Alla boutique del sesso

Scritto da , il 2022-09-10, genere comici

Leggo di fantasie erotiche ambientate nei camerini di negozi di vestiti, tendine che fanno finta di nascondere corpi che si spogliano, fianchi vogliosi che pochi centimetri di stoffa mostrano più che coprire.

Specchi che diventano il palcoscenico per l'esibizionismo di coppie eccitate già prima varcare la soglia della boutique, luci soffuse che creano l'atmosfera per lo spettacolo di una moglie messa in mostra a favore del commesso di turno, erezioni difficili da controllare al primo sguardo rapito.

Amiche che non hanno bisogno di togliersi le mutande per godere delle rispettive fiche, perché sotto le gonne non c'erano mutande da sfilare, così da risparmiare tempo prezioso da dedicare alla seduzione della dipendente pronta ad una lesbicata clandestina.
Muti orgasmi rubati nei pochi minuti a disposizione, il gusto del proibito, i vestiti in vendita investiti da umori e liquidi corporei, abbandonati come testimoni silenziosi per la prossima cliente.

Con questo spirito accompagno mia moglie all'outlet di Max Mara, sedotto da prospettive di avventure proibite, lo sguardo che scruta le avventrici e le dipendenti, alla caccia di segnali che non posso farmi sfuggire, pena perdere la grande occasione attesa da tempo.

C'è la donna alta, gonna corta e camicina attillata, i piedi nudi nelle scarpe argentate dal tacco alto, seducente ma non volgare; ci sono madre e figlia, la più giovane che sembra una procace modella, magari con il proprio profilo Onlyfans, formosa fasciata dal vestitino nero elastico; le due amiche più attempate, dall'aspetto banale, che commentano lo spacco di quell'abito sulle proprie gambe segnate da normalissima e rispettabilissima cellulite, forse un capello riccio e ribelle a tradire il programma di serate fetish nelle ore a venire.

Ma, con il diradarsi delle nebbie del desiderio, l'occhio vede meglio la realtà della giungla selvaggia in cui mi sto muovendo, il sottile velo delle illusioni cade inesorabilmente.

Gli sguardi feroci di invidia che la donna un po' appesantita dalle fatiche dell'età lancia al ventre piatto della ragazza asiatica lì accanto; la palpabile frustrazione dietro la richiesta di una taglia in più per quel vestito che altrimenti sarebbe perfetto; ma anche la crudele competizione tra le due clienti ben coscienti di essere le primedonne in quel teatro abitato da corpi comprimari, la pettinatura fresca di parrucchiere o, ancora peggio, le acconciature così naturali da sembrare di non aver neanche bisogno degli artifici di una volgare sciampista, sguardi laser che scandagliano ogni curva, linea e piega.

Una savana abitata solo da ferine predatrici in gara per assicurarsi la statura di capobranco.

Un ulteriore penoso passo indietro e l'attenzione ricade sulle altre comparse in questo spettacolo di cui volentieri si rifiuterebbe il copione.
Mi vedo come uno dei tanti impotenti uomini in quello scenario di guerra, i clown ridicoli in mezzo ad un dramma shakespeariano, intermezzi comici quando non tragici a modo loro.
Mai sarò come voi, tristi figure: io sarò un marito partecipe che non si nasconde dietro lo schermo di un cellulare, ma bensì che si adopera esperto per la sua amata, sapendo anche quali sono le parole d'ordine da usare, il gergo tecnico di questa caccia all'abito adatto per quel maledetto matrimonio a cui siamo stati invitati.

Ma so bene di ingannarmi. Sono uno tra i tanti, un portaborse.

E come tutti loro, lo sguarda basso a terra, il fare indifferente come una classe di alunni il giorno dell'interrogazione, son ben cosciente che questo non è il luogo adatto per tirare fuori il cazzo dalla patta dei pantaloni, magari con l'intento di sventolarlo davanti alle labbra della propria compagna, nascosti dietro una misera tendina, sperando in qualche umido regalo.

Il cazzo ce lo teniamo ben stretto dove sta, a cuccia, che il massimo che possiamo ottenere sarebbe un rabbioso morso a recidere quell'inutile pezzo di carne per placare una fame che non può essere placata, perché non è la mancanza di cibo ad alimentarla.
Il moncherino sputato a terra con disprezzo, dessert non richiesto in una dieta mai veramente rispettata.

E dell'ennesima fantasmagorica fantasia erotica ambientata in un camerino di boutique ne facciamo carta straccia da buttare al secchio come il bicchierino di plastica di un caffè della macchinetta automatica, acidula brodaglia bruciata per ammazzare l'attesa, di cui avremmo potuto fare tranquillamente a meno.

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