Il regno del piacere 1.
di
AngelicaBella
genere
pulp
Capitolo 1: Il Conte Xavier e il Castello dei Sogni Impossibili
Nella profondità delle terre orientali, là dove i fiumi scorrono inversi e le montagne si piegano a capriccio dei venti, sorgeva un castello che sfidava ogni legge della natura. Il suo nome era l'Incubo di Giada, un nome che incuteva paura nei cuori dei più coraggiosi, ma che evocava anche un desiderio segreto nei loro pensieri più nascosti.
Il Conte Xavier, uomo di nobile stirpe e di ancor più nobili vizi, aveva ereditato quel castello da un oscuro zio morto in circostanze misteriose. Il maniero, con le sue torri contorte e i corridoi che sembravano non avere mai fine, era il rifugio perfetto per un uomo la cui fame di piacere non conosceva limiti.
Xavier non era uno che si accontentava delle gioie terrene che il mondo comune offriva. No, per lui il piacere era un'arte, una scienza da esplorare e perfezionare, e il suo castello era il laboratorio dove ogni desiderio, per quanto impensabile, poteva essere soddisfatto.
Ogni sera, il conte si ritirava nella sua camera da letto, un’enorme stanza adornata con tende di seta rosso sangue e specchi dorati che riflettevano ogni angolo di quel tempio del piacere. Al centro della stanza, un letto enorme, coperto di cuscini di piuma e stoffe pregiate, attendeva il suo padrone con l’impazienza di un amante tradito.
Ma quella sera, qualcosa di diverso riempiva l’aria. Xavier, vestito di un’elegante vestaglia di velluto nero, camminava lentamente verso la finestra, osservando il paesaggio notturno. Una luna piena e maliziosa brillava nel cielo, gettando una luce argentea sulle torri del castello e sulle foreste che lo circondavano. L’oscurità sembrava prendere vita sotto il suo sguardo, e per un attimo, Xavier sentì un fremito di eccitazione correre lungo la schiena.
Il conte sorrise, un sorriso che non prometteva nulla di buono. Si voltò e si diresse verso un grande specchio che occupava un’intera parete della stanza. Con un gesto leggero, aprì una porticina nascosta al lato dello specchio, rivelando una piccola stanza segreta. Al suo interno, c’era solo un tavolo su cui erano disposti vari strumenti – fruste, piume, maschere, e altri oggetti il cui uso era noto solo a pochi iniziati delle arti oscure del piacere.
Ma quella sera, Xavier non cercava gli strumenti. Invece, prese un piccolo libro dalla tasca della sua vestaglia. Era un volume antico, rilegato in cuoio nero, con il titolo scritto in una lingua ormai dimenticata. Lo aprì lentamente, le pagine ingiallite scricchiolavano sotto le sue dita. Gli occhi del conte brillavano mentre leggeva le parole che nessun altro avrebbe osato pronunciare.
Con un mormorio quasi impercettibile, Xavier iniziò a recitare l'incantesimo. Le parole uscivano dalle sue labbra come un veleno dolce, riempiendo l'aria della stanza con una strana energia. Le ombre danzavano sui muri, mentre un vento freddo iniziava a soffiare attraverso la stanza, nonostante le finestre fossero ben chiuse.
Poi, con un ultimo sussurro, il conte chiuse il libro. Per un momento, tutto fu silenzio. Xavier restò immobile, ascoltando il battito del suo cuore accelerato. E poi, all'improvviso, una risata – una risata che non era la sua – riempì la stanza.
Una figura apparve davanti a lui, una creatura di pura luce e ombra, la cui bellezza era così perfetta da sembrare irreale. I suoi occhi, due fiamme bluastre, fissavano Xavier con un'intensità che quasi lo bruciava. Il suo corpo, avvolto in vesti che sembravano fatte di nebbia, fluttuava leggero come un sogno.
"Sei tu, Xavier, che mi hai chiamata?" chiese la creatura, la sua voce un'eco lontana e dolce, che sembrava provenire da un altro mondo.
"Sei il mio incubo, il mio desiderio, la mia ossessione," rispose Xavier, il suo sorriso più largo e più oscuro che mai. "Sono io che ti ho chiamata, e sono io che ti comanderò."
La creatura si avvicinò lentamente, i suoi movimenti fluidi come acqua. Le sue mani si posarono sulle spalle del conte, e un brivido di piacere puro lo attraversò. Xavier chiuse gli occhi, lasciando che quella sensazione lo invadesse.
"Che cosa desideri, mio signore?" sussurrò la creatura, le sue labbra sfiorando l'orecchio del conte.
"Desidero tutto," rispose Xavier. "E tu me lo darai."
E così iniziò il loro gioco, un gioco di potere e piacere che avrebbe spinto Xavier oltre i confini del possibile, in un mondo dove ogni sogno, ogni fantasia, poteva diventare realtà.
Nella profondità delle terre orientali, là dove i fiumi scorrono inversi e le montagne si piegano a capriccio dei venti, sorgeva un castello che sfidava ogni legge della natura. Il suo nome era l'Incubo di Giada, un nome che incuteva paura nei cuori dei più coraggiosi, ma che evocava anche un desiderio segreto nei loro pensieri più nascosti.
Il Conte Xavier, uomo di nobile stirpe e di ancor più nobili vizi, aveva ereditato quel castello da un oscuro zio morto in circostanze misteriose. Il maniero, con le sue torri contorte e i corridoi che sembravano non avere mai fine, era il rifugio perfetto per un uomo la cui fame di piacere non conosceva limiti.
Xavier non era uno che si accontentava delle gioie terrene che il mondo comune offriva. No, per lui il piacere era un'arte, una scienza da esplorare e perfezionare, e il suo castello era il laboratorio dove ogni desiderio, per quanto impensabile, poteva essere soddisfatto.
Ogni sera, il conte si ritirava nella sua camera da letto, un’enorme stanza adornata con tende di seta rosso sangue e specchi dorati che riflettevano ogni angolo di quel tempio del piacere. Al centro della stanza, un letto enorme, coperto di cuscini di piuma e stoffe pregiate, attendeva il suo padrone con l’impazienza di un amante tradito.
Ma quella sera, qualcosa di diverso riempiva l’aria. Xavier, vestito di un’elegante vestaglia di velluto nero, camminava lentamente verso la finestra, osservando il paesaggio notturno. Una luna piena e maliziosa brillava nel cielo, gettando una luce argentea sulle torri del castello e sulle foreste che lo circondavano. L’oscurità sembrava prendere vita sotto il suo sguardo, e per un attimo, Xavier sentì un fremito di eccitazione correre lungo la schiena.
Il conte sorrise, un sorriso che non prometteva nulla di buono. Si voltò e si diresse verso un grande specchio che occupava un’intera parete della stanza. Con un gesto leggero, aprì una porticina nascosta al lato dello specchio, rivelando una piccola stanza segreta. Al suo interno, c’era solo un tavolo su cui erano disposti vari strumenti – fruste, piume, maschere, e altri oggetti il cui uso era noto solo a pochi iniziati delle arti oscure del piacere.
Ma quella sera, Xavier non cercava gli strumenti. Invece, prese un piccolo libro dalla tasca della sua vestaglia. Era un volume antico, rilegato in cuoio nero, con il titolo scritto in una lingua ormai dimenticata. Lo aprì lentamente, le pagine ingiallite scricchiolavano sotto le sue dita. Gli occhi del conte brillavano mentre leggeva le parole che nessun altro avrebbe osato pronunciare.
Con un mormorio quasi impercettibile, Xavier iniziò a recitare l'incantesimo. Le parole uscivano dalle sue labbra come un veleno dolce, riempiendo l'aria della stanza con una strana energia. Le ombre danzavano sui muri, mentre un vento freddo iniziava a soffiare attraverso la stanza, nonostante le finestre fossero ben chiuse.
Poi, con un ultimo sussurro, il conte chiuse il libro. Per un momento, tutto fu silenzio. Xavier restò immobile, ascoltando il battito del suo cuore accelerato. E poi, all'improvviso, una risata – una risata che non era la sua – riempì la stanza.
Una figura apparve davanti a lui, una creatura di pura luce e ombra, la cui bellezza era così perfetta da sembrare irreale. I suoi occhi, due fiamme bluastre, fissavano Xavier con un'intensità che quasi lo bruciava. Il suo corpo, avvolto in vesti che sembravano fatte di nebbia, fluttuava leggero come un sogno.
"Sei tu, Xavier, che mi hai chiamata?" chiese la creatura, la sua voce un'eco lontana e dolce, che sembrava provenire da un altro mondo.
"Sei il mio incubo, il mio desiderio, la mia ossessione," rispose Xavier, il suo sorriso più largo e più oscuro che mai. "Sono io che ti ho chiamata, e sono io che ti comanderò."
La creatura si avvicinò lentamente, i suoi movimenti fluidi come acqua. Le sue mani si posarono sulle spalle del conte, e un brivido di piacere puro lo attraversò. Xavier chiuse gli occhi, lasciando che quella sensazione lo invadesse.
"Che cosa desideri, mio signore?" sussurrò la creatura, le sue labbra sfiorando l'orecchio del conte.
"Desidero tutto," rispose Xavier. "E tu me lo darai."
E così iniziò il loro gioco, un gioco di potere e piacere che avrebbe spinto Xavier oltre i confini del possibile, in un mondo dove ogni sogno, ogni fantasia, poteva diventare realtà.
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