Hai paura del buio?

di
genere
etero

Ancora oggi, a volte mi sembra di sentire il rumore dei passi echeggiare nel silenzio del lungo corridoio che portava a quella stanza. Al ricordo riaffiora nelle mie narici l’odore di mobili nuovi e vecchie scartoffie, di disinfettante e inchiostro. Quando ci siamo incontrati svolgevo quell'incarico da un anno e mezzo, ma nonostante questo appena varcavo la soglia d'ingresso il mio battito cardiaco accelerava sempre un po’. Poi la giornata iniziava a scorrere e trascinava con se le ore in modo frenetico senza lasciarmi troppo tempo per pensare. Era un lunedì pomeriggio, quando per la prima volta incontrai Nicola.

- “Buonasera signor Nicola”.
- “Lei chi è, la segretaria? Dov’è il suo capo?”
- “Signor Nicola sono io il mio capo”
- “Mi state prendendo in giro? Cos’è uno scherzo?”

Ero abituata a certe scenate.

- “Cos’è che non la fa sentire a suo agio?”
- “Essere costretto in questo buco del cazzo con una sciacquetta come te, ecco cosa non mi fa sentire a mio agio!”
- “Purtroppo non abbiamo stanze più spaziose. E mi faccia capire, ha per caso qualche problema con le donne?”

Era il nostro primo incontro. In risposta a quella domanda vidi dentro al suo sguardo un moto di rabbia così intenso che ebbi la sensazione che sarebbe stato capace di uccidermi proprio lì e in pochissimi secondi. Ma prima di avere il tempo di prepararmi alla difesa improvvisamente, la sua espressione mutò, il volto rilassò la muscolatura e distese tutte le rughe del viso. Fece un giro su se stesso, afferrò la sedia e si accomodò a gambe divaricate, sfoggiando un sorriso composto. Fu come se una folata di vento avesse spazzato via la scena precedente.

- “Mi scusi se sono stato scortese, ho avuto una giornata alquanto movimentata.”

Piegò la testa indietro poi in avanti, intrecciando le dita nella folta capigliatura castana. Lo sentii sospirare forte con il volto nascosto tra le mani. Mi chiesi se stesse piangendo. Registrai nella mia mente il repentino cambio di stati d’animo che avevo avuto modo di osservare. E inevitabilmente ne rimasi affascinata.
Restai in silenzio, attesi, osservai il suo corpo, la postura, il ritmo del respiro che rapidamente tornò alla normalità. Iniziai con una piccola serie di domande. Il signor Nicola si mostrò abbastanza disponibile, mi raccontò la sua versione, i suoi pensieri, disse di essere stato vittima di un errore e che sicuramente se ne sarebbe andato entro pochi giorni.
Lo dicevano quasi tutti, appena arrivati.

Nei sei mesi successivi ci vedemmo con regolarità, una volta a settimana. Riuscimmo a stabilire un buon rapporto contraddistinto da rispetto, stima e fiducia reciproca. Durante i colloqui c'era spazio per le battute di spirito e per l'ironia, per la profondità e la leggerezza. A volte persino per una sottile tensione sessuale che permette di giocare senza alcun secondo fine e che consente di riapprezzare quella dimensione ludica, in certi contesti, spesso dimenticata. Nicola al di là delle problematiche, era una persona interessante, intelligente e sensibile, con una buona cultura ed era estremamente piacevole intrattenere conversazioni con lui. Il suo percorso stava procedendo bene.

Sembrava stesse andando tutto nel migliore dei modi quando a poco a poco il mio mondo iniziò a sgretolarsi. Se dovessi individuare il giorno dell'inizio della fine non ne sarei capace. L'aumento del carico lavorativo e la scoperta del tradimento del mio fidanzato sono state sicuramente due variabili importanti. Mi ritrovai sola e stanca. Non avevo voglia di uscire, avevo poco tempo libero, difficoltà ad incontrare i colleghi con cui solitamente mi confrontavo e la mia migliore amica, mia confidente più intima, in quel periodo doveva gestire la madre gravemente malata e una bambina nata da poco. Era un momento in cui la mia rete di protezione aveva maglie molto larghe ed io ero estremamente vulnerabile.
Un giorno alla fine di un colloquio Nicola mi disse:

"Mi dispiace molto per quello che sta passando. Vedo tutto il dolore che si tiene dentro. Quell'uomo è veramente un cretino, lo lasci perdere".

Non avevo raccontato a nessuno dei problemi che avevo nella vita privata e quando realizzai il significato di quelle parole, era già uscito dalla stanza. Era un uomo molto sensibile e attento, coglieva qualsiasi malumore, qualsiasi tensione. Se in quel periodo mi sentivo ignorata dal mondo esterno, lui era capace di notare ogni piccolo dettaglio, nel trucco, negli abiti, nell'aspetto e per quanto tentassi di rispondere in modo imparziale e distaccato, gradivo i suoi complimenti che finirono con il condizionare alcune piccole scelte. Mi affezionai a lui sempre di più, ero interessata, approfondii i suoi gusti musicali, guardai i film di cui parlava, lessi perfino i suoi libri preferiti. Era un ragazzo carismatico, sapeva quando essere diretto o delicato, mai una perdita di controllo, non vedevo incongruenze e commisi un errore gravissimo: persi completamente di vista il motivo per cui lui si trovava lì.

Accadde una sera di metà gennaio. Avevamo terminato il colloquio da dieci minuti, era tardi, la giornata lavorativa era conclusa, di lì a poco sarei dovuta tornare a casa. Mentre compilavo gli ultimi documenti, andò via la luce. Mi maledissi per non aver salvato il file, cercai lo smartphone per farmi luce e in quel momento realizzai di essere completamente al buio. La lampada di emergenza che avrebbe dovuto attivarsi automaticamente era spenta. Aprii la porta e osservai il corridoio: buio anch'esso. Solo in fondo si vedevano flebili luci provenire da altre stanze. Sentii delle urla, una voce maschile, grida strazianti, di dolore, vidi qualcuno in fondo al corridoio correre. Ero spaventata ma dovevo andare a controllare. Rientrai in ufficio, cercai i documenti con la torcia del cellulare, infilai tutto nella borsa alla rinfusa, avevo appena preso l’ultimo fascicolo quando sentii il “clunk” della porta che si richiudeva alle mie spalle. Trattenni il respiro. Lasciai cadere tutto sul tavolo e con il cuore in gola mi voltai, cercai di far luce per vedere se ci fosse qualcuno, mi tremavano le mani, non riuscivo a vedere bene, nello spostamento da una parete all’altra illuminai qualcosa. Tornai indietro e il piccolo fascio di luce inquadrò le gambe di un uomo. Per lo spavento urlai, mi cadde lo smartphone, cercai di scappare, mi sentii afferrare da dietro, mi ritrovai una mano sulla bocca. Urlai ancora ma la mano premeva così forte che non uscì altro che un sordo miagolio. Mi tenne stretta al petto, poi mi spinse contro la parete opposta.

Iniziai a respirare velocemente, troppo velocemente, la testa cominciò a girare.
Nonostante questo riconobbi il profumo. Inconfondibile. Forse, pensai, ho qualche possibilità di sopravvivere. Mi schiacciò con il corpo contro il muro, una mano sulla bocca, l’altro braccio stringeva forte bloccandomi gli arti. Iniziai a scalciare, colpii una gamba, mi schiacciò con ancora più forza, infilò un ginocchio tra le mie cosce e premette con tutto il peso del corpo contro di me facendomi allargare le gambe. Provai a divincolarmi ma senza ottenere alcun effetto. Ero intrappolata. Iniziai a piangere, mi sentivo spacciata. Ero in preda al panico.

"Ssssh... calmati, non piangere. Respira"

La sua voce profonda mi arrivò da dietro l’orecchio destro. Ricordo che rimasi sbalordita nel costatare che non aveva alcun segno di alterazione. Non stava facendo nessuna fatica per tenermi ferma.

"Calmati, respira più lentamente".
Aveva ragione, dovevo cercare di evitare l'iperventilazione. Provai a concentrarmi, cercai di rallentare, piano piano la testa smise di girare.

"Brava, ancora un po', così". Speravo che arrivasse qualcuno, dovevo solo resistere più tempo possibile, qualcuno sarebbe venuto a cercarmi. Da fuori sentivo arrivare un baccano terribile, doveva essere successo qualcosa di grave. Realizzai che se avessi urlato non mi avrebbe sentito nessuno. Sembrò mi avesse letto nel pensiero.

"Adesso ti toglierò la mano dalla bocca. Come puoi immaginare nessuno può in alcun modo sentirti, ma in ogni caso tu non urlerai".

Pensai che forse parlando avrei avuto qualche possibilità di farlo ragionare, dovevo recuperare la lucidità e il controllo di me. Allontanò la mano, rimasi in silenzio. Il corpo ancora attaccato al mio, non avevo alcun margine di movimento. Provai a incrociare il suo sguardo, volevo guardarlo negli occhi, vedere la sua espressione. Ma non ci riuscii.

"Perché mi fai questo?" la mia voce uscì sottile e tremolante.

Si avvicinò, percepii il suo respiro sul collo, mi sussurrò nell'orecchio come se qualcun altro potesse sentire:

"Perché ti voglio…".

Mi sentii morire.

"…avevo assolutamente bisogno di toccarti, sfiorarti, annusarti... ".

Il mio corpo era rigido e teso. Con la mano destra mi teneva bloccati i polsi, mentre faceva scorrere le dita della mano sinistra lungo il mio avambraccio scoperto. Mi appoggiò le labbra sul collo, sotto l’orecchio, mi baciò, mi succhiò lievemente.

“La tua pelle è fantastica, proprio come immaginavo”.

Scese lentamente strofinando le narici, potevo sentire il suo respiro sulla mia pelle nuda. Provai a scostarmi dal muro ma il suo corpo premeva contro il mio, duro e fermo come roccia. Passò la mano libera sopra la gonna, sollevò il tessuto fino a raggiungerne l'orlo, sentii le sue dita accarezzare il bordo delle autoreggenti.

"Mmmh Sara… le hai messe per me, confessalo!".

Cercai di rispondere facendo appello a tutto il mio autocontrollo.

"Ti stai giocando la libertà, tutta la tua vita non vale una violenza, rifletti! Sei una persona intelligente, non otterrai nulla comportandoti così".

Liberò l'altra sua mano lasciando andare le mie braccia ma continuando a premermi contro il muro.
“Alza le mani sopra la testa, appoggiale contro la parete. Non ti muovere, non fare cazzate, non provare a divincolarti o sarò costretto a stringere e potrei farti male”. Seguii le sue indicazioni. Sapevo che sul piano della forza fisica non avrei avuto alcuna possibilità.

“Cos’ hai intenzione di fare?”

"Stai tranquilla, io ti voglio bene, ti desidero... " sollevò ancora di più la gonna, sentii le sue mani sulla pelle, il suo respiro ora più corto, sulla guancia "... ma non ho alcuna intenzione di violentarti, non sono quel tipo di persona" spostò il tessuto fino a scoprirmi completamente i glutei. Percepii i suoi palmi caldi afferrarmi le natiche scoperte, stringerle, scostarle spingendole verso l’esterno.

"Smettila! Quello che stai facendo è a tutti gli effetti violenza!”.

"Rilassati e ammetti a te stessa che è quello che vuoi anche tu. So che mi desideri, ma capisco, hai troppe cose da perdere nel caso qualcuno lo venisse a sapere: per esempio il lavoro…”.
le sue labbra si posarono sul collo

“…la credibilità…” con la punta della lingua scese verso la spalla creando una scia umida

“…la dignità” spostò una mano sul fianco, insinuò le dita sotto l’elastico degli slip e lentamente le fece scorrere in avanti fermandosi sotto l’ombelico.

Riportò la bocca vicino al mio orecchio, sentii di nuovo il suo respiro entrarmi in testa. Ero confusa. Con voce bassa e graffiata mi confessò che il blackout era opera sua.

“Ho pensato a tutto, qui puoi stare tranquilla. Ho messo fuori uso le telecamere e ho istruito bene Gregorio. In cambio di un pacchetto di sigarette terrà tutti impegnati. Prima che vengano a cercarci passerà almeno mezzora. Non lo scoprirà nessuno, rimarrà il nostro piccolo segreto. Rilassati…”

Appoggiò il palmo della mano sopra i miei slip, si fermò sul monte di venere, applicò una decisa pressione con movimento rotatorio in corrispondenza del clitoride che sentii gradualmente irrigidirsi sotto le sue dita. Ridacchiò:

“Ti piace, vero?”

Cercai di serrare le cosce ma la sua gamba interposta me lo impediva. Non sembrava avere fretta, ogni movimento era lento, le carezze sicure e controllate. Il mio sistema stava rischiando un cortocircuito.

"Non è vero, dici cose senza senso!".

Ritrasse la mano, mi afferrò per le spalle e mi fece voltare, il suo viso a pochi centimetri dal mio. La flebile luce della torcia del cellulare mi permise di vedere i suoi occhi scuri, luccicanti, vivaci come non lo erano mai stati.

"Hai flirtato con me durante i colloqui, ricordi? Non sono stupido. Mi hai fatto gli occhi dolci, sei arrossita alle mie battute, hai giocato con certe allusioni…" mentre parlava iniziò a sbottonarmi la camicia senza togliere gli occhi dai miei "... sei così limpida, quello che pensi ti si legge in faccia dottoressa, potrei scommettere che in più di un'occasione hai fatto pensieri sporchi su di me".

Mi tornò in mente un episodio: lui stava descrivendo certe sue idee, camminando avanti e indietro per la stanza, io ero molto stanca e a un tratto mi pose una domanda che mi colse distratta. Per la precisione distratta ad osservargli il pacco. Al solo ricordo mi sentii avvampare. Per fortuna era troppo buio perché lo notasse.

"Anche se fosse, ciò non ti autorizza a trattarmi così!"

"Allora lo ammetti! Confessami le tue fantasie sono disposto a fare tutto quello che vuoi" così dicendo tornò a baciarmi sul collo, abbassando la camicetta e scoprendomi le spalle, strofinò lentamente il naso lungo la mia clavicola poi mi dette un piccolo morso. Un brivido mi scosse, deglutii.

"Mmmh che buon sapore che hai... non sai quanto ho aspettato questo momento".

"Ti denuncerò!"

Alzò la testa, inarcò le sopracciglia e con fare perplesso mi guardò fisso negli occhi per alcuni secondi. Sostenni il suo sguardo in silenzio.

"Sara potrei umiliarti, mi basterebbe infilare una mano tra le tue cosce, sono certo che ti troverei calda, aperta e molto molto bagnata. Ho un buon naso, posso sentire l'odore da qui".
Una nuova ondata di calore m’infiammò il volto.

"Non significherebbe niente, non cambierebbe in alcun modo il significato e la gravità del tuo comportamento!”.

"Davvero lo pensi? Se per te non cambia niente allora fammi sentire, sono impaziente di assaggiare il tuo sapore!".
Sorrise, fece scivolare i palmi sotto le mie natiche, mi sollevò schiacciandomi contro la sua erezione. Insinuò indice e medio sotto il tessuto, li sentii scorrere lentamente.
Da dietro scivolarono in avanti. Passarono nel solco tra i glutei. Accarezzarono l'ano.
Automaticamente ebbi una contrazione. Con un movimento brusco mi spostai quel tanto che bastò per far scivolare via la sua mano prima che proseguisse oltre.
Sghignazzò poi si avvicinò ancora di più arrivando a sfiorare le mie labbra con le sue.

"Sii seria, basta stronzate. Se davvero lo pensi, guardami negli occhi e dimmi che non ti va".

Avevo il fiato corto. Mantenni il contatto visivo ma rimasi in silenzio mentre la sua mano lasciò cadere la spallina del reggiseno. Era così vicino che l’aria che respirava mi entrava in bocca. Sentii i suoi polpastrelli sul mio seno, li ascoltai seguire il confine di pizzo, insinuarsi leggermente al di sotto di esso, premere per abbassare le coppe, sfiorando l'areola. Percepii un fremito lungo la schiena, deglutii un eccesso di saliva. Le sue dita raggiunsero il capezzolo, chiusi gli occhi quando sentii che lo stringeva tra pollice e indice. Avvertii le sue labbra sull’altro seno, il fiato caldo sfiorarmi, l’umidità della lingua pronta a succhiare… il tocco si spostò sui fianchi, infilò le mani sotto la gonna, sotto l’elastico degli slip, iniziò a farli scorrere lentamente verso il basso. Inspirai profondamente, riaprii gli occhi, intercettai immediatamente il suo sguardo, attento spettatore delle mie reazioni.

"Non voglio… Ti prego fermati!"

Si bloccò. Fece un lungo sospiro, passarono pochi secondi che mi parvero lunghissimi. Sentivo la testa pesante, il battito cardiaco mi rombava nelle orecchie, il respiro accelerò ancora. Troppo, era tutto troppo e troppo confuso, uno strano formicolio s’inerpicò su per le gambe, risalì le braccia, credetti di essere sul punto di svenire. Alzò una mano, non cercai nemmeno di proteggermi, la sentii schiantarsi contro il muro accanto allo zigomo. Sobbalzai, mi sembrò di aver riacquistato improvvisamente un po’di lucidità. Spinse il dito indice contro il mio petto.

“Bugiarda!”

Mi prese una mano, rapidamente se la portò all’inguine, stringendo il palmo attorno alla sua erezione ben definita sotto il pantalone sportivo. Sussultai, strinsi, forse più di quanto non facesse lui stesso.

“Sentilo! Senti quanto sono eccitato, senti quanta voglia ho di tirarmi giù i pantaloni e scoparti! E tu sei bagnata cazzo, muori dalla voglia di farti sbattere ma devi sempre mettere in mezzo il tuo fottuto orgoglio. Ti do un consiglio dottoressa, abbassa un po’ quella cazzo di asticella, perché è troppo in alto per te. Non sei così speciale come vorresti. Dovresti accettarlo, lasciar stare tutti quei paletti e quelle rigide regole che ti imponi ed essere solo te stessa. Vivresti molto meglio. Ma già lo sai vero? Già lo sai che rimpiangerai questo momento, che ti tormenterà, che non farai altro che pensarci e mi sognerai la notte e ti pentirai di non esserti lasciata andare, ti sentirai in colpa e non avrai neanche avuto la soddisfazione di esserti fatta una bella scopata con chi ti desidera davvero”.

Poi si allontanò. Uscì dalla stanza sbattendo la porta.
Mi sistemai gli abiti, riabbottonai la camicia, mi sentivo debole, spossata, le gambe mi tremavano, mi accovacciai a terra.

Pochi minuti dopo fui accecata dal potente fascio di luce di una torcia.
“Sara! Sara sta bene? C’è stato un blackout e abbiamo avuto problemi con un ospite”.
Con voce tremante risposi che sì, era tutto apposto.
“Venga con noi, qui fuori c’è un’ambulanza, Gregorio si è sentito male. Si faccia visitare, mi sembra pallida… ci racconterà dopo quello che è accaduto”.
scritto il
2024-09-30
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