Il pipistrello. Atto II, scena III

Scritto da , il 2022-07-13, genere etero

Ebbe quindi inizio la festa. Tutto il palazzo fremette e ondeggiò, come colto da una improvvisa vampa incendiaria, quando l’orchestra, quindici elementi, prese l'abbrivio di un walzer lanciato dai colpi di bacchetta sul leggio.
Le danze si aprirono.
Le coppie mascherate si riversarono, senza tentennamenti, nella sala maggiore. I travestimenti erano perlopiù ispirati al mondo animale, cosicché, un osservatore distaccato poteva benissimo credere che il dio Pan in persona avesse organizzato una delle sue leggendarie feste bucoliche a cui erano stati ammessi tutti gli abitanti della selva.
Anche l'assenza di indugi e la foga con cui cavalieri e dame si erano gettati a capofitto sull'ampio pavimento volteggiando frenetici erano figli di quella esile striscia di tessuto che ne nascondeva gli occhi e ne alterava i lineamenti. Dietro i camuffamenti nessuno poteva scorgere un compassato consigliere federale, la cortigiana incallita o il grigio esattore di un qualsiasi ministero. Celati per essere liberi.
Qui stava la grandezza e la fama della festa del Principe Orlofsky.

Poche persone comunque stazionavano ai lati della sala. Chi in attesa che si liberasse un compagno o una compagna di ballo, chi osservava la felicità altrui e se ne compiaceva, chi conversava e chi scrutava i danzatori cercando di intendere figure note dietro i travestimenti.
Uno di questi ultimi portava una vistosa maschera con le fattezze di una volpe. Si era infatti presentato come il Marchese Renard. Un corpulento e distinto individuo che mostrava un certo nervosismo e aveva già trangugiato una mezza dozzina di flute di champagne.
Altri non era che il nostro Conte Gabriel Von Eisenstein.
La maschera ne nascondeva il dilemma interiore. Forte delle miracolose pillole consigliategli dal notaio Falke, e perciò desideroso di concupire qualche facile donnetta, si tratteneva per la paura di essere scoperto. Non era certo un mistero la sua disavventura con la giustizia, almeno alla maggioranza dei presenti. Si muoveva quindi guardingo tra i tavoli del buffet anche se gli occhi venivano di continuo rapiti da una scollatura troppo generosa o da altri dettagli conturbanti dei corpi femminili in mostra.
Il confine tra le due opposte fazioni stava tuttavia volgendo in favore della lussuria. Il vino e la brama che lo possedeva fin dalla mattina erano armi che la titubanza non poteva contenere. Nondimeno, la resa della ritrosia di buttarsi a capofitto in quel baccanale era tutta ancora in divenire.
Il marchese Renard, tutto preso da questa scaramuccia interiore, ignorava il fatto che, se fosse salito al piano superiore, avrebbe avuto forse l'appagamento dei suoi malcelati appetiti, ma anche sarebbe stato colto di stupore.
In una sala, certo non grande come come quella in cui il ballo si era scatenato, si trovava la sua serva Adele.
Adele godeva. La soggezione che aveva provato quando era stata introdotta da Ida al cospetto del Principe Orlofsky era scomparsa. Come scomparsa era anche quella forma di indecisione che l’aveva accompagnata fin dai primi passi all'ingresso della villa.
Ora, addirittura, guidava il ritmo degli affondi del principe. La naturalezza del trasporto che provava la riempiva di gioia e piacere. Il piacere, l’unica cosa che le importasse davvero in quel preciso momento. La mente si era aperta, liberata. Forse Adele non lo sapeva, ma si stava avvicinando a quell’istinto primordiale, puro, genuino e infine geniale che solo pochi artisti posseggono e che i comuni mortali avvertono e sfiorano, senza mai comprenderlo, nel corso della loro vita.
A quattro zampe sul tappeto persiano, al centro della stanza, con il principe che le teneva spalancate le cosce, ne accoglieva i poderosi colpi, come una mareggiata.
Davanti, altre due verghe si contendevano la sua bocca, le sue labbra e la sua lingua. Si trattava del Cavaliere Chagrin, già noto come il direttore delle carceri Frank, e del notaio Falke.

Ida se ne era andata subito, la festa era iniziata e, anche se avrebbe voluto essere vicino alla poco esperta sorella di fronte a quei tre consumati satiri, era stata costretta a lasciarla in loro balia.
Adele non si era abbattuta. Voleva dimostrare a sua sorella e al mondo intero la sua risolutezza.
Forte del nuovo potere di cui si sentiva pervasa, aveva recitato con disinvoltura la parte della ragazzina disposta a tutto pur di ricevere attenzioni maschili. E in breve ne aveva avuta ragione, colmi, come erano i tre, di orgoglio virile di fronte a quella che, stando alle apparenze, pareva una indifesa fanciulla.
Le aste tese furono il solo e inequivocabile segnale della giustezza delle proprie mosse. Pur carente di maestria, Adele seppe contrapporre la devozione alla materia e la sua naturale inclinazione. L’attenzione prestata ai sospiri, agli sguardi e alle espressioni dei maschi furono la sua arma vincente.
Si era trovata subito circondata. Le mani dei tre uomini la sfiorarono e iniziarono a palpeggiarla prima con cautela e poi con sempre più audacia. Le tolsero il mantello e fu nuda. Aveva mani e dita ovunque. La sua fica si stava bagnando, esplorata. Li voleva, voleva sentirli esplodere, voleva la loro capitolazione di fronte alla forza della sua femminilità. In più, quelle mani anelavano il suo corpo. Il suo corpo come oggetto del desiderio e di adorazione.
Poi l'avevano spinta in ginocchio. Aveva avvertito gli afrori muschiati dei cazzi. Invitanti e ammalianti con le loro cappelle lucide, i bastoni rigonfi e le forme simili eppure diverse. Per la prima volta ne vedeva tre assieme. Pronti a soddisfarla e a ricevere piacere dal suo corpo. Era ebbra di questo potere appena scoperto.
Le era bastato stringerli, imboccarli, trattenerli con le labbra, mordicchiarli e leccarli con abbondante saliva per leggere sui loro visi le espressioni estasiate.
“Devo ammettere che questa giumenta è proprio di razza purissima”, sentenziò l’anziano notaio.
Di rimando, non senza difficoltà nell’articolare pensieri e parole, Chagrin affermò: “Sì, pare che la signorina Olga non abbia mai fatto altro nella sua vita”.
“Solo il meglio, amici miei”, fece il principe, orgoglioso di sfoggiare il nuovo pezzo della propria collezione, che continuò: “La festa è solo cominciata, ma”, e si interruppe per uno spasmo di piacere che Adele gli inferse leccando con decisione il frenulo, “ma non poteva iniziare in modo migliore”.
“Dato che sono il padrone di casa”, proseguì Orlofsky, “vorrei conficcare per primo il mio arnese in questo delicato fiorellino. Me lo concederete, spero.”
“Di grazia!” Gli rispose servile Chagrin. Il notaio non potè parlare, stritolata la sua mente tra le spire del piacere che la bocca di Adele gli stava procurando. Il principe non attese oltre.
E così aveva affondato il regale scettro tra le labbra umide. Adele aveva avvertito una nuova ondata di piacere travolgerla. Tuttavia il principe non era stato né precipitoso né brusco: strizzandole le chiappe ne aveva agevolato l’ingresso non prima di avere lanciato uno sputacchio sull’asta che scompariva docile e come risucchiata nel corpo della giovane.
Se le mani stringevano le natiche bianchissime, i due pollici si trovavano vicinissimi alla rosa stretta e contratta dell’ano. Sputò dell’altra saliva e prese perciò ad infilare, in quello strettissimo antro, un pollice e li si assestò mentre la ragazza lo incitava, con istintivi colpi di bacino, nel proseguire la penetrazione.
“Ditemi, notaio”, disse sincopato Orlofsky. “quale sarebbe lo scherzo di cui promettete tanta allegria durante la festa?”
“Ohhh… Temo che questa ninfa mi farà dimenticare persino la mia esistenza terrena”, si scusò Falke.
“Avanti. Voglio sapere!” Lo incitò il principe.
“Ebbene… Oh, attendete un…” Non ebbe modo di terminare la frase. Falke eruppe in un orgasmo davvero prodigioso nonostante l’età. Trattenendo la nuca di Adele, le spruzzò in gola diversi sussulti. Falke parve sul punto di crollare, gli occhi roteati all’indietro. Eppure, dopo qualche secondo, si riebbe dallo schianto, riprendendo un respiro pur irregolare. “Mio Dio, Falke. State invecchiando e vi facevo più resistente!” disse Chagrin con bonaria derisione.
“Piantatela. Vedremo voi alla mia età!” si difese sorridendo il notaio. Poi, deglutendo e scrollando le ultime gocce di seme, continuò: “Alla scorsa festa in maschera, il Conte Von Eisenstein mi giocò uno scherzo e intendo rendergli la pariglia”.
Si riprese a menare l’attrezzo. Adele al sentire nominato il proprio padrone ebbe un sussulto, un fremito, che i due, rimasti incollati al suo corpo, forse scambiarono per il prodromo di un orgasmo.
E continuò Falke nel suo racconto: “Quella sera c'era stata una festa, una festa con le migliori ragazze di tutto l'impero. Terminata, ci avviamo per strada. Era molto tardi e la nebbia non avvolgeva solo Vienna, ma anche la mia mente. I troppi bicchieri di Riesling e il troppo piacere ricevuto, ahimè, reclamavano il loro conto. Ebbene,” disse il notaio che si interruppe un attimo per contemplare la rinnovata tensione del suo arnese, “ad un certo punto crollai a terra, addormentato. Mi risvegliai che era quasi mattina. Il mascalzone mi aveva appeso per i piedi su un ramo dei carpini della Wipplinger! E non pago di una già simile prodezza, aveva fatto del mio mantello un posticcio travestimento da pipistrello. Una villania bella e buona.” Al solo pensiero si stava accalorando, Falke, ma subito si calmò conscio di avere tra le sue la carta tanto attesa della vendetta.
“Fu solo grazie ad un passante, il quale tratteneva a stento le risa, che mi liberai. Immaginatevi la scena”.
Orlofsky proruppe in una fragorosa risata. “Buona questa. Vi gabbò davvero!”
Pure Chagrin non frenò le risa. Adele ascoltava pur intenta nel suo atto.
Il notaio non si curò affatto e proseguì: “Neppure lui se la passò bene. Lo venni a sapere qualche giorno dopo. Ebbe a discutere con una guardia notturna e i due vennero alle mani. E questo fatto ha dato origine al mio progetto di rivalsa." Prese tempo, un po' per attirare l'attenzione dei due, un po' per scorrere il cazzo di nuovo gonfio sul viso di Adele, pur intenta, costei, a succhiare con avidità quello di Chagrin.
"Ascoltate, stasera lui verrà alla festa in incognito, mascherato tanto da essere irriconoscibile. Anzi, dovrà per forza essere irriconoscibile.” Sentenziò Falke.
“Per forza? Ma cosa andate blaterando, Falke? Il Conte è in prigione, ce l’ho portato io non più tardi di un paio di ore fa”, lo interruppe Chagrin, “O almeno ce l’hanno portato i miei uomini. Ho lasciato la carrozza con lui dentro e ammanettato, per giunta, proprio per venire qui alla festa”
“Beh, intanto voi, caro Frank, vi sarete goduto la famosa ospitalità di sua moglie Rosalinde.” E lo disse con un certo sorriso sornione. “Inoltre, siete proprio sicuro che fosse Gabriel?”
Adele, ci pensò e rammentò. Era certa di avere visto il Conte allontanarsi da casa prima che lei uscisse mentre la signora attendeva il suo amante Alfred. Costui, invece, diceva di avere arrestato il padrone in casa. Sarebbe stato impossibile! Doveva essere andata altrimenti. “Ma certo”, penso Adele, “il maestro di pianoforte è stato arrestato al posto del signor Conte!”
Il notaio non attese che il flusso di pensieri di Chagrin/Frank mettesse ordine agli eventi della serata. “Ora fatemi terminare. Tra poco io mi assenterò per portare alla festa l’ospite che tutti attendono. Ve ne ho già parlato. Una donna di alto lignaggio, raffinata come una principessa, ma del tutto dedita anche ai piaceri della carne. Lo vedrete. È la contessa ungherese Elizabet Kocsis Székely. Ebbene, lasciatemi trattenere il segreto su questa incredibile donna. Le cose sono fatte meglio se all’insaputa dei partecipanti. Le faremo una festa, e potete capire che genere di festa sarà, a cui il povero Gabriel non potrà fare altro che assistere per non svelarsi. Lo capirete al momento opportuno e allora il mio trionfo sarà completo.”
“Non ci ho capito molto, ma credo che voi siate un genio! Un genio invero infernale” Ammise con sincera ammirazione Chagrin. Anche il principe convenne che la trovata era alquanto originale e brillante.
L’unica che avvertì brividi freddi fu Adele. La contessa ungherese era il nesso per lo scherzo al signor conte. C’era solo una spiegazione logica, ma no. Non voleva crederlo possibile.
“Forza, festeggiamo un tale magistrale piano. Olga fateci godere come siete capace!” La incitò Orlofsky. Adele tentennò, sentiva le gambe e le braccia cedere. Strizzò gli occhi come per allontanare i propri nefasti pensieri. Decise che, sì, forse si stava mettendo male per lei, ma che poteva fare ormai?
Chagrin e Falke si menavano i cazzi. Socchiuse gli occhi un attimo prima di ricevere l’orgasmo dei due. Abbondanti schizzi le si riversarono in volto. Bollente il seme dei due le ricopriva le guance, la fronte e gocciolava dal mento. Avvertì la propria fica fremere, tutto il corpo fremette di un orgasmo inatteso, di fronte a questo atto di sottomissione. Nello stesso esatto modo in cui Von Eisenstein l’aveva fatta godere quella mattina.
“Avete ancora dubbi che l’età mi difetti di virilità, caro Frank?” disse il notaio appagato e giocondo.
“Davvero non so come facciate, perdiana!” ammise Chagrin, un’altra volta sorpreso della superiorità intellettuale e fisica di Falke.
“Via adesso, tornate ai vostri giochetti, Falke. Assicuratevi che tutto vada come dite e faremo delle belle risate” disse Orlovsky e rivolto all’impresario “e voi Chagrin scendete alla festa e divertitevi. Io devo spassarmela con la signorina Olga. Scenderemo tra un po’ in maschera e scateneremo il libertinaggio completo.”
I due, rintuzzati i membri, sorrisero. Si rivestirono in fretta e guadagnarono l’uscita scambiandosi ancora lazzi e pacche sulle spalle.
Il principe intanto continuava la cavalcata della fica fradicia di Adele. Il suo obiettivo, tuttavia, era possederla altrove. Un pertugio che, con l’esplorazione se ne era avveduto, era ancora inviolato. Orlofsky era raggiante, di rado aveva avuto onori di tale foggia. E del resto, nel prosieguo della festa, questa rosa non sarebbe rimasta intatta per molto.
“Ora, cara, vi farò un poco di male. Ma non abbiate timore, farò tutto con la massima cautela e sono certo che poi sarete voi a incitarmi”, disse il principe.
Adele aveva la mente in subbuglio. Stava, sì, godendo, ma temeva l’incontro con i propri padroni. Un timore mitigato dal fatto che avrebbe avuto la maschera e nessuno di loro si aspettava di vederla nuda a questo ricevimento. Nuda e oltremodo disposta a concedersi. Con questi pensieri turbinanti non prestò attenzione alle parole esatte del principe e rispose, con la voce mozzata dal godimento: “Fate quello che desiderate, principe. Non attendo altro che il vostro piacere”.
“Abbassate viso e spalle fino al tappeto e lasciate che il vostro meraviglioso culo svetti in tutta la sua bellezza!” le disse Orlofsky.
Fece come le era stato ordinato.
Il principe infilò con più decisione il pollice nell’ano della ragazza. Con l’altra mano accarezzava gli umori della fica e ne spalmò quanto più ne poté sull’asta e la cappella. Il cazzo gonfio e duro come marmo era teso al massimo. Sputò un paio di volte, estrasse il dito, e subito puntò la cappella tra le chiappe. Essa si fece strada. Il principe attese e quindi riprese a conficcare. “Cara, spingete anche voi, spingete come se doveste fare i vostri bisogni”.
Adele non capiva, ma ci provò ed ecco che tutto il glande iniziò a scomparire dentro le viscere. Ancora Orlofsky si trattenne.
Adele avvertiva un dolore mai provato, morse il proprio braccio con violenza, ma si arrese. Ida glielo aveva anticipato, ma, lo stesso, non era quello che poteva aspettarsi. Anche in quel frangente, pensò a non deludere la sorella, pensò che era quello che lei, Adele, desiderava, compiacere gli uomini e infine farsi strada, e perciò doveva resistere.
Il principe lasciò che l’ondata di dolore passasse e quando lo ritenne opportuno proseguì nell’affondare la sua lancia nell’intestino della ragazza.
Adele, passato il culmine, sentiva le membra adattarsi.
Fece scivolare una mano sul suo clitoride e iniziò a stuzzicarlo. Sperava che il piacere soverchiasse, in qualche modo, il resto delle emozioni.
E così fu. Ce ne volle, ma le si aprì la porta di un nuovo mondo di piacere. Orlofsky prese a stantuffarla come un ossesso. La mani sui fianchi dai quali assestava colpi profondi e senza sosta.
“Sì, possedetemi! Spaccatemi in due, principe!” disse digrignando e strizzando gli occhi Adele
Come un maremoto, inaspettato e distruttivo, l’orgasmo arrivò. Urlando, e per fortuna che, al piano di sotto erano distratti da altre faccende, e urlando, come mai aveva urlato, le si rovesciò addosso una tale slavina di piacere da lasciarla accasciata.
Il principe non era certo lontano dal traguardo e la vista del godimento della ragazza ne esasperò la follia. Sbattendo con violenza e impeto, sudando, le anche contro il culo di Adele, le diede ancora una decina di affondi. Poi anch'egli capitolò. Urlando e strizzando la carne di Adele proruppe in un orgasmo scaricando il seme copioso nelle sue viscere.
Sul punto di schiantare per l’emozione fortissima, crollò sul corpo della ragazza che pareva, anch’essa, inerte. E lì rimasero, tra il sonno e l’appagamento. Rivoli di seme imperlavano le cosce della ragazza.

Da basso, il ricevimento era, intanto, lanciato verso il culmine. I balli proseguivano fitti e l’uscita delle bottiglie vuote e l’ingresso di quelle piene costituivano anch’esse una coreografia di un certo rilievo. A proposito di ingressi: erano da poco entrate in scena anche le ragazze di Ida. Queste avevano lo scopo di ravvivare e dirigere la serata in una certa direzione. I loro indumenti lasciavano poco ai distinguo: a parte scarpe, calze e maschera non portavano null’altro.
Il loro arrivo fu salutato da un boato. Uomini e donne erano felici di mescolarsi ai libertini costumi delle nuove venute. Avevano solo atteso quel momento. Una scusa, un innesco per lasciarsi andare. Le ragazze poi avevano lo specifico compito di smuovere i solitari, i ritrosi, quelli che stazionavano ai lati. Timidi o eccentrici.
Tra questi figurava ancora il signor Conte.
Venne letteralmente trascinato in mezzo da due giunoni, una mora e l’altra bionda. Questa, soprattutto, aveva la pelle ricoperta di polvere brillante ed era un vero spettacolo per gli occhi. Sotto le maschere, l’una da felino, la bionda luccicante, un felino di fantasia, forse un puma rossastro striato di nero, l’altra da civetta, si stagliavano sorrisi e labbra ammiccanti. Occhiate che avrebbero steso anche il più morigerato degli uomini.
Il Conte, già deciso ad arrendersi, alla vista delle due procaci femmine, ben dotate di glutei e seni, in grado di affrontare una brigata di ulani, femmine che lo strattonavano e struscianti lo portarono sulla pista, perdette il controllo. Le sue mani a coppa già ne sondavano le rotondità posteriori. Possiamo, senza ombra di dubbio, supporre la tensione della sua clava quando la mora bisbigliò sussurrante qualcosa al suo orecchio.
Attorno, era come se fosse stato dato il via libera. Bocche che si baciavano, gonne sollevate e perfino seni scoperti esplosi dai corpetti slacciati. L’orchestra detonò l’atmosfera in un allegro vivace di Bizet. I volteggi delle coppie danzanti mescolavano la scena, aggiungevano frenesia. I più coraggiosi si scioglievano in effusioni passionali sui divani. Già si potevano intravedere lingue e morsi, bocche avide che si rincorrevano vorticose a ritmo della indiavolata musica.
Giunse alla ribalta perfino una sedicente baronessa, già in là con gli anni e completamente denudata che trascinava due fidi giovanotti, nudi anche essi, al guinzaglio. Ma, se già questo poteva essere un dettaglio capace di catturare l'attenzione, era tutto intorno che si susseguivano, accavallandosi, innumerevoli atti tali da lasciare sbigottito qualsiasi individuo dedito al buon costume. Così tanti che era impossibile seguirli tutti al contempo.
Una delle ragazzie di Ida, sorreggendosi con le braccia tese ad un tavolo, veniva sbattuta da dietro da un fusto in uniforme militare e maschera da gorilla. Due donne si rotolavano a terra avvolte in una spirale di passione. Un giovane biondo succhiava cazzi al centro di un capannello. Una dama, mutande calate sui tacchi delle scarpette e gonne sollevate a coprirne il viso, riceveva l’esplorazione del culo e della fica da un attempato nobile. Un omaccione corpulento aveva le mani serrate sulle tette e così facendo seguitava a ballare con la sua compagna. Una sfrontata in maschera di serpente era inginocchiata e suggeva famelica il cazzo di un tizio celato dalle fattezze di lupo. Un'altra dama, in balia degli eventi e stesa su un tavolo, riceveva energiche bordate dal suo cavaliere con maschera equina mentre un altro le conficcava la verga tra le labbra ben disposte a farsi carico di un tale onere. Il tizio travestito da cavallo, a sua volta, veniva inculato da uomo di bassa statura camuffato da grillo. Le antenne ondeggiavano vistose tra la calca. Una decina di giovani debuttanti, sedute allineate, ricevevano in bocca altrettanti procaci membri: le teste oscillavano imboccando le aste, forse al ritmo della musica o forse no. Il caos si era fatto indescrivibile.
Il conte, messosi in disparte, vedeva contendersi il cazzo dalle due donne che l’avevano soggiogato. Le sue preoccupazioni sparite. Almeno per il momento.
Il brano era terminato e gli orchestrali non vedevano l'ora di riprendere il fiato o di stiracchiarsi le membra. Ebbene, una fanciulla che si era infatuata, già prima che si scatenasse il delirio, del giovane direttore salì sul palco e prese a baciarlo con voluttà. Alla vista dello sbracciamento di quello per tenersi in equilibrio, scambiato per l'avvio di un nuovo brano, i suonatori ripresero gli strumenti e, nel caotico dispiegarsi, una cacofonia di armonie prese il sopravvento. Nessuno se ne accorse. Ormai non si contava il numero degli amplessi, multipli o di coppia, sul pavimento, sui divani, contro il muro, in bella mostra oppure in ogni anfratto che riservasse un po' di ombra. Ormai ben pochi e poche, per timidezza o assenza di adeguata compagnia, erano rimasti in disparte e si dedicavano alla semplice e bramosa osservazione mordendosi le labbra, stringendo vulva o cazzi tra le cosce o, i più ardimentosi, impugnandosi l'attrezzo e menandoselo di fronte a quello spettacolo indescrivibile di sesso.
Chagrin fece la sua apparizione, maschera di falco calata sul viso, proprio in quel momento sfregandosi le mani per l’eccitazione.
Il notaio, invece, aveva già imboccato l’uscita per portare a termine la sua vendetta.

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