Maria e quei favolosi anni '60 (II Parte)

Scritto da , il 2022-10-02, genere dominazione

4. Il primo aborto di Maria.

Maria rimase attonita quando cominciò a provare delle nausee sospette, e anche Paolo – che se la vedeva gironzolare per casa sua nuda – prese ad analizzare con maggior interesse il fatto che il suo seno stava aumentando di volume e si faceva via via più compatto, tutti segni premonitori che Alvaro aveva ottenuto il massimo dall’incontro con la donna.
Lo invitò immediatamente nello stesso luogo dove tutto era accaduto, e alla presenza di lei gli disse, sorridendo con ironia:
- “Congratulazioni!”.
Senza aggiungere altro, gli indicò con una mano la pancetta di Maria che segnalava l’avvenuto concepimento, e gli mostrò la dichiarazione – scritta e firmata – di una ostetrica di sua fiducia a cui si era rivolto: insomma, Maria era davvero incinta!

I due uomini brindarono con dell’ottimo vino, Paolo gettò nel fuoco del camino che era lì acceso appositamente il documento – onde cancellare ogni traccia – e alla fine Alvaro rivolse all’amico quella domanda che l’altro si aspettava:
- “Bene… E ora che si fa? Io non voglio impicci, e poi i patti erano chiari fin dall’inizio… Cerca di risolvere il problema, perché oltretutto così il suo valore scende, e di molto…”.

Quando Paolo restò solo, dopo essersi intrattenuto in un momento di riflessione in solitaria, chiamò a sé la femmina e le disse:
- “Maria, tu capisci che non puoi rimanere in questo stato, sia perché non saprei come giustificarlo con tuo marito, e sia perché mi servi libera e in piena forma…”.
A quelle parole così dure, la donna – che aveva capito benissimo le sue intenzioni e non si aspettava quella “soluzione” – si sentì mancare, non aspettandosi una richiesta del genere da chi si fidava ciecamente; lo guardò ad occhi spalancati, ma non seppe cosa rispondere tanto era rimasta colpita… Poi, però, facendo ricorso alla sua educazione religiosa, provò ad opporsi:
- “Ma come, Paolo… E’ una creatura… Dentro di me c’è una vita indifesa… Ti prego, anche se non l’ho voluta, ma adesso c’è…”.
Tuttavia la reazione del maschio non si fece attendere, e fu immediata e sprezzante:
- “Non farmi ridere! Tu sei pazza… Pensa a cosa ti succederebbe se Giovanni ti vedesse tornare incinta… Invece, io conosco una che ci può risolvere il problema in quattro e quattr’otto… Fidati… Non farà male, e tra non molto sarai di nuovo protagonista di una nuova asta! Mi pare che ti ecciti quando sei al centro delle attenzioni di tutti quei maschi… Su, vai di là e lascia fare a me…”.

Maria, vomitò dal disgusto, e Paolo non perse nemmeno un istante, alzò il telefono e chiamò l’ostetrica, una donna cinica che non si faceva scrupoli a interrompere gravidanze non volute… Attaccò:
- “Ciao Clelia… Ho un problema… Ho prestato la mia gallinella e me l’hanno ridata con un bell’ovetto dentro… Dovresti aiutarmi aaaaaa… Ci siamo capiti…”.
L’ostetrica, che da tempo era “al servizio” di Paolo, il quale le garantiva protezione e “benefit” vari, non lo fece nemmeno finire di parlare che rispose:
- “Tranquillo, è tutto ok, tu me la porti e io te la svuoto come vuoi tu… Poi, però, ci divertiamo io e te…”.
Questa era la prassi solita che i due seguivano, ma stavolta Paolo aveva bisogno della massima discrezione, e così la interruppe per chiarire meglio i termini della sua richiesta:
- “Clelia, ti ringrazio della tua disponibilità, come sempre, ma stavolta dovrai fare uno sforzo in più… Non posso rischiare di farmi vedere in giro con lei, e quindi dovresti venire tu da me… Facciamo tutto qui, e vedrai che saprò ricompensarti anche di questo…”.
L’ostetrica non battè ciglio, e la mattina stessa verso mezzogiorno era lì a bussare alla porta dell’uomo…

Intanto, Paolo aveva convinto Maria che quella era l’unica strada percorribile, e lei – mansueta e debole di carattere come sempre – si era lasciata persuadere, passando dall’incubo di essere rimasta incinta a quello di un aborto clandestino...
Il “gestore” della ragazza aveva accolto l’ostetrica in una stanza che per l’occasione era molto pulita e in ordine, e quando Maria la vide si tranquillizzò un poco, tanto le sembrò una persona affidabile e che sapeva cosa stava facendo.
La gravida, fu fatta stendere sul tavolo della cucina ricoperto di un semplice lenzuolo bianco, mentre Paolo, inesperto di quelle cose, domandò:
- “Le fai l’anestesia?”.
Ma Clelia, sicura di se come fosse un medico esperto ribattè:
- “No… Non è possibile, qui non ho tutto ciò che mi sarebbe stato necessario… Pensa se non si dovesse risvegliare… Meglio che soffra un pò, ma viva… Vorrà dire che se urlerà la sentiranno…”.
Poi, quella che si sarebbe rivelata una autentica “macellaia”, coadiuvata da Paolo, le serrò polsi e caviglie con una fune che legarono saldamente alle gambe del tavolo, per far sì che nel momento più cruento Maria non si muovesse. In particolare, le caviglie le furono strette in modo tale che le cosce stessero ben aperte…
Clelia cominciò a frugare dentro Maria come se cercasse qualcosa che si era perduta, mentre lei non riusciva nemmeno a urlare, non riusciva a chiedere aiuto, non riusciva a fare niente di niente…
Non ebbero nessun rispetto per Maria, per la sua persona e per il suo corpo, poiché da tempo le erano stati negati dignità e diritti: era solo un oggetto con cui a tutti era lecito divertirsi.
Stavano per costringerla a una pratica pericolosissima e dolorosa, con ferri non sterilizzati, lavati alla buona e messi ad asciugare in una bacinella… ma non c’era alternativa.

La giovane iniziava ad aver paura, chiusa in un vortice che la stava inghiottendo come il Triangolo delle Bermude, ma non ebbe il tempo di ragionare che Clelia intimò a Paolo:
- “Aiutami, dobbiamo depilarla, che così non si vede neanche la fessura…”.
E infatti, il boschetto sul monte di venere di quella fantastica creatura era sempre stato molto rigoglioso, e tutti coloro che ne avevano goduto ne erano sempre rimasti affascinati.
L’ostetrica iniziò a sfoltire con le forbici i peli a ciuffi, poi prese sapone e lametta, e – con mano ferma – disboscò a fondo la vulva, con Maria che era immobile e imbarazzatissima.
Finita l’operazione, Paolo ci passò sopra una salviettina inumidita per togliere i peli e il sapone residuo, e si accorse che dalla spacca sgorgava del fluido che indicava che la porcellina si era eccitata e il clitoride era completamente scappucciato.

Giunti a quel punto, non era il momento di tergiversare… Paolo la stava tenendo aperta come una cozza, mentre Clelia iniziò il lavoro che si sarebbe concluso solamente con l’estirpazione del “frutto della colpa”.
Introdusse lentamente tutte e cinque le dita di una mano in vagina, giusto per capire qual’era la situazione, tastò le pelvi con fare sicuro, e riuscì immediatamente da quella sacca calda e umida.
Poi, all’improvviso, comparve un rudimentale ferro da calza… Maria, che stava vedendo tutto, terrorizzata gridò:
- “Dio mio… Cosa mi volete fare?”.
Ma Clelia non prese in considerazione quell’interrogativo, e disse a Paolo:
- “Adesso tienila ben aperta, come se avessi un divaricatore al posto delle dita!”.
La fica di Maria si aprì, mostrando il suo interno fino al collo dell’utero, e allo stesso tempo Clelia vi introdusse il ferro…
Lo fece scendere dentro in modo da raggiungere l’utero vero e proprio, e lì prese a farlo roteare per procurarle il distacco della placenta e quindi l’aborto.
Tutto avvenne con la massima cautela, poiché se qualcosa fosse andato storto il rischio era quello di perforare l’utero… In poche parole, Maria avrebbe rischiato di morire dissanguata!
Per fortuna, tutto andò per il meglio, e dal suo ventre fu estratto un grumo di sostanza organica mista a sangue, e proprio in quel momento dagli occhi di Maria cominciarono ad uscire dei lacrimoni, accompagnati da un flebile bisbiglio:
- “Era il mio bambino…”.
Clelia fu pagata adeguatamente per ciò che aveva fatto, e la giovane rimase per un pò lì, supina a riprendere le forze…

5. Un dramma ininterrotto.

Gli aborti di Maria si susseguirono ad un ritmo incalzante, qualche volta rischiò anche per la propria vita, e così alla fine Paolo – non appena Maria rimase di nuovo gravida – si decise a rivolgersi a un vero medico compiacente di sua conoscenza.
Gli disse:
- “Devi aiutarmi… Non posso permettermi di mantenere i marmocchi di questa vacca… Cioè, se figlia chissà che idee si mette per la testa… E invece deve solo pensare a far divertire i miei amici… Ovvio che se mi fai questo piacere, non mancherà occasione per fartela provare…”.
Bruno, che era un uomo cinico e che per soldi era disposto a tutto, non mancò di aiutarlo:
- “Stai tranquillo, te la svuoto io la tua pollastrella…”.
E da allora conobbe le viscere della donna meglio di chiunque altro.

La femmina ormai sapeva bene quale fosse il suo destino non appena aveva un ritardo nelle mestruazioni, ma ogni volta il suo istinto materno la spingeva a supplicare Paolo, nella speranza di intenerirlo:
- “Ma perché? Perché vuoi uccidere questa creatura? Ti prometto che non cambierà nulla, non ti darà alcun fastidio, ma ti scongiuro non farlo!”.
Paolo, però, non si lasciava impietosire da quei mugugni, e la portava a quella sorta di “scannatoio” che – nonostante la tempra robusta – metteva il suo fisico a dura prova…
In una di queste occasioni, la accompagnò personalmente alla clinica del dott. Bruno, ma restò fuori. In fondo, non aveva nemmeno il coraggio di assumersi quella responsabilità fino in fondo…
Da lì in avanti, Maria sarebbe stata completamente sola, una solitudine fisica e morale. Si sentiva come una scrofa condotta all’ammazzatora, nessuno che le teneva la mano per rincuorarla, nessuno che ne potesse “raccogliere” gli sguardi.
Non aveva paura, quello no, era “soltanto” rattristata per ciò che poteva essere e non sarebbe stato mai…
Quando la sistemarono sul lettino, la spogliarono integralmente, tanto che messo a nudo quel corpo sembrò ancora più indifeso.
Ancora una volta, le rasarono il suo bel monte di venere che era uno spettacolo solo a guardarlo, ma che così glabro la faceva apparire ancor più giovane.
Infine, le bloccarono le braccia, e le divaricarono le gambe per poi fermarle le caviglie con dei lacci di cuoio.
Nel frattempo lei – disse poi Bruno – sorprendentemente sorrideva…
Espletati questi “preliminari”, il medico – che era il degno sodale di Paolo – incurante di ciò che la donna poteva provare la guardò e le disse:
- “Bene… Vediamo cosa si può fare… Rilassati, e io ti libererò di questo ovetto…”.
Iniziò quindi con la pulizia interna e quindi le praticò l’anestesia locale…
Maria, vedeva ogni cosa e ogni manovra, e tutti gli operatori che si muovevano attorno al suo corpo, e nonostante il suo silenzio ciò dovette essere terribile nel suo animo…
Una piccola smorfia di dolore la ebbe solo quando l’ago penetrò nell’utero, ma
anestetizzato l’organo tutto filò liscio e potè iniziare l’intervento vero e proprio…
A quel punto, il medico – che si era sistemato comodo in mezzo alle sue gambe – accese la “macchina della morte”.
Era una specie di aspiratore, una cannula metallica grossa quanto un mignolo e lunga una trentina di centimetri, collegata ad un tubicino in gomma che a sua volta terminava in un serbatoio.
La cannula, poi, le venne introdotta profondamente dentro l’utero, e poco dopo prese a vibrare, e Maria inarcò la schiena non potendo fare altro, immobilizzata com’era.
Quel suono divenne sempre più cupo, e a un certo punto nel tubicino cominciò a fluire un liquido che da giallastro diventò rapidamente rosso sangue, poi rosso più cupo e denso di materiale che altro non era se non ciò che sarebbe potuto essere il suo bimbo, e infine ridiventò rosso sangue…
La donna era consapevole che, terminato l’intervento, ciò sarebbe stato “scaricato”, ed ebbe un tuffo al cuore, una tortura morale atroce!

Come le aveva detto il medico, tutto si consumò in breve, e la femmina non ebbe neanche il tempo di realizzare a pieno che la fecero rivestire e la “riconsegnarono” al “legittimo proprietario”.
Chissà anche questi aborti a ripetizione influirono pesantemente sulla sua fine prematura…

6. Variazioni sul tema.

Tra gravidanze impossibili e aborti laceranti, Maria continuava ad essere venduta al miglior offerente e usata come una "puttana" di gran classe. Spesso, però, capitava che a Paolo venisse chiesto di concederla a clienti meno abbienti, e allora la "location" delle copule era all'aperto, sulle rive dei fiumi oppure nelle sale d'aspetto di vecchie stazioni in disuso.

Una delle tante esperienze del genere, avvenne lungo un fiume costeggiato da una fitta vegetazione.
Maria, fu fatta preparare con un vestitino nero trasparentissimo, di quelli tutti frastagliati giù verso le ginocchia, e aperto sul davanti fin quasi sui fianchi. Sotto, non lasciava molto all’immaginazione: senza reggiseno, le forme delle mammelle risaltavano, facendo sì che i capezzoli – tesi dall’adrenalina suscitata dall’incertezza per ciò che le poteva accadere – premessero contro il sottile tessuto, mentre una mutandina nera anch’essa trasparente celava ogni impudicizia.
Inoltre, il suo cospicuo culo era messo in risalto da un essenziale strisciolina che ne concludeva il perizoma nella parte posteriore…
Quel giorno non c'era nessuno su quel tratto di canale, nessuno tranne Orlando, colui che sarebbe stato il “beneficiario” di tanta femmina.
Era un maschio piuttosto avanti con l'età, più o meno 65-70 anni, alto sul metro e sessanta centimetri per circa 70 chilogrammi, che mostrava una incipiente calvizie e – oltre la canotta che indossava – aveva uno stomaco abbondante e villoso.
L'uomo, sembrò essere già esaltato dalla lunga attesa, e il pacco che aveva tra le gambe si annunciava di dimensioni di tutto rispetto...

Intanto, Paolo aveva aiutato Maria a togliersi tutto di dosso, e quando i due apparvero da dietro il cespuglio che era stato scelto come naturale alcova Orlando gridò al "conduttore" della giovane:
- "Finalmente... Pensavo non sareste più arrivati!".
Ma Paolo, lasciando lei un passo indietro, replicò seccato:
- "Io mantengo sempre le promesse... Piuttosto, hai i soldi? Ti ho già fatto un favore a concedertela sottocosto, questa femmina vale oro e invece tu sei un povero pezzente...".
Sbrigarono le loro faccende, e quindi Paolo presentò Maria a Orlando, il quale ne fu entusiasta, e già con la bava alla bocca esclamò:
- "Caspita, è proprio carne da letto, un gran bel pezzo di troia, di classe non c'è che dire, ma sempre troia!".
Al sentire quel linguaggio da osteria, Paolo si premurò di mettere le cose in chiaro, e gli disse:
- "Fai presto, e soprattutto, mi raccomando, rispetto... Tanto rispetto! Io sarò nei paraggi... Hai il preservativo? Gli accordi erano che – per quello che mi hai dato – non la devi ingravidare…".

L'uomo, allora, mostrando la protezione in lattice, cominciò ad allungare una mano sui fianchi della giovane facendola poi scivolare direttamente a carezzare il folto e riccioluto pelo nero che sovrastava la fessura della fica di Maria.
Si adagiarono sulla rena, e lì Orlando iniziò a stuzzicarla, avendo la percezione che – lentamente ma progressivamente – si stesse bagnando; percui, senza sospendere la sua azione, sprezzante la guardò negli occhi e lapidario:
- "Sei proprio una cagna, fatta apposta per essere usata... E, per quello che vedo, non ti dispiace affatto neanche a te...".
Orlando, però, non voleva concludere subito il tutto, e scorrendo con esasperante lentezza la spacca al fine di “scaldarla” a dovere, si spostò più sopra andando a scoprire il clitoride.
- "Mamma mia, sembra un cazzetto per quanto è grosso... E tu, porcellina, chissà quante volte te lo sei stuzzicato da sola… Ma ora ci sono io a farti sentire cos’è un uomo!", le sussurrò con affanno.
Prese a giocarci con il polpastrello del pollice, compiendo dei movimenti circolari, prima lenti e poi sempre di più rapidi.
Maria, da parte sua, dimostrò di gradire queste “cure”, e il maschio – facendosi più intraprendente – immerse in profondità la sua faccia in quella patata così succosa.
Sprofondò la lingua nella sacca vaginale e – facendo pressione con il volto sul monte di Venere – si diresse nuovamente verso il grilletto, ormai abbondantemente scivoloso, per ciucciarglielo con vigore.
A quel punto, la donna ebbe il suo primo orgasmo, e Orlando – che avendo pagato ciò che per lui era una fortuna, non voleva rimanere a bocca asciutta – le urlò:
- "Ora, però, voglio che prendi il mio cazzo!".
Maria, che sapeva qual’era il suo dovere, prese con decisione il pisello già duro dell’uomo tra le sue mani, appoggiò il preservativo sulla cappella e lo srotolò verso il basso fino alle palle…
Poi, voltò il capo prima a destra e poi a sinistra, e trovando nei pressi un tronco d’albero che reputò adattissimo allo scopo, vi si appoggiò a pecorina, allargò le gambe, e mostrò al maschio tutta la freschezza della sua passera.
Al che Orlando non ebbe più alcuna esitazione: guidò la punta del cazzo contro l'ingresso del “paradiso” e cominciò a montarla come un animale guidato dall’istinto della natura.

La donna fece di tutto per mostrarsi una vera puttana da scopare, e il pezzente percepì in maniera crescente i muscoli della fica di lei quasi soffocargli il membro, con quest’ultimo che era ormai pronto a sborrare...

In pochissimo tempo, Orlando raggiunse il piacere, e – svuotati i testicoli – prese per mano Maria ed entrambi si tuffarono in acqua per ripulirsi, sotto lo sguardo vigile di Paolo...

Un’altra volta, l’amico del suo fidanzato la guidò in un’avventura ancora più insolita: si accordò con un tal Angel – anche lui poco abbiente ed amico del dottor Bruno – al quale diede appuntamento nella sala d’aspetto di una vecchia stazione abbandonata.
In quel luogo, c'era praticamente il deserto, e per stare più sicuri Paolo la accompagnò verso una zona della stazione decisamente appartata, e dove nessun eventuale occhio indiscreto avrebbe potuto vedere ciò che stava accadendo...
La lasciò lì, e dandole un buffetto su una guancia la confortò:
- "Su, vedrai che tra un'ora al massimo sarà tutto finito, questo non mi sembra essere troppo pretenzioso...".
E così Maria, rimasta sola per qualche istante, si ritrovò occupata nei suoi pensieri ed oppressa dalle sue paure.
Per volere di Paolo, era stata "preparata" e vestita leggera: una magliettina di lana lunga fino a tenere scoperto l'ombelico, una gonna quasi trasparente – stretta e che riusciva a malapena a nascondere la patatina lasciata libera di reagire al contatto con l’aria fresca – e un paio di scarpe eleganti ma comode...

All'improvviso, si udì lo sbattere di una porta metallica, e due uomini già all’apparenza poco raccomandabili entrarono nella sala.
Erano Angel e un altro maschio non previsto dagli accordi stipulati con Paolo, entrambi straordinariamente arrapati.
Uno dei due afferrò Maria senza che lei se ne rendesse conto, e la bloccò con la forza, mentre Angel le ringhiò rabbiosamente:
- "Stai zitta, e fai quello che ti diciamo di fare... Ti ho comprata, mi hai capito puttanella?".
La giovane, intimorita, non riuscì neanche a rispondere, ma fece soltanto un cenno affermativo con il capo...
Subito dopo, colui che l'aveva "acquistata" le aprì la bocca e gliela riempì con la sua lingua, mentre l’altro continuava a tenerla immobilizzata con le braccia strette dietro la schiena.
Istintivamente, Maria cercò di divincolarsi, spostando indietro la testa, per liberarsi di quella lingua così invasiva; ma Angel si incazzò di brutto e tornò a gridare:
- "Non mi sembra che hai capito, troia… Devi obbedire!".
E Maria obbedì, tanto che – quando l'uomo tornò ad infilarle la lingua nel cavo orale – lei cominciò a pomiciarci di spontanea volontà...

L’altro uomo intanto – presumibilmente un albanese, come la donna ebbe modo di supporre da quelle poche parole che gli udì pronunciare –, mollò provvisoriamente la presa e si abbassò la zip dei pantaloni; poi, le strinse una mano, e con essa gli fece impugnare il suo grosso cazzo che in breve tempo divenne rigido e duro come il marmo...
Angel continuava a pomiciare con lei, e un pò alla volta la spogliò palpandole le cosce, il culo, le tette, e le mise il cazzo in quella mano non occupata dal poderoso membro dell’amico.
Poi, tutto d'un tratto, le ingiunse:
- "Inginocchiati, e facci vedere come ce lo succhi".
Anche l'albanese si avvicinò subito alla faccia di Maria, la quale iniziò a fare quello che ormai sapeva fare molto bene: li scappellò entrambi, li leccò e li ciucciò, alternandosi ora sul glande dell’uno ora su quello dell’altro...
Infine, se li fece entrare – prima l'uno e poi l'altro – in bocca, ancora più a fondo, fino quasi a farsi accarezzare l'ugola, mentre con le mani tastava e massaggiava le palle.
- "Dio, che fantastici succhiotti che fa questa maialona!", esclamò l’albanese che – sottoposto a quel lavoretto – si stava struggendo...

Anche Maria stava iniziando a provare un piacere ineffabile che quei due cazzi le suscitavano, e infatti il pelo che ornava il suo pube cominciò a inzupparsi.
Nel suo intimo, si augurò che i due maschi non se ne accorgessero, ma invece poco dopo la sollevarono di peso e la piegarono alla pecorina, si "incappucciarono" i potenti randelli con il profilattico, e infine uno le si mise dietro e uno davanti...
Quello di dietro le disse:
- "Allora, ti piacciono i grossi calibri, eh zozzona?".
Come prima, Maria non ebbe il modo di rispondere poiché Angel glielo rimise in bocca cominciando a stantuffarla.
L'albanese, da parte sua, si dedicò a stropicciarle e a leccarle quella patatona villosa che “profumava” di pesce marcio e che grondava copiosamente di umori.
Non era abituato a quegli "aromi", e perciò – nauseato – le fece:
- "Ma che roba è? Non ti sei nemmeno lavata, che razza di puttana sei?".
E come una sorta di "vendetta" ci puntò la cappella contro e le entrò dentro profondamente.
La giovane ci rimase un pò male, ma – sapendo di quella sua “caratteristica” che non tutti apprezzavano – fece finta di niente...
L'attrezzo dell'albanese era veramente gigantesco, e Maria emise dei gemiti che però le si strozzarono in gola, con la bocca che era piena dell’altro cazzo.
Entrambi le cominciavano a piacere veramente tanto, e la femmina non vedeva l'ora di godere, palesando un’inquietudine che non tardò ad essere placata: infatti, mentre quello che stava usando la sua bocca le sborrò in gola – facendole ingoiare fiotti caldi e prolungati –, l’altro continuava a fotterla, scopandola fin sulla "porta" dell'utero, finchè non venne anche lui provocandole un altro prodigioso orgasmo.

I due, però, non erano ancora sazi, e si scambiano le posizioni: mentre quello che le aveva sborrato in bocca gli si piazzò dietro e glielo fece scendere lentamente in fica, l’altro le disse:
- “Dai, leccami le palle e la cappella!”.
A Maria questi “ordini” davano un’eccitazione da non credere, e dopo un pò si accasciò a terra, sfinita.
Ma Angel, prendendola per un braccio le borbottò a brutto muso:
- “Troia, lo decido io quando potrai tornare da Paolo, e per quanto mi riguarda non è ancora finita… Anzi, ricomincia a pomparmi, che mi piace e ti riesce così bene…”.
Così, Maria si rimise all’opera, con tanta sollecitudine e partecipazione che Angel cominciò a provare un forte appagamento dei sensi, e ansimando si complimentò con la giovane e sarcastico le disse:
- “Che meraviglia! Ma il tuo fidanzato lo sa che sei così vacca? Hai una bocca così calda e così umida che sembra quasi una fica!”.
E lei, guardandolo negli occhi, rispose semplicemente:
- No, non lo sa…”.
Avrebbe voluto spiegargli che si sentiva trascurata e che quella “vita” la faceva sentire – almeno per un pò – al centro delle attenzioni… Non era proprio quello che avrebbe voluto, ma insomma…
Poco dopo – mentre lei era ancora dedita al suo randello ed assorta in quei pensieri – l’uomo aggiunse:
- “Ecco, puttana, sto venendo… Ti sborro in bocca… Siiiii…”.
Maria era oramai fuori di testa, e non sputò il seme di Angel, anzi più lui ne emetteva e più lei ne voleva; se la gustò tutta, e infine la ingerì completamente…
Appagati, i due la lasciano lì, in quello stato di “porca beatitudine”, e si burlarono di lei:
- “Su, che oggi ti è andata bene, puttana… Hai trovato due gran piselloni… Che vuoi di più? Dovrebbe essere il tuo uomo a pagarci… Ahahah!”.

Angel e l’albanese la salutarono senza nemmeno attendere il ritorno di Paolo e se ne andarono via, con Maria che rimase qualche attimo a gustarsi quel sapore di sborra in bocca e con la fica orrendamente spalancata.

Più raramente, ma comunque sempre ottenendone in cambio un cospicuo guadagno, Paolo la offriva anche per il godimento di donne benestanti, come gustoso epilogo per coloro che la vincevano all’asta...
Come accadde quella volta che – dopo aver soddisfatto un tal Gabriele, imprenditore nel campo della pelletteria – fu reclamata dalla sua amante Rachele.
Era la prima volta che a Maria veniva chiesto di impegnarsi in un vero e proprio rapporto lesbo, ma gli ordini di Paolo non si discutevano, e quindi suo malgrado le fu fatto fare un secondo ingresso trionfale nella taverna in cui era stata "sbattuta" dall'imprenditore.
Nuda con solo un paio di scarpe a tacco medio, si fermò davanti a quella giovane femmina di 25 anni, bellissima, occhi verdi, capelli neri, dall’aspetto molto curato, sportiva e solare, alla quale Gabriele si rivolse teneramente:
- "Tesoro, ecco il mio regalo... È tutto per te, pensa solo a divertirti...".
Prese le mani delle due donne, le unì, e quello fu il segnale per Maria che poteva cominciare il suo show con Rachele.
Ma prima ancora che lei potesse dare fondo a quegli atteggiamenti da puttanella che le erano diventati consueti, la ragazza le si avvicinò fino a farle sentire il suo respiro e le dichiarò:
- "Troietta, lo sai che sono bisex? Ora, dopo averti dato il cazzo del mio uomo, assaggerai la mia micetta... Voglio che mi fai godere... Non immagini nemmeno di cosa sono capace".
Maria capì l'antifona, si voltò perplessa verso Paolo per essere certa che fosse quello ciò che doveva fare, e gli sussurrò:
- "Non l'ho mai fatto con una donna...".
Ma questi, quasi annoiato le rispose:
- "Stupida, vedrai che poi non ne potrai più fare a meno...".
Maria ebbe un sussulto quando l'altra donna - affondandole saldamente le sue unghie nei fianchi - la baciò in bocca, un bacio che le sembrò eterno, lento, passionale, bagnato, con la sua lingua che si muoveva con prepotenza contro quella di Maria.
Alla fine, Rachele le gridò, tra il clamore degli astanti:
- "Ti vuoi decidere a leccarmela? Cosa aspetti che squirto in solitaria?".

Maria era così vicina a Rachele che poté cogliere tutta la sua fragranza e finì per trovarsi molto bene con lei fin dai primi istanti...
A un certo punto Rachele le disse, a bruciapelo e fissandole le labbra, due semplici parole:
- "Mi piaci...".
La "proprietà" di Paolo era irretita da quella donna, ma poco dopo crollò in ginocchio e la sua lingua fu tra le gambe di Rachele, le "addentava" il clitoride, le leccava la fica voracemente, mentre lei a gambe aperte gemeva di piacere ululando come una cagna, stringeva con forza i capelli di Maria e si lasciò andare a un orgasmo favoloso che "lavò" il volto della nostra...
Rimasero ad accarezzarsi ancora per un bel pò, mentre l'uomo che era il suo accompagnatore venne dal piacere cerebrale che provò bel vedere la sua donna ricevere tanto sollazzo e Maria dimostrare una così grande abilità bei confronti di una donna...

FINE II PARTE

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