lei fino a farla tremare tutta.

«Voglio venire sulla tua bocca.»
Lei annuì, scese, si inginocchiò.
Gli prese il cazzo tra le labbra e lo succhiò con avidità, lingua calda e bagnata, occhi puntati nei suoi.
Lui le afferrò la testa e glielo diede tutto, fino in gola, fino a gemere forte e venire sulla lingua.

Lucia deglutì tutto. Poi si alzò, lo baciò ancora.
«Non abbiamo finito, vero?»
«Nemmeno per sogno.»

La porta dei bagni femminili cigolò mentre si chiudeva dietro di loro. L’odore di disinfettante e metallo arrugginito, le luci al neon tremolanti che gettavano ombre mobili sulle piastrelle fredde. Tutto era perfettamente sbagliato. E proprio per questo, irresistibile.

«Qui…?» disse Lucia, con un mezzo sorriso che tradiva la sua eccitazione.

Il professor Leone la guardò da dietro, già con la cintura slacciata e lo sguardo affamato.

«Ovunque. Ti voglio ovunque.»

Lucia si voltò e si appoggiò al lavandino, le mani strette sul bordo freddo. La camicia che indossava, ormai sbottonata, lasciava scoperti i seni tesi, con capezzoli duri che premevano contro il tessuto leggero. La gonna era sgualcita e maltrattata, macchiata dai segni della prima “lezione”.

Lui si avvicinò da dietro, le scostò i capelli dal collo e la baciò, piano all’inizio, poi con sempre maggior intensità.
Le mani esploravano la sua pelle con urgenza, con fame. Una le stringeva un seno, l’altra risaliva sotto la gonna, trovando il calore bagnato del suo sesso.

«Sei sempre pronta...» sussurrò all’orecchio, mentre le infilava due dita dentro, muovendole lentamente, a ritmo per prenderle il tempo.

Lucia ansimò e si piegò sul lavandino, i palmi sulle piastrelle fredde.
Lui si inginocchiò dietro di lei, aprendo le cosce con decisione e iniziando a leccarla con forza e precisione, la lingua che affondava tra le labbra calde, risalendo fino al clitoride, mentre le mani le stringevano i fianchi per trattenerla.

Lucia tremava, mordendosi le labbra per non urlare, ma era impossibile trattenersi.
Il suono della lingua del professore, il rumore dei suoi gemiti si mescolava all’eco delle tubature e alle gocce che cadevano dal rubinetto.

«Fammi venire… fammi venire ora…»
Lui accelerò il ritmo con la lingua e con due dita dentro, dritte e forti, fino a farla esplodere in un orgasmo che la piegò in avanti, il volto quasi affondato nello specchio appannato.

Appena si riprese, si voltò di scatto e si inginocchiò davanti a lui.
Gli abbassò i pantaloni e lo prese in bocca senza esitazione.
La sua lingua giocava con la punta, poi lo prendeva tutto, sempre più a fondo, più volte, mentre lui le afferrava i capelli e guidava il ritmo con respiro corto e corpo tremante.
I suoi occhi, fissi nei suoi, gli dicevano: Non fermarti.

Ma lui non resistette a lungo.

La tirò su, la sollevò di peso e la fece sedere sul lavandino, le gambe spalancate, i tacchi ancora ai piedi.
La penetrò con forza, tutto il suo sesso in un solo colpo, mentre lei lo stringeva con le gambe e lo graffiava sulla schiena.

Il lavandino scricchiolava, il rubinetto vibrava, e lui continuava a muoversi duro e profondo, fino a farla tremare ancora una volta tra le sue braccia.

Vennero insieme, forti, sudati, sporchi, perfetti.

Restarono un attimo in silenzio, respirando pesantemente.
Poi Lucia si leccò le labbra e sorrise, maliziosa:
«Quindi… dov’è la prossima lezione?»

Lui si sistemò i pantaloni e tirò fuori un mazzo di chiavi, con un sorriso feroce.
«Aula professori.»

«Oh, mi eccita già solo l’idea…»

L’aula professori era immersa in una penombra silenziosa, illuminata solo dal chiarore fioco dei lampioni fuori dalla finestra. I registri erano impilati ordinatamente sui tavoli, le sedie allineate come soldati in attesa, l’aria densa del profumo della carta e del caffè freddo. Un luogo di rigore e disciplina, che da quel momento non avrebbe più conosciuto calma.

Lucia entrò per prima, con la camicia bianca del professore sbottonata, che lasciava scivolare sulle sue spalle i capelli ancora umidi di sudore. Indossava solo quella, nulla sotto, e le gambe nude erano illuminate dalle luci gialle dei lampioni.

Lui chiuse la porta alle loro spalle, facendo scattare la serratura con un clic deciso. Si avvicinò lentamente, lo sguardo carico di desiderio e possesso.

«Sai che potremmo perdere tutto se qualcuno ci scoprisse qui?» le sussurrò con voce roca.

Lei sorrise, occhi scintillanti di malizia.
«Ne vale la pena, professore.»

Si sedette sul bordo della grande scrivania di legno, gambe incrociate, poi lentamente le aprì, mostrando tutta la sua pelle liscia e luminosa. Lui si inginocchiò davanti a lei, le mani che accarezzavano le cosce, risalendo lentamente fino a toccare la morbidezza del suo sesso.

La prese tra le dita con delicatezza, poi con decisione. Le sue labbra sfiorarono la pelle sottile, mentre la lingua giocava tra le pieghe più intime. Lucia gemeva piano, le dita affondavano nei capelli del professore, guidandolo, stimolandolo, facendolo impazzire.

Quando lui la prese in bocca, dolce e bramoso, il desiderio di lei esplose in tutto il corpo. Le mani di lui le strinsero i fianchi mentre lei si abbandonava, tremante e vibrante.

«Professore...» sussurrò con voce roca, «voglio sentirti dentro.»

Non servì altro.

Lui si alzò, la sollevò dalla scrivania e la adagiò di schiena, le gambe avvolte attorno a lui, il corpo teso e bramoso. Ogni suo movimento era deciso, ogni spinta una promessa di piacere puro.

Il suono dei loro gemiti si mescolava al fruscio delle pagine, al ticchettio dell’orologio, come a scandire il ritmo della loro passione proibita.

Lei gli graffiava la schiena, lui le accarezzava il viso tra un bacio e l’altro, mentre li prendeva ancora e ancora, senza sosta, senza freni.

Quando entrambi raggiunsero il culmine, fu come un’esplosione che li travolse, lasciandoli esausti eppure bramosi di più.

Sdraiati uno accanto all’altra sulla scrivania, respiravano affannosamente.
Lucia sorrise e sussurrò:
«Dove andiamo adesso, professore?»

Lui rise, tirandola a sé.
«Dove il desiderio ci porterà.»
Si stesero insieme sulla scrivania, i corpi intrecciati e il respiro ancora affannoso. Nel silenzio dell’aula professori, lontani da ogni regola e aspettativa, avevano trovato la loro piccola fuga proibita.

Lei poggiò la testa sul petto di lui, ascoltando il battito forte e regolare, mentre le dita sfioravano pigramente la pelle calda.

«Non importa cosa succederà domani,» mormorò lei, «questa notte è solo nostra.»

Lui le sorrise, baciandole la fronte con dolcezza e un pizzico di brama ancora accesa.

«Sempre,» rispose, «finché ci sarà questa complicità, ogni luogo potrà diventare la nostra aula.»

E mentre le luci si spegnevano, la scuola tornava al suo silenzio, ma per loro niente sarebbe stato più come prima.
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2025-07-27
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