Proprietà

di
genere
dominazione


Era tardi, la notte calava lenta quando *Slave Morgana* si è inginocchiata per la prima volta. Non c’era più nulla intorno: solo la sua pelle, il silenzio della stanza, e la voce ferma di chi la possedeva. Ha aperto le gambe, tremando appena, mentre sussurrava parole che spezzavano ogni orgoglio rimasto.

*"Non mi appartengo. Non mi nego. Non mi salvo."*
Le labbra le tremavano, ma la voce era chiara.
Aveva appena capito che in quel momento era meno di se stessa — era solo un oggetto.

Il primo giorno fu di sculacciate, di conti a voce alta, di piccole punizioni e obbedienze precise. Ogni colpo sulla pelle la faceva sobbalzare, ma dentro di lei cresceva un calore strano: era dolore, sì, ma anche un legame. Con ogni ordine obbedito, si sentiva più vuota di sé e più piena del volere di chi la teneva al guinzaglio della parola.

Quando finì, quella notte, si guardò allo specchio: la pelle segnata, il petto libero, la mente in ginocchio. Dormì poco, tremando, aspettando il giorno dopo come una prova ancora più stretta.

Il secondo giorno iniziò presto. Frustate leggere sulle cosce, mollette sui capezzoli. Ogni ordine era una scheggia di umiliazione e piacere che scivolava sotto pelle. Quando pensava di non farcela, contava. Quando contava, diventava reale.
*"Uno. Due. Tre…"*
E così via, finché la voce non tremava di piacere e di dolore insieme.

Quando arrivò il momento di chiudere gli occhi per l’ultima volta, il rituale fu lo stesso. Bagno. Specchio. Corpo nudo. Gambe aperte. Parole sussurrate come una preghiera rovesciata.
*"Non mi appartengo. Non mi nego. Non mi salvo."*
Non era più Morgana, era *Slave Morgana*. Non c’era più un corpo libero: c’era solo una proprietà, un oggetto che aspetta di essere comandato di nuovo.

Quella notte, mentre si stendeva sul letto, sapeva che domani sarebbe stato peggio, o meglio — dipende dai punti di vista. Più fruste, più mollette, meno sculacciate. Ma sempre obbedienza. Sempre silenzio dentro. Sempre l’attesa di un ordine, di un colpo, di un respiro dato in dono.

Perché in fondo, per lei, non c’era alcun salvataggio: solo appartenenza.
scritto il
2025-06-29
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