Storie Virtuali - cap. 1 parte 2 La Segretaria

Scritto da , il 2022-08-12, genere dominazione

a fasciava splendidamente, esaltava le sue provocanti forme, ma non la rendeva ridicola come il precedente vestitino rosso. Il viso era pulito e fresco. Ai piedi non indossava più le décolleté, ma sandali con un bel tacco. Era sexy e provocante, ma non appariva troia.
Durante la sua assenza, di venti minuti, avevo cercato di pensare a come proseguire, ma non riuscivo a decidermi. Emma si stava avviando a diventare lo zerbino, il giocattolo sessuale su cui sfogare le fantasie sessuali del padrone, degradata a troia, annullata. Romolo, al momento l’umiliava, ma la teneva per sé, ne era anche geloso, ma con il passare del tempo non avrebbe resistito a degradarla e a cederla. L’aveva già fatto dopo solo un mese. Era una scelta che poteva dare anche grandi soddisfazioni, la schiava era già avviata ad essere ciò e lei stessa si immaginava così. Ma aveva enormi e diverse potenzialità. La volevo cambiare? Non riuscivo a decidere, tra l’altro, cambiarla, era una strada difficile. Presi una monetina dalla tasca e la tirai in alto raccogliendola nel pugno della mano. Venne fuori croce. Emma non avrebbe cambiato strada. Sarebbe stata trasformata in una nullità, tanto degradata che né lei, né il suo Padrone potevano immaginare. Entrambi avrebbero ottenuto quello che volevano, ma nessuno dei due sapeva, al momento, dove sarebbero arrivati.
- Ora vai a dormire schiava, ma non ti toccare, non voglio che tu goda. Domani, durante la giornata ti contatterò e ti darò degli ordini. –
- Va bene Padrone. – Spensi il collegamento e pianificai cosa fare l’indomani.

In mattinata feci due telefonate, furono entrambe lunghe e la prima non facile.
Nel primo pomeriggio chiamai la schiava e le dissi cosa doveva fare e come comportarsi quando sarebbe uscita dall’ufficio.
Era primavera inoltrata, Emma indossava un vestito stretto e nero che le arrivava alle ginocchia, sopra il vestito, una giacchetta. Il vestito era attillato, ma non striminzito come quello rosso, faceva risaltare le forme generose e metteva in mostra le cosce piene e rotonde, attaccate una all’altra. Le avevo detto che doveva indossare le décolleté e delle autoreggenti nere. Il nylon strusciava sulle cosce, attirava gli sguardi, la schiava era imbarazzata, ma mise il pilota automatico e il più rapidamente possibile si avviò verso la metropolitana. Era imbarazzata e impacciata sul tacco dodici che portava quasi solo in casa e raramente, per strada era un’altra cosa. Prima di uscire dall’ufficio le avevo ordinato di farsi un selfie a figura intera e di mandarmelo. Attirava gli sguardi come una calamita, il che la faceva sentire a disagio e vergognare ulteriormente. Scese per le scale traballando e sudando, era stressata, ma eseguiva gli ordini.

Eddy era un nero alto almeno centonovanta centimetri, spalle larghe, gambe lunghe, prestante e snello allo stesso tempo, indubbiamente bello ed elegante nel suo completo nero e camicia bianca. Aveva gli occhi neri, i capelli neri e corti, le labbra carnose, un magnifico stallone. Lo avevo conosciuto qualche anno prima quando di notte faceva il buttafuori nelle discoteche di Milano e di giorno la guardia davanti ai negozi di lusso, ogni tanto si prestava anche come guardia del corpo. Poi, dopo aver litigato con diversi delinquenti, avendone mandato in ospedale parecchi, aveva deciso che era meglio cambiare aria e si era trasferito a Roma. Mi doveva qualche favore e sapevo che quello che gli proponevo non gli dispiaceva.
Affiancò Emma nel mezzanino e le disse chi era e chi lo mandava. Emma sapeva che qualcuno si sarebbe fatto vivo, ma nessuno le aveva detto che si trattava di un nero, non era spaventata dalla pelle scura, ma non se l’aspettava e quando Eddy la prese per un braccio, scartò e tremò. Eddy sorrise, “tanta roba” pensò, strinse. – Tranquilla, prendimi a braccetto e seguimi. –
Emma lo prese a braccetto e man mano che mosse i primi passi si sentì meglio, aggrapparsi a quel colosso le sembrò, al momento, rassicurante, sicuramente si sentì meglio sui tacchi. Eddy si avviò verso il binario e mi chiamò. – Tutto a posto – mi disse, - quando arrivo sul posto ci risentiamo. Te la passo. –
Quando fu al telefono, prima che potesse parlare, dissi – fai quello che ti ordina Eddy, come se fossero i miei ordini. – Non aspettai che rispondesse e misi giù.
Qualche minuto dopo mi chiamò Romolo. – Sono sul posto, non c’è nessuno. –
- Stanno arrivando, stai calmo e guarda e soprattutto non ti fare vedere, esci solo quando ti chiama Eddy. –
Eddy indossava un vestito nero, su un leggero maglioncino nero, nere erano anche le scarpe. In metropolitana la gente li guardava e intorno a loro si era fatto il vuoto, il nero e la bianca. Il nero alto, bello, statuario, la bianca che più bianca non si poteva, in quel momento anche mortalmente pallida, formosa, tremolante, burrosa. Attirava gli sguardi dovunque, cominciavano dal seno ingombrante, proseguivano sulle cosce tremolanti, terminavano sulla boccuccia imbronciata e chi era dietro aveva parecchio da guardare anche da quel lato. Eddy la teneva con una mano sul gomito e l’altra sul sostegno, anche lei aveva l’altra mano sulla maniglia in alto. Quella posizione portava il vestito a risalire scoprendo la coscia fino alla balza dell’autoreggente e mostrando due dita di bianco. Emma stava zitta, guardava nel vuoto, non aveva il coraggio di guardare nessuno mentre Eddy beffardo, con il suo sorrisetto, guardava tutti e quando il suo sguardo si fermava su qualcuno il tizio abbassava gli occhi o guardava altrove-
Eddy strinse sul gomito e la spinse in avanti, scesero dalla metropolitana e rapidamente furono fuori. – Dove mi sta portando? – trovò il coraggio di chiedere Emma.
Eddy non le rispose, si limitò a stringere sul braccio e ad affrettare il passo, lei trotterellò dietro. Tra i vari locali per cui Eddy lavorava c’era un privè. A quell’ora il locale era semivuoto, Eddy fece qualche cenno di saluto ai colleghi, salutò qualche cameriera che li guardò curiosa e condusse Emma verso una stanza. Ora la schiava era nervosa e un po’ spaventata, intuiva dove si trovavano, non immaginava che in un locale potessero succederle cose brutte, ma quando entrarono in una stanza semibuia ed il nero si chiuse la porta alle spalle cercò di divincolarsi. Eddy la lascò fare, la porta era chiusa e solo lui sapeva come si apriva. Accese le luci e la stanza fu perfettamente illuminata, la telecamera iniziò a riprendere ed ebbi una visione perfetta dell’ambiente. Dopo aver tentato improbabili fughe di qua e di là Emma si fermò e si appiattì contro una parete. Non diceva niente, non gridava, sarebbe stato inutile, la stanza era insonorizzata. C’era uno specchio che nascondeva uno stanzino e dietro quello specchio c’era Romolo. Romolo non era persuaso di quella scelta, aveva scelto il virtuale per non consegnare la schiava nelle mani di qualcuno, poi gli avvenimenti avevano preso quella piega e si era fatto convincere, ora seguiva apprensivo.

La schiava temeva quello che stava per succedere, ma non si rendeva conto di quanto c’era dietro. – Spogliati schiava – intimò Eddy, - altrimenti quel vestitino te lo strappo di dosso e tornerai a casa mezza nuda. –
- Ubbidisci Emma – la incalzai anch’io. Lei si guardò intorno sorpresa, ma non realizzò da dove venisse la voce, solo allora si accorse della cam e capì che nella stanza c’era un microfono.
- Padrone… -
- Non stai ubbidendo come ti ho detto di fare. Sarai punita schiava. Imparerai a rispondere immediatamente al desiderio del tuo padrone, senza esitazione. – Emma non fiatò più.
La schiava si rese conto che non aveva scelta, si levò la giacchetta, scostò le spalline del vestito e lo lasciò scivolare per terra, fece per levarsi il reggiseno che tratteneva le immense puppe, ma Eddy la fermò. – Va bene così – disse Eddy a suo agio e portandosi nel centro della stanza.
– Ora vieni qui. –
Diffidente Emma si avvicinò, lui la prese per i polsi e glieli ammanettò con polsiere di cuoio che legò ad un gancio che scendeva dal soffitto, in un attimo Emma fu catturata e inerme. Eddy tirò la catena ed Emma vide i suoi polsi e le braccia salire in alto sopra la sua testa. Eddy tese al massimo fin quasi a lasciarla sulle punte delle dita, il tacco dodici toccava e non toccava il pavimento, Emma era in ambasce, in un precario equilibrio, sentiva la trazione sui polsi che si trasmetteva a tutto il resto del corpo che tremolava piacevolmente per il piacere degli occhi di Eddy e di Romolo. Il Padrone era ansioso e geloso, ma guardava la scena sempre più infoiato. Quando Eddy si avvicinò alla sua schiava da dietro e con una mano l’accarezzò sulla schiena scendendo fino allo splendido ed importante mappamondo, mentre con l’altra, da sopra il reggiseno, strinse una tetta, Romolo muggì come un toro, a cui stavano portando via la sua vacca preferita, agitandosi sulla poltroncina dietro lo specchio.
Anche Emma si agitò. – Cosa mi farai? – piagnucolò con voce tremolante.
Eddy le diede una sberla formidabile sulle chiappe e strizzò la tetta che aveva in mano.
- Sbagli continuamente. Non ubbidisci, parli senza permesso ed ora mia dai del tu. Forse perché sono nero e non mi devi rispetto? – Eddy colpì di nuovo sull’altra chiappa e torse il capezzolo. –
Emma stavolta si lamentò – per favore… nooo… la rispetto. –
Eddy spadroneggiava sul corpo di Emma, le levò il reggiseno e l’accarezzò possessivo. – Di chi sono queste magnifiche tette? –
- Sue Signore, ma la prego… mi liberi e farò quello che vuole. Tuttooo. –
Eddy era di fronte alla schiava, allargò l’elastico delle mutandine e tirò verso giù. – Certo che farai tutto. – Intanto le mutandine scivolavano sulle immense e tremolanti cosce della schiava, scavalcavano le ginocchia e cadevano ai piedi di Emma. – Padrone… per favore… -
- Mi dicono che sei una vacca, ma ancora non sei pronta. – Eddy strinse la mano sulla fica della schiava ed Emma rantolò. Poi strinse il clitoride tra le nocche dell’indice e del medio e la schiava miagolò. – Così è meglio troia. – Emma arrossì, la sua pelle s’imporporò per tutto il corpo e la fica iniziò a colare. – Sei una baldracca. – Emma non rispose, ma miagolò.
Edyy le infilò due dita in bocca, la schiava chiuse gli occhi e succhiò.
- Brava, ma perché per arrivare a questo punto devi far perdere tempo ed esasperare il tuo padrone? – Eddy immerse le grandi mani nere nelle pallide e burrose tette della schiava che gemette.
- Non lo so Signore, non lo faccio apposta, sono fatta così. –
Eddy sistemò una barra di cinquanta centimetri con ai termini due cavigliere e le chiuse sulle caviglie della schiava, abbassò di qualche centimetro la catena ed Emma si ritrovò con le gambe larghe e di nuovo i piedi per terra. – Quante gliene devo dare Signore? –
- Dagliene dieci, non è mai stata frustata seriamente, quindi iniziamo piano. Deve imparare ad essere pronta al primo comando e non quando si eccita. –
- Nooo Signore, la pregoooo… Ho ubbiditoooo… -
Eddy prese dalla parete di lato una frusta, si portò di fronte alla schiava e la provò sferzando l’aria davanti ad Emma che iniziò a tremare e per quello che poteva, poco, ad agitarsi, gemere e piangere. – Noooo, noooo, non mi batta… per favore ubbidirò… sempre e subitoooo. –
La mia voce all’altoparlante. – Ovvio, ma è necessario Emma. Così te lo ricordi. -

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