La direttrice del carcere II

di
genere
saffico

Già alcune volte è venuta nel mio ufficio, con una scusa, perché la elogiassi nell’essersi particolarmente distinta nelle attività del carcere, o per ascoltare qualche sporadica sua richiesta. Ogni volta i suoi occhi si sono posati sui miei come assorti, distanti. Non aveva mai potuto incontrare la sua collega di crimine anche se aveva chiesto di poterlo fare.
"Vieni, accomodati” la invito gentilmente, mentre fingo di leggere nuovamente i documenti che la riguardano. La sento sedersi di fronte alla mia scrivania. Alzo di nuovo lo sguardo. E’ bellissima.
“Così è venuto il tempo del congedo.”
Lei accenna di sì con la testa abbassando lo sguardo per un attimo, come se se ne vergognasse.
“Spero che questi anni con noi, per quanto sicuramente spiacevoli, ti siano serviti per ripensare la tua esistenza. I corsi di cuoca che hai frequentato spero ti portino a trovare lavoro in fretta. Sai già dove andrai a dormire questa sera?”
Alza di nuovo lo sguardo: “A casa dei miei.”
“Credo che almeno temporaneamente avrai la possibilità di non pagare l’affitto. In seguito voglio sperare che potrai raggiungere una tua indipendenza. Tuo fratello quanto deve scontare ancora?”
“Altri due anni.”
“Spero che anche per lui cominci una vita lontano dal crimine.” Sento quanto siano retoriche le mie parole, come suonino false.
“L’assistente sociale del tuo quartiere è già informata di te. Potrai rivolgerti a lei in caso di bisogno." Veronica non risponde nulla, abbassa lo sguardo ancora una volta e annuisce. Non si aspetta altro da me che queste parole banali.
Non so più che dire per continuare la conversazione.
“Bene, allora ci salutiamo, le guardie ti accompagneranno a ricevere i tuoi effetti personali. Puoi andare.”
“Grazie” dice lei. Nell’alzarsi ha un ultimo sguardo verso di me, indecifrabile, poi si gira ed esce dalla stanza.
Ecco, è passata. Non la vedrò più, consegnata alla sua esistenza sventurata. Dovrei conferire con il rappresentante delle guardie per questioni sindacali, ma aspetto un poco per chiamarlo. Ho bisogno di rimanere sola ed ascoltare il mio cuore. C’è poco da fare, mi dico. Provo pena per la mia solitudine esistenziale, di cui non faccio cenno nemmeno ai miei familiari, alle persone amiche. Il mio segreto mi pesa ma non posso rivelarlo a nessuno. Faccio entrare la guardia.

L’indomani giungo al mio posto di lavoro verso le dieci. Si aprono i cancelli di fronte alla macchina, le guardie mi riconoscono e accedo al parcheggio interno. Salgo in ufficio.
“Dottoressa, c’è una visita per lei.”
“Ha l’appuntamento?”
“No, ha chiesto di vederla lo stesso”
“E’ urgente?”
“Non lo so dottoressa, certo è una persona un po’ particolare”
“Di chi si tratta?”
“E’ la detenuta liberata ieri. A detto che può aspettare. E’ giù alla guardiola.”
Ovviamente rimango stupita. Un caso del genere non mi era mai capitato. Di solito gli ex detenuti e le ex detenute si guardano bene dal farsi vivi, se non per rinnovate condanne.
“Fatela passare”
La segretaria esce per comunicare il mio permesso.
Rimango sola nell’ufficio a chiedermi cosa aveva portato quella donna a chiedere di rivedermi.
Sento i suoi passi avvicinarsi alla mia porta. Entra. Stavolta è accompagnata dalla segretaria. Porta un paio di jeans scoloriti e una felpa nuova. Al braccio ha una borsetta. Una collanina le adorna il collo. I capelli sono lavati di fresco e ha un filo di trucco.
“Permesso” fa riguardosa. Negli occhi un’ombra di smarrimento. Il suo viso non è più indifferente, pare quasi preoccupato.
La invito a sedersi. Ora quella seggiola spoglia davanti alla mia scrivania mi sembra inadeguata per una persona tornata alla dignità civile.
“Bene, come mai questa visita?”
La domanda pare disorientarla, anche se è ovvio che gliela faccia.
“Volevo…volevo vederla.”
“Ebbene sono qui.” Non so come metterla a proprio agio. Del resto neanch’io lo sono.
Ha un breve, timido e nervoso sorriso fatto solo con gli angoli delle labbra. I suoi occhi passano continuamente dai miei al pavimento.
“Dimmi pure cara, non aver paura. Sicuramente volevi dirmi qualcosa di importante.”
I suoi occhi si alzano di nuovo verso i mei.”
“Io pensavo…”
“Si?” La sua tensione cresce di fronte alle parole che non le escono dalla bocca. Poi all’improvviso si scioglie.
“Volevo chiederle aiuto.” Per quanto mi sia difficile, tengo lo sguardo fermo e così l’espressione del mio viso. Il mio cuore aumenta le pulsazioni. Che cosa vorrà, che cosa vorrà?
“Di che tipo di aiuto si tratta?”
“Ecco, io le sono grata per aver parlato di me all’assistente sociale, è una brava persona. Ma ecco…” si interrompe ancora, quel che ha da dire non vuole saperne di uscire.
Per la prima volta in vita mia la vedo arrossire, Non credevo che ne fosse capace. La sua indifferenza, il suo sguardo cauto sono spariti.
"Io vorrei che mi aiutasse a fare i primi passi nella nuova vita" dice in fretta.

Fine seconda puntata
di
scritto il
2023-11-15
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