Elena ed io II
di
Laura023
genere
sentimentali
L’accappatoio ormai serviva solo a proteggerci dall’aria condizionata. Le nostre pelli si erano asciugate da ogni goccia di acqua ed il cloro era stato lavato via dalla doccia calda che avevano fatto a turno. Non avevamo parlato molto, non più del necessario: l’imbarazzo era ancora troppo grande.
Elena sprofondava nel letto della sua camera, le lenzuola erano morbide ed accarezzavano la sua pelle. Io in piedi, appoggiata al muro che guardavo indaffarata il nulla da circa un minuto. L’accappatoio era aperto, il seno minuto faceva capolino e mostrava i segni dei suoi morsi che contrastavano con la mia pelle bianca e liscia. La guardavo incantata, i ricordi di poco prima mi solleticavano da quando eravamo uscite dalla piscina, ma in quel momento erano accantonati per poterla ammirare sdraiata sul materasso.
A dirla tutta non ero ancora sollevata: durante la doccia avevo avuto la tentazione di sbrigarmela da sola, ma avevo avuto timore di sporcare, di insospettirla con una doccia troppo lunga, di fare troppo rumore. Forse avrebbe capito, forse no e mi sarei vergognata da morire. Lei forse, portava ancora la vergogna per il nostro nuovo piacere che aveva sentito. Erano passati tre minuti. Tre lunghissimi ed imbarazzanti minuti.
“Lalla va tutto bene?”. Le sue parole erano uscite troppo forti, aveva fatto una confusione tremenda in quel silenzio. “Non avevi mai sentito certe cose vero? È normale, non devi sentirti sbagliata, anch’io le prime volte…” la frase le si era lentamente spenta fino a diventare un impercettibile bisbiglio. Era di nuovo silenzio. Un silenzio assordante che mi impediva di formulare anche solo dei pensieri.
Forse si vergognava, voleva tranquillizzarmi, ma io avevo anche una voglia tremenda. Non volevo toccarla ancora, volevo che fosse lei a farlo, ma non potevo pretenderlo, lei non avrebbe voluto, non potevo costringerla ma la desideravo. Era una tentazione troppo grande, avrei potuto perderci la dignità ma non volevo fare altro che pregarla di toccarmi. Non volevo usarla, ma volevo usarla per il mio piacere.
“Potresti venire qui, vicino a me?” la sua voce tremolava appena, lo sforzo per renderla aggraziata era enorme. Alzai lo sguardo in modo timido, feci qualche passo e mi appoggiai alla sua destra, gli occhi guardavano in basso, non riuscivo a guardarla. Agire non era semplice, non voleva spaventarmi, non poteva permetterlo. Forse si sentiva in colpa a trattarmi così, ma nessun senso di colpa l’avrebbe fermata dal prendermi, o almeno provarci. Doveva solo trattarmi bene, con gentilezza, accarezzarmi e poi, una volta tra le sue braccia, avrei potuto avere da lei tutto ciò che volevo, ma con discrezione.
“…U-un po’ mi è p-piaciuto…” dissi improvvisamente “S-so c-cosa abbiamo fatto, n-non sono arrabbiata con te”. Era spiazzata, non mi immaginava già così “cresciuta”, in fondo, per lei ero come una sorellina.
“N-non so cosa voglia dire per t-te e per noi. N-Non mi importa adesso, a-abbiamo passato tanto tempo assieme e… io credo che sia normale… n-non ho paura che ciò che è successo ci faccia stare male” sorrideva, un sorriso lieve con gli occhi un poco lucidi. Io non rispondevo, anche il desiderio si era strozzato come il mio respiro.
“P-per me è tutto nuovo, non l’ho mai fatto c-con una ragazza. S-so cosa vuoi e p-posso provarci” - “Te la senti?” chiese lei con una voce terribilmente agitata. Provai a sorridere guardandola negli occhi “M-mi va, d-dimmi cosa devo fare”.
I miei occhi erano completamente chiusi, le mie mani erano davanti alle palpebre. Morivo di vergogna. Dirle quello che volevo mi facesse era stato difficilissimo, ma guardarla mentre lo faceva mi pareva impossibile. Era davvero finito così quel pomeriggio? Non volevo crederci ed il mio cuore, che sembrava volermi rompere le costole, nemmeno. Sentii il suo tocco, il polpastrello si appoggiò alle labbra facendomi trasalire. Ero stesa sul letto con le gambe aperte e lei era lì in basso. Il dito scivolava facilmente, la sensazione era indescrivibilmente bella e mi faceva tremare le cosce. Gli umori non avevano cessato di mantenermi umida ma adesso sgorgavano copiosamente e la sola pressione del dito li faceva gocciolare fuori da me. Il movimento successivo fu troppo rapido per la mia povera mente: le labbra vennero aperte, il dito toccò il clitoride e poi, aiutato dai miei fluidi, scivolò dentro di me. Lanciai un mezzo urlo e spalancai gli occhi. Elena giocava con me ed aveva uno sguardo che non le avevo mai visto. Non aveva preso paura per la mia reazione al suo tocco, se ne sentiva gratificata e spinse immediatamente il dito dentro più a fondo che poteva. Non credevo a ciò che sentivo, non era possibile. “E-Elena…” Il dito si mosse veloce dentro di me. Andava a fondo, tornava in superficie per poi penetrarmi ancora e sempre più veloce. Anche lei si toccava, ora lo sapevo, si muoveva con troppa consapevolezza.
L’orgasmo mi prese alla sprovvista, nel preciso istante in cui sfiorò una seconda volta il mio clitoride. Inarcai la schiena, strizzai gli occhi ed una scossa di piacere mi partì dalla punta dei piedi fino a colpirmi il cervello. Il cuore mi aveva probabilmente bucato il petto ma non mi importava, Elena mi aveva dato un piacere che non pensavo potesse darmi una ragazza. “E-Ele… ferma, s-solo un secondo, ti prego”. Ansimavo terribilmente e ridacchiavo. Lei sorrideva con quel suo sguardo solare e gentile. La baciai d’impulso e non venni respinta. “Ora vuoi… provare quella cosa, vero?” mi chiese gentile. Era una richiesta disgustosa, l’aveva formulata per mezzo scherzo sperando con tutto il cuore che l’avrei accettata. Lei sembrava più curiosa di me e mi aveva solamente imposto che avrebbe dovuto ricambiarmi.
La sua lingua cominciò a stuzzicarmi l’interno delle cosce. La odiai ed amai assieme per questo suo scherzo, non riuscii a formulare pensieri quando la prima leccata toccò in pieno il mio punto più sensibile. Potei solo sdraiarmi ed arrendermi al fatto che non sarebbe finita finché non avrebbe smesso di divertirsi a sentirmi gemere e contorcere per ciò che mi faceva. La mia mano le accarezzava la testa, poi la prendeva e la schiacciava contro il mio sesso.
Non contammo più i miei o i suoi picchi di piacere, non facemmo altro che continuare a toccarci, leccarci, morderci, baciarci per tutto il pomeriggio. Ogni tanto godevo e lei si divertiva a continuare in eterno, altre volte lei godeva e pretendeva qualche minuto di pausa tra le mie braccia.
Il papà di Elena tornò a casa molto tardi e fu felice di vedere la propria figlia così serena. Lei e la sua amica si erano addormentate, come facevano spesso fin da quando erano piccole, sul letto della cameretta. In particolare, vide che si tenevano per mano e sorrise a quel gesto innocente. Forse, se avesse scostato le lenzuola, avrebbe avuto qualche dubbio in più scoprendo che nessuna delle due indossava qualcosa che potesse nascondere le proprie vergogne.
Elena sprofondava nel letto della sua camera, le lenzuola erano morbide ed accarezzavano la sua pelle. Io in piedi, appoggiata al muro che guardavo indaffarata il nulla da circa un minuto. L’accappatoio era aperto, il seno minuto faceva capolino e mostrava i segni dei suoi morsi che contrastavano con la mia pelle bianca e liscia. La guardavo incantata, i ricordi di poco prima mi solleticavano da quando eravamo uscite dalla piscina, ma in quel momento erano accantonati per poterla ammirare sdraiata sul materasso.
A dirla tutta non ero ancora sollevata: durante la doccia avevo avuto la tentazione di sbrigarmela da sola, ma avevo avuto timore di sporcare, di insospettirla con una doccia troppo lunga, di fare troppo rumore. Forse avrebbe capito, forse no e mi sarei vergognata da morire. Lei forse, portava ancora la vergogna per il nostro nuovo piacere che aveva sentito. Erano passati tre minuti. Tre lunghissimi ed imbarazzanti minuti.
“Lalla va tutto bene?”. Le sue parole erano uscite troppo forti, aveva fatto una confusione tremenda in quel silenzio. “Non avevi mai sentito certe cose vero? È normale, non devi sentirti sbagliata, anch’io le prime volte…” la frase le si era lentamente spenta fino a diventare un impercettibile bisbiglio. Era di nuovo silenzio. Un silenzio assordante che mi impediva di formulare anche solo dei pensieri.
Forse si vergognava, voleva tranquillizzarmi, ma io avevo anche una voglia tremenda. Non volevo toccarla ancora, volevo che fosse lei a farlo, ma non potevo pretenderlo, lei non avrebbe voluto, non potevo costringerla ma la desideravo. Era una tentazione troppo grande, avrei potuto perderci la dignità ma non volevo fare altro che pregarla di toccarmi. Non volevo usarla, ma volevo usarla per il mio piacere.
“Potresti venire qui, vicino a me?” la sua voce tremolava appena, lo sforzo per renderla aggraziata era enorme. Alzai lo sguardo in modo timido, feci qualche passo e mi appoggiai alla sua destra, gli occhi guardavano in basso, non riuscivo a guardarla. Agire non era semplice, non voleva spaventarmi, non poteva permetterlo. Forse si sentiva in colpa a trattarmi così, ma nessun senso di colpa l’avrebbe fermata dal prendermi, o almeno provarci. Doveva solo trattarmi bene, con gentilezza, accarezzarmi e poi, una volta tra le sue braccia, avrei potuto avere da lei tutto ciò che volevo, ma con discrezione.
“…U-un po’ mi è p-piaciuto…” dissi improvvisamente “S-so c-cosa abbiamo fatto, n-non sono arrabbiata con te”. Era spiazzata, non mi immaginava già così “cresciuta”, in fondo, per lei ero come una sorellina.
“N-non so cosa voglia dire per t-te e per noi. N-Non mi importa adesso, a-abbiamo passato tanto tempo assieme e… io credo che sia normale… n-non ho paura che ciò che è successo ci faccia stare male” sorrideva, un sorriso lieve con gli occhi un poco lucidi. Io non rispondevo, anche il desiderio si era strozzato come il mio respiro.
“P-per me è tutto nuovo, non l’ho mai fatto c-con una ragazza. S-so cosa vuoi e p-posso provarci” - “Te la senti?” chiese lei con una voce terribilmente agitata. Provai a sorridere guardandola negli occhi “M-mi va, d-dimmi cosa devo fare”.
I miei occhi erano completamente chiusi, le mie mani erano davanti alle palpebre. Morivo di vergogna. Dirle quello che volevo mi facesse era stato difficilissimo, ma guardarla mentre lo faceva mi pareva impossibile. Era davvero finito così quel pomeriggio? Non volevo crederci ed il mio cuore, che sembrava volermi rompere le costole, nemmeno. Sentii il suo tocco, il polpastrello si appoggiò alle labbra facendomi trasalire. Ero stesa sul letto con le gambe aperte e lei era lì in basso. Il dito scivolava facilmente, la sensazione era indescrivibilmente bella e mi faceva tremare le cosce. Gli umori non avevano cessato di mantenermi umida ma adesso sgorgavano copiosamente e la sola pressione del dito li faceva gocciolare fuori da me. Il movimento successivo fu troppo rapido per la mia povera mente: le labbra vennero aperte, il dito toccò il clitoride e poi, aiutato dai miei fluidi, scivolò dentro di me. Lanciai un mezzo urlo e spalancai gli occhi. Elena giocava con me ed aveva uno sguardo che non le avevo mai visto. Non aveva preso paura per la mia reazione al suo tocco, se ne sentiva gratificata e spinse immediatamente il dito dentro più a fondo che poteva. Non credevo a ciò che sentivo, non era possibile. “E-Elena…” Il dito si mosse veloce dentro di me. Andava a fondo, tornava in superficie per poi penetrarmi ancora e sempre più veloce. Anche lei si toccava, ora lo sapevo, si muoveva con troppa consapevolezza.
L’orgasmo mi prese alla sprovvista, nel preciso istante in cui sfiorò una seconda volta il mio clitoride. Inarcai la schiena, strizzai gli occhi ed una scossa di piacere mi partì dalla punta dei piedi fino a colpirmi il cervello. Il cuore mi aveva probabilmente bucato il petto ma non mi importava, Elena mi aveva dato un piacere che non pensavo potesse darmi una ragazza. “E-Ele… ferma, s-solo un secondo, ti prego”. Ansimavo terribilmente e ridacchiavo. Lei sorrideva con quel suo sguardo solare e gentile. La baciai d’impulso e non venni respinta. “Ora vuoi… provare quella cosa, vero?” mi chiese gentile. Era una richiesta disgustosa, l’aveva formulata per mezzo scherzo sperando con tutto il cuore che l’avrei accettata. Lei sembrava più curiosa di me e mi aveva solamente imposto che avrebbe dovuto ricambiarmi.
La sua lingua cominciò a stuzzicarmi l’interno delle cosce. La odiai ed amai assieme per questo suo scherzo, non riuscii a formulare pensieri quando la prima leccata toccò in pieno il mio punto più sensibile. Potei solo sdraiarmi ed arrendermi al fatto che non sarebbe finita finché non avrebbe smesso di divertirsi a sentirmi gemere e contorcere per ciò che mi faceva. La mia mano le accarezzava la testa, poi la prendeva e la schiacciava contro il mio sesso.
Non contammo più i miei o i suoi picchi di piacere, non facemmo altro che continuare a toccarci, leccarci, morderci, baciarci per tutto il pomeriggio. Ogni tanto godevo e lei si divertiva a continuare in eterno, altre volte lei godeva e pretendeva qualche minuto di pausa tra le mie braccia.
Il papà di Elena tornò a casa molto tardi e fu felice di vedere la propria figlia così serena. Lei e la sua amica si erano addormentate, come facevano spesso fin da quando erano piccole, sul letto della cameretta. In particolare, vide che si tenevano per mano e sorrise a quel gesto innocente. Forse, se avesse scostato le lenzuola, avrebbe avuto qualche dubbio in più scoprendo che nessuna delle due indossava qualcosa che potesse nascondere le proprie vergogne.
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