La ragazza troppo bella - Parte 14

Scritto da , il 2022-02-10, genere etero

"Devi venire qui subito". Al cellulare, era Grace. Andai alla Spa e la raggiunse nell'ufficio. Parlava in modo animato con un gruppo di una decina di ragazzi. Loro protestavano tutti insieme parlandosi l'un sopra l'altro. Tutti ragazzi e ragazze che lavoravano per me. Carpi delle frasi al volo. Soldi. volevano più soldi. Quando mi videro, scese il silenzio nell'ufficio. Con me c'erano le mie guardie del corpo. Non erano più le nere, amiche di Grace, ma delle donne libiche, ex guardie di Gheddafi. Donne statuarie che sapevano usare la violenza e che o facevano volentieri. La loro presenza incuteva terrore. Ivana e Katia capendo la tensione si avvicinano a me e si misero sui miei fianchi. Si potevano sentire volare le mosche. Il mio viso non lasciava presagire niente di buono. Per quanto non fossi preparata alla discussione, ero gia pronta alla risposta. I miei ragazzi guadagnavano molto piu di quanto potessero sognare. Inoltre, erano in grado di rifiutare ogni situazione in cui si sentissero costretti. Per non apparire ciò che ho sempre odiato, pur se ero inflessibile, non volevo sembrare il tipo di persone che più al mondo odiavo: i papponi. Si, forse lo ero, ma ogni termine ha i suoi estremi. Mi compiaceva nel pensare di essere l'estremo buono. Non costringevo, offrivo, danaro e possibilità di star in un mondo privilegiato, offrivo soldi contro zerbini, esattamente come fanno tutti i datori di lavoro nel mondo. Ma i ragazzi erano giovani, qualunque fosse stata la situazione che gli avrei offerta, ad un certo punto, avrebbero voluto di più. Come me tra l'altro. Ma avevo un numero infinito di ragazzi e ragazze sfigate che non vedevano l'ora di entrare a far parte della mia corte che potevo permettermi di cambiare tutto lo staff in un paio di giorni. "Allora!" tonai.
Anna, una Nicoletta di Messina, molto bella e ben fatta ma Nicoletta fu la prima a rispondere... "Bosslady... con tutto il rispetto, ma volevamo dirle che dal giovedì alla domenica lavoriamo quattordici ore al giorno, a volte quando ci sono le feste anche di più e dobbiamo dormire qui... Siamo stanchi, e pensavamo che anche se il lavoro è tanto magari il compenso potrebbe essere superiore...". Detto in questo modo, non aveva tutti i torti. Anche se rimaneva il fatto che Anna non aveva precisato che ogni giorno fruttava loro dai trecento ai cinquecento. Non era propriamente un fatto di soldi, ma di stanchezza. Erano stanchi, non c'erano dubbi, nervosi e agitati. Li guardai in faccia. Sotto i trucchi, i loro visi erano stanchi, i loro occhi spenti. Per la loro età, i soldi erano tanti, ma alla loro età, vanno spesi, la vita va vissuta. Ma il tempo per loro non c'era. Logorare i miei dipendenti non era una saggia soluzione. Rimasi zitta per un secondo e poi dissi " Andate". Nessuno protestò. Uscirono tutti e rimase solo Grace. "Non hanno tutti i torti Bosslady" esordi quando fummo sole. "Lo so...". "Che facciamo?" prosegui. Il punto era semplice. Accontentarli era fuori questione, ma licenziarli non era nemmeno giusto. Poi, sapevano il fatto loro, nuovi ragazzi ci avrebbero messo un pò di tempo ad apprendere l'arte dell'amore. "Che ne dici se prendiamo altri ragazzi?" chiesi a Grace. Sorrise. Era bellissima. Prendeva il suo ruolo sul serio. Apprezzava il fatto che non fossi una criminale. Ero un tramite, semplicemente. E per rimanerlo, dovevo esercitare di sotterfugi e stratagemmi che mi mettevano obiettivamente alla pari degli gangsters. I miei rivali in affari oramai subivano discese costanti della polizia, della finanza, a volte, anche rapine compiute dai ragazzi dell'albino che era ancora in carcere. Sbaragliavo la concorrenza con ogni mezzo legale ed illegale, li indebolivo e li costringevo alla chiusura. La voce negli anni si era diffusa e persino i miei dipendenti sapevano che non era saggio mettersi contri di me. Definimmo con Grace di assumere altri dieci dipendenti. Sei donne e quattro uomini. Chiesi specificamente di prendere i ragazzi neri, preferibilmente non mulatti di cui eravamo già pieni, ma neri come il carbone. "Come il carbone" ripetè Grace ridendo. Mi misi subito dopo alla scrivania a controllare le bollette, i versamenti. Parlai al telefono con piu persone tra commercialisti e avvocati. I soldi erano sempre di più. Nascondere soldi non è esattamente una cosa da nulla quando parliamo di milioni guadagnati illegalmente. Non li puoi versare, tantomeno spendere in circuiti legali. C'era un tipo che aveva una banca personale. Una cosa molto privata dove i soli dipendenti erano lui ed i suoi cinque figli maschi ed il suo caveau la cantina di casa sua. Una famiglia appassionata di armi da fuoco ma che si teneva lontanissimo dai guai. I figli erano tutti di estrema destra, campioni di arti marziali e di tiro all'arco ed alla carabina. Tre di loro erano nelle forze dell'ordine. Avevano costruito con le loro mani un caveau spettacolare. Pressoché inviolabile ed irrelevabile da qualunque dispositivo. I malavitosi ed i politici, gli imprenditori e gli uomini d'affari, persino membri della curia, tutti portavano i guadagni illeciti li. Chi per poco, chi per tanto, il tempo di farli sparire. Ero molto riluttante, ma avevo molto contante e dovevo assolutamente metterli da qualche parte il tempo che il mio consulente mi escogitasse qualcosa.
Chiamai Katia e feci preparare la macchina. Un mio amico finanziere mi avrebbe accompagnata. Dietro di noi, c'era un altra macchina con quattro persone che ci seguivano. La mia scorta. Tutti erano armati. Incontrai il mio amico fuori e mi accompagnò in un palazzo che sembrava fortificato. Entrammo e subito benne verso di lui un uomo anziano, sui ottant'anni, che lo abbracciò e ci invitò ad entrare dopo avermi fatto un inchino e detto "Bosslady". Mi lusinga che mi chiamasse cosi. Mi dava importanza, mi faceva sentire alla pari. Entrammo in un soggiorno austero, di marmo grigio e nero, molto fascista. C'era un ritratto del Duce che occupava gran parte di una delle pareti. Il soffitto era molto alto, il tutto conferiva un atmosfera di serio. Il mio amico e l'uomo parlavano scambiandosi convenevoli e poi entrammo in un immenso ufficio di gusti ancor piu orrendi del locale di prima. L'uomo sedendosi di fronte a noi si sentiva importante, si percepiva dalla condiscenza con cui parlava. Ero seduta composta. reprimevo la mia impazienza a malapena. Non ero venuto a vedere due galli mostrare la cresta. Chiesi in mezzo alla loro conversazione di chiudere perché avevo un altro appuntamento. L'uomo sembrò contrariato che lo interrompessi nel suo momento di gloria, ma parlammo subito di affari. Sei milioni di euro in contanti per un mese ad un prezzo di centomila dollari. Non firmammo nessuna carta. Ci demmo la mano.
Quando uscimmo, il mio amico mi disse ammirato: "Anche Carlo d'Inghilterra tratta affari con lui...". Non risposi. Gli diedi un bacio in bocca e lo ringraziai con degli occhi languidi. Stravedeva per me, sapeva che non mi avrebbe mai avuta, ma pur se non poteva possedermi, idolatrava me a tal punto di accontentarsi della mia presenza. Ogni volta che lo chiamavo, rispondeva, veniva.
Tornai al lavoro che erano arrivati quelli del gruppo nuovo. I ragazzi che avevano fatto la protesta avevano un altra espressione. Erano entusiasti. Nuove persone, meno lavori, e possibili amori. Ognuno di loro aveva una sua specialità erotica, ma erano tutti e rigorosamente bisessuali. Il mondo bisessuale apr a tutto. Scenari infiniti, tutti più belli gli uni degli altri. Anche con questa scelta, avevo fatto bingo. Uomini e donne che avevano sempre giurato di non essere bisessuali quando venivano da mer erano persone e basta. L'orgasmo, il piacere, non ha genere, non ha colori. È fatto di qualcosa che riunisce tutti i sensi, di accettazione e rifiuto, di amore ed odio, è rappresentazione di ciò che siamo. Conoscevo già le ragazze che avevano lavorato con me qualche volta. Una di loro non mi piaceva. Lo dissi a Grace. Cinque minuti dopo, non c'era piu. Le altre non erano male, dubitavo di un paio di loro, ma avremo visto. Gli uomini invece erano perfetti. Vestivano solo la mutande. E le mutande esplodevano sotto dei cazzi che attraverso il tessuto non nascondevano nulla della loro potenza. Erano tutti scolpiti, alti, neri davvero a parte uno solo di loro. Pensai che ad uno di loro avrei dovuto fargli rifare i denti che erano anneriti. Ma nell'insieme, sembravano prestanti.
Poi, andai in ufficio e mi chiusi a fare altre cose. Un paio di ore dopo, venne a bussare qualcuno. Grace era dall'altra parte della struttura a coordinare non so piu cosa. "Avanti" risposi quando bussano. Entro Adama. Il piu alto e bello dei ragazzi neri. Entrò con un sorriso timido. "Posso?" disse. "Siediti" risposi. Adama con molto imbarazzo mi spiegò che non poteva lavorare questa settimana perché doveva andare a Milano a trovare un parente malato, eccetera. Gli risposi che non c'erano problemi e lo congedai. Quando sta quasi davanti alla porta, ci ripensai. "Vieni qui..." gli dissi. Lui all'inizio non capi. Scostai la mia sedia dalla scrivania ed apri le gambe sorridendo in modo esplicito. Non se lo fece dire due volte. Si inginocchiò tra le mie gambe e senti una lingua enorme poggiarsi sul mio clitoride e cominciare leccarlo selvaggiamente. Sorrisi guardando la sua testa. Troppa foga... Avrebbe dovuto imparare. Non persi tempo. Mi alzai e mi sedetti sulla scrivania allargando le gambe. La gonna mi scese sui fianchi. Non portavo nulla sotto. Lui si sfilò maldestramente i pantaloni e cacciò fuori un cazzo simile a quello del figlio di mio amico Arthur. Quindi, enorme. Era già duro. Presi dal tavolo un flacone di lubrificante che una rappresentante mi aveva portato per la sua e spruzzai piu getti sulla mia figa che cominciò a colare. Mi penetrò senza fermarsi arrivando in fondo alla mia figa di colpo. Persi il respiro sentendomi invasa da un corpo straniero al mio corpo che spingeva sull'ultimo confine della mia figa. Era il genere di uomo che sapeva di avere un arnese fuori comune ed era convinto che bastasse per far godere una donna. Spingeva in me facendomi sentire la sua forza e riempiendomi straordinariamente la vagina che non ci mise molto a prenderlo nella morsa della goduria. La mia figa si strinse di piacere e la pelle rosa della mia figa usciva di qualche centimetro avvolgendo il suo cazzo come una specie di guanto. Mi teneva le gambe alte e sembrava sorpresa della resistenza della mia figa nell'atto della goduria. Rallentò ed oserà insieme a me i nostri organi che si fondevano. C'era molta luce, e le mie calze facevano pendant col colore del suo cazzo che luccicava pieno di lubrificante e della mia goduria che nel giro di due minuti ricopri il suo cazzo nero aumentando il contrasto del piacere. Riprese con un ritmo più blando. Lo tenevo per le anche, imprimendolo il movimento giusto, fino a dove uscire, fino a dove arrivare, come giocare con i tempi, l'esitazione del cazzo, il suo andar e venire in base a tutta una serie di cose che avrebbe imparato. Ma li per li, dovevo io guidare il gioco. E lui ci stava. Raggiungemmo un ritmo fantastico. Sentivo chiaramente il suo cazzo scivolarmi in figa ed uscire alla stessa velocità, fermarsi, spingere, accarezzarla, chiusi gli occhi e rovesciai la testa godendomi la sensazione predominante in quel momento: Il possesso. Venni un altra volta. Questa volta fu un lunghissimo orgasmo. Lui si muoveva a malapena, il mio bacino ruotava piano, mi godevo un formidabile momento. Poi, entrò Grace senza bussare...
Mandai Adama fuori e lo rassicurai sulla settimana che chiedeva, e mi misi a parlare con Grace degli affari della settimana.

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