Anulare

di
genere
poesie

Aveva un dente rifatto, che spiccava come la luna in una notte disperata.
Mi prese la prima volta in camera sua, mi montò sopra e cominciò a saltare, sua madre dall’altra parte del muro stirava, ascoltando Puccini in qualche opera giovanile.
La rividi anni dopo, faceva caldo. Non fece in tempo a entrare in casa, ad annusare l’aria, a sfilarsi gli zoccoli, e già si era abbassata i pantaloni. Neri, a vita bassa. Non portava le mutande.
In quei giorni la sentii venire più volte, ne voleva sempre di più, e le piaceva se glielo mettevo dietro. Infilava un dito in bocca, nella sua o nella mia, o in quella di entrambi. Poi prendeva quel dito - l’anulare – e se lo infilava dietro. Per questo si chiama così, anulare - mi disse – perché si infila nell’ano. Poi lo sfilava. Ora sono pronta, mi diceva. Fottimi il culo.
Aveva un ano stretto, pulito, ma per me si apriva tutto, e ne uscivano fiori e odori. Usciva il suo piacere ed entrava il mio. Fottimi il culo, per favore.
In quel culo entrava il dolore e ne usciva la fantasia.
Era abbronzata completamente, prendeva il sole nuda sul terrazzo, era acrobatica e disinvolta. Era nera come la follia.
Aveva solo il culo bianco, perché non si girava mai, non lo faceva vedere mai a nessuno, nemmeno al sole. Ma solo a me. Solo ai miei occhi e alla mia ingratitudine. Perchè quel culo era la luna piena e io una notte disperata.
scritto il
2021-10-26
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