Racconti libertini 6

di
genere
bondage

Ginevra si svegliò che fuori stava già facendo buio.
La fatica della sera precedente e i numerosi orgasmi del mattino l’avevano stancata, ma ora con quelle ultime ore di sonno aveva recuperato e si sentiva pronta per nuove avventure.
Chiamò ad alta voce il cameriere che entrò mesto e con l’aria preoccupata.
Ginevra lo interrogò bruscamente e lo obbligò ad abbassarsi i pantaloni e a mostrargli il membro.
Ginevra annusò ed ebbe la conferma che il giovane aveva rispettato l’ordine che ella le aveva impartito di non darsi piacere.
Sorrise al giovane che a causa del tocco della sua mano aveva il fallo di nuovo duro e prese a masturbarlo.
L’eccitazione del giovane era tale che dopo pochi secondi eiaculò nella mano di Ginevra.
La ragazza annusò l’odore dello sperma del giovane e trovatolo buono si leccò la mano ingoiandolo.
Ginevra ordinò a Paolo di tirarsi su i pantaloni e di prepararle uno degli abiti da sera mentre lei si pettinava i lunghi capelli rossi.
Dieci minuti dopo Ginevra entrò nel salottino degli zii che stavano chiacchierando tra loro commentando gli articoli del giornale della sera.
Lo zio salutò distrattamente la nipote mentre la zia l’abbracciò con trasporto, affondando la testa fra i suoi capelli aspirandone il buon odore.
Bussarono alla porta. Era il capo della servitù che avvisava il padrone che tutto era pronto nella sala del castigo.
Ginevra pur vivendo con gli zii da qualche settimana non aveva mai sentito parlare della sala del castigo e chiese lumi alla zia. La donna non volle dare troppe spiegazioni alla nipote e le rispose che avrebbe presto capito.
I tre uscirono dal salottino e dopo aver percorso un lungo corridoio scesero per una lunga scala nelle cantine del palazzo.
Il piano interrato del palazzo era costituito da un lungo corridoio su cui affacciavano numerose stanze di piccole dimensioni chiuse con porte di legno dove si tenevano gli oggetti poco o per niente usati, qualche lampadario, dei materassi ed altre cianfrusaglie.
In fondo al corridoio v’era una stanza più grande e appena Ginevra vi entrò comprese che era la sala del castigo. Alle pareti erano fissate delle travi di legno da cui pendevano delle corde di diversa lunghezza e ogni due metri circa era sistemato un palo di grosse dimensioni. Nella parte alta ed in quella bassa di ogni palo vi erano fissati dei grossi anelli di metallo scuro. Al centro della stanza c’erano cinque pali di legno alti non più di un metro. Quattro formavano un quadrato ed il quinto era al centro e sopra di esso era fissata una tavola di legno quadrata non di grandi dimensioni ma di un certo spessore.
Ad una parete della stanza vi erano appesi numerosi attrezzi di ferro come pinze, forbici, coltelli e tenaglie e fruste e frustini di ogni genere e tipo.
Vi era infine un tavolo di legno lungo e largo dove erano appoggiati degli strani oggetti che Ginevra non aveva mia visto. Guardò la zia per cercare una spiegazione ma questa la rassicurò che presto avrebbe capito.
Ad un cenno dello zio entrarono nella stanza due servitori che portavano sollevata da terra per le ascelle Caterina la cameriera di Ginevra. La donna era completamente nuda e cercava inutilmente di divincolarsi dalla stretta dei due uomini.
Quando vide Ginevra scoppiò a piangere urlando e chiedendo perdono.
Ginevra era senza parole. Vedere la sua serva nuda e terrorizzata le metteva in corpo un languore sconosciuto, e sentiva forte il desiderio di infierire sulla donna, di punirla duramente e la cosa la eccitava così tanto da sentire i propri umori scendergli sulle cosce.
Gli uomini che tenevano ferma Caterina, aiutati da altri due servi posero la donna a pancia sotto sulla tavola quadrata e le legarono polsi e caviglie ai quattro pali intorno.
La donna si trovò così con le gambe divaricate mostrando a tutti i presenti il suo sesso grande e nero.
Lo zio chiese ad uno dei servitori di andare a chiamare tutti gli altri uomini e donne della casa affinché assistessero come di consuetudine alla punizione.
Quando tutti i servi furono riuniti nella grande stanza, lo zio chiese ad uno di questi di porgergli uno dei frustini neri appesi alla parete ed avutolo fra le mani cominciò a farne scioccare le punte brandendo l’aria.
Poi d’improvviso spostò il braccio in avanti e le punte della frusta invece di schioccare in aria colpirono le natiche nude della donna.
Caterina emise un grido di dolore che non impedì allo zio di continuare a colpirle le natiche e poi la schiena e le spalle e le gambe. Rivoli di sangue ora coprivano l’intero corpo della donna che piangeva e urlava di dolore.
Lo zio pur apparendo calmo e rilassato aveva la fronte imperlata di sudore e la moglie gliela asciugò con il fazzoletto che stringeva fra le mani.
Ginevra nel frattempo era rimasta muta. I suoi occhi seguivano la trattoria della frusta e si posavano sul corpo nudo della donna quando le punte la colpivano.
La vista di quel corpo martoriato le provocava un prurito lancinante in mezzo alle gambe. Avrebbe voluto toccarsi e godere mentre la serva urlava di dolore.
Si trattenne pensando che forse qualcosa ancora doveva accadere.
Infatti, dopo aver infierito con la frusta sul corpo della donna, lo zio si fece prendere dal tavolo un grosso cilindro fatto con una materiale molle ma allo stesso tempo duro.
La zia sussurrò all’orecchio della nipote che si trattava di un fallo di caucciù. Ginevra non aveva mai visto nulla di simile, ma quando vide che lo zio si avvicinava al sesso di Caterina comprese quali erano le sue intenzioni.
Continua
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scritto il
2024-07-02
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