Lezioni di mountain bike

Scritto da , il 2021-02-19, genere gay

Tommaso era probabilmente il ragazzo più impaziente a cui io abbia mai insegnato ad andare in mountain bike. Altri ragazzi andavano e venivano, a seconda del tempo e di quanto si sentivano motivati quella settimana, ma Tommaso era una presenza costante per le biciclettate della domenica mattina.
Li portavo nel bosco, insegnavo loro tutto quello che sapevo sulla mountain bike e l’unico pagamento che avessi mai richiesto era il loro entusiasmo.
Vivevo per quei giorni, all’inizio perché ero ansioso di comunicare tutto quello che sapevo e poi perché, con mia grande sorpresa, mi ero innamorato perdutamente di Tommaso.

Era con me da più di un anno prima che mi rendessi conto di quello che sentivo per lui.
Si era unito a noi a 12 anni con la sua luccicante nuova bici. Iniziò abbastanza tranquillamente, lottando un po’ con una bici un po’ troppo grande per lui e con le gambe non ancora abbastanza forti o lunghe. Ma aveva fegato ed entusiasmo e questo conta molto di più della maggior parte delle altre caratteristiche.
Onestamente devo dire che pensai che sarebbe durato tre o quattro settimane prima di arrendersi, ma invece continuò a venire, continuò ad applicarsi. Dopo un paio di mesi non era più l’ultimo della fila e dopo altri due mesi non era nemmeno verso la fine del gruppo. A volte, sulle salite più lunghe, mi guardavo indietro e lo vedevo in piedi sui pedali, digrignando i denti, i tendini delle gambe da puledro che sforzavano pronti a scattare, ad inseguirmi, a darmi la caccia, determinato a dimostrare a me e a tutti gli altri, che poteva farlo, che era abbastanza forte.

Poi gli anni passarono e ricordo la prima volta che mi sorpassò in salita, come fosse accaduto cinque minuti fa. L’immagine è impressa nella mia mente. Non stavo andando a tutta birra, stavo un po’ indietro, lasciando che alcuni dei ragazzi più grandi conquistassero la collina e controllando che alcuni dei meno abili non stessero troppo indietro.
Tommaso era stato verso il fondo della fila per la maggior parte del viaggio, il che era insolito per lui. Però, non appena attaccammo la parte più dura della collina, improvvisamente fece uno scatto e mi sorpassò, le giovani gambe pompavano con forza, il respiro era a scatti, aveva l’acciaio negli occhi.
All’inizio non mi riconobbe nemmeno, voleva solo avanzare, troppo concentrato per prender tempo di guardarmi, oppure ignorandomi deliberatamente perché cercava di farlo sembrare un giorno qualsiasi, non quello del suo trionfo.
Lo guardai allontanarsi, guardando i muscoli dei polpacci e delle cosce contrarsi, alzando gli occhi l’alto. Senza pensarci stavo guardando il suo culo stretto e sotto di esso, rannicchiato nella stoffa satinata dei pantaloncini lycra, la sacca di pene e scroto.
Rimasi colpito da quell’immagine. Il cuore mi balzò in gola, pedalavo senza dar retta al bruciore che stava crescendo nelle mie gambe. Tutto quello importava che in quel momento era che stavo lì, ad un paio di metri di distanza dal ragazzo, gli occhi incollati alla vista del suo stretto culo rotondo. Come gli avevo insegnato, era nudo sotto i pantaloncini.
Dopo di allora cercai ogni sorta di scuse per pedalare dietro di lui, soprattutto nei tratti in ripida salita dove si alzava sui pedali per aumentare la potenza.
Penso che fosse la quarta o quinta settimana dopo quella prima volta, che lui capì cosa stavo facendo. Pedalavo con calma mentre lui grugniva e sbuffava davanti a me ed io completamente assorbito dalla vista. I suoi pantaloncini erano nella sua fessura
ed era come se il suo culo fosse nudo. Ero così compreso che non lo vidi guardarsi intorno. Fu solo quando emise un delizioso piccolo riso e dimenò il culo verso di me che mi resi conto di essere stato sorpreso.
Lo guardai negli occhi, senza parole per il senso di colpa, ma lui semplicemente mi sorrise e spinse in fuori il culo ancora di più, facendo penzolare il rigonfiamento di cazzo e palle ancora più evidentemente, prima di pedalare a tutta velocità.
Le risate mi raggiungevano da sopra la sua spalla nella brezza.

Dopo di allora iniziai a notare un cambiamento nel modo in cui mi considerava, come se fosse costantemente alla ricerca di vedere che lo guardavo in modo perverso, non mi evitava e non faceva alcuno sforzo per impedirmi di guardarlo. Al contrario, effettivamente, sembrava invece incuriosito dall’idea che potessi essere interessato a lui in quel modo.
Questo non fermò il mio desiderio ma, per evitare rumors, feci lo sforzo di evitare di guardarlo, fino a che lui non mi disse che avrebbe smesso di venire alle nostre riunioni della domenica mattina.
Lasciai che le cose procedessero così, lasciai che abbandonasse il gruppo credendo, stupidamente, che fosse la cosa migliore da fare, come se scappare da un problema fosse meglio che affrontarlo a testa alta.
Gli dissi che mi dispiaceva, ma se era quello che voleva, andava bene così, non era obbligato a venire.
Se ne andò piuttosto imbarazzato ed io mi congratulai con me stesso per essere stato un po’ duro, ma di aver agito nel suo interesse.

Solo più tardi in quella settimana mi resi conto di che fottuto idiota ero stato. Stavo effettivamente permettendo a Tommaso di punirsi per qualcosa di sbagliato che avevo fatto io. Lo stavo deludendo permettendo che il mio attaccamento emotivo e la libidine per lui offuscasse il mio giudizio ed interrompesse i nostri rapporti. Era stato molto più facile per me lasciarlo andare via che non fargli affrontare la realtà ed essere l’adulto in quella situazione. Io avevo solo venticinque anni ma lui, il più giovane, si stava comportando in modo molto più maturo.
La risposta alla situazione fu ovviamente di chiedergli di tornare nel gruppo, l’unico problema era fargli arrivare il messaggio. Sapevo dove abitava, ma sarebbe sembrato un po’ strano venire fuori dal nulla e bussare alla sua porta.
Provai a cercare una scusa decente ma ogni opzione mi sembrava più assurda della precedente. Alla fine fu il caso a risolvere il problema per me.

Il mercoledì di quella settimana finii presto al lavoro ed entrai nel mio negozio di biciclette preferito, apparentemente per comprare alcuni pezzi, ma fondamentalmente per incontrarmi con i ragazzi che lavoravamo lì e fare un po’ di chiacchiere e vedere cosa era arrivato di bello quella settimana.
Conoscevo tutti i ragazzi molto bene e se non fosse stato per il fatto che amavo il mio lavoro, avrei potuto benissimo essere finito in quel negozio.
Stavo osservando alcuni splendidi nuovi modelli leggeri quando la porta del negozio si aprì ed entrò Tommaso.
Si bloccò per una frazione di secondo, vedevo nei suoi occhi che stava pensando di girare sui tacchi e andarsene, ma poi si fece coraggio ed entrò. Mi passò di fianco con un leggero cenno della mano e uno sguardo abbattuto sul viso, poi scomparve verso l’area di servizio. Lo sentii parlare con Davide e mi avvicinai un po’ per sentire cosa dicevano.

“È il movimento centrale.”
Stava dicendo Davide.
“I cuscinetti sono consumati, ecco perché senti quel rumore scricchiolante. Non è un buon segno. È un peccato, perché il resto è abbastanza a posto.”
“Quanto costa la riparazione?”
Chiese Tommaso con una nota di panico nella voce.
Sapevo che la sua famiglia aveva qualche problema coi soldi e la MTB era stata un po’ uno sforzo per loro, anche se era stata di seconda mano.
“Questo è il problema, non posso ripararlo. È una marca sconosciuta non uno Shimano per capirci. Ha anche dimensioni un po’ strane, anche se credo di averne uno. Costerebbe qualcosa come cinquanta o sessanta euro compresa la manodopera. Però per te farei quaranta, perché sei uno dei ragazzi di Berto.”
Mi sentii scaldare al sentire che erano “i miei ragazzi”, ma questo non aiutò Tommaso.
“Non sono più uno dei ragazzi di Berto.”
Disse ed il dolore era evidente nella sua voce.
“Sciocchezze.”
Dissi mostrandomi.
“Solo perché la tua bici è un po’ distrutta. Davide, ordina e monta la parte e la pagherò io. Ci devono essere una cinquantina di euro in parti di ricambio nel mio garage, possiamo fare uno scambio.”
“Va bene, amico. Affare fatto.”

Tommaso mi guardò mentre Davide si allontanava, le sue emozioni contrastanti erano scritte in grande sulla sua faccia.
“Perché l’hai fatto? Te l’avevo detto che non vengo più. Hai smesso di parlami.”
“Sì, beh, mi sono sentito uno stupido, ok? Non è stata colpa tua.”
“Cosa, perché ti ho beccato a guardarmi il culo?”
Mi sentivo un po’ imbarazzato. La mia faccia dovette essere diventata rosso vivo, visto quanto mi sentivo caldo.
“Sì, per questo. Mi dispiace, non volevo farti sentire a disagio.”
“Non l’hai fatto.”
Disse alzando le spalle.
“Voglio dire, non sono gay, ma se lo sei tu non ha importanza. Non mi importa che tu guardi. È come dire grazie per quanto tu sei gentile con tutti noi. Per averci portato in giro.”

Pensai che era una fortuna che fossimo in una parte deserta del negozio e che nessuno potesse ascoltaci. Stavamo entrando in un territorio molto pericoloso.
“Senti, Tommaso, non hai bisogno di farlo per ringraziarmi. È sufficiente che tu lo dica a parole.”
“Sì, ma lo voglio fare. E non mi dispiace, ad essere onesto.”
“Guarda, lasciamo perdere. Ho una gita davvero fantastica prevista per domenica. Perché non vieni con me?”
“Sarà come una volta, prima che succedesse? Voglio dire, prima che smettessi di parlarmi, non prima di iniziare a guardarmi così.”
Sorrise e guardò il pavimento. Sapeva di essere stato un po’ scortese, ma sapeva anche che non mi sarei arrabbiato con lui.
“Sarà proprio come prima, lo prometto. Non posso promettere che non guarderò il tuo culo però. Voglio dire, ce l’hai presente? È dannatamente incredibile!”
Diventò rosso scarlatto fino alla punta delle orecchie e mi preoccupai per un momento di aver bruciato la possibilità.
Ma mi guardò e sorrise dolcemente, la risposta gli morì sulle labbra quando Davide tornò dopo aver chiamato il fornitore.
“Dovrebbe arrivare domani il pezzo, così potrei finire il lavoro per sabato mattina, va bene? Farò un po’ di manutenzione alle altre parti.”
Tommaso ed io dicemmo contemporaneamente: “Sì, va bene!” e poi scoppiammo a ridere.
Quando uscii dal negozio un’ora dopo, mi sembrava di camminare sulle nuvole.

La domenica non arrivava mai, ma quando ficcai la testa in un varco fra le tende mi fu regalato uno spettacolo veramente deprimente.
La pioggia cadeva fitta spinta da un vento che sapevo sarebbe stato di un freddo pungente. Era sicuramente uno di quei giorni in cui devi decidere di combattere contro le intemperie o restare dentro, all’asciutto e al caldo, e fingere di avere altri lavori da fare.
Pensai di telefonare ai ragazzi e dire loro che la riunione era rinviata per il maltempo, ma poi pensai quanto sarebbe stato deluso Tommaso e cambiai idea. Non ero sicuro che sarebbe venuto, ma se lo fosse stato non volevo rischiare di deluderlo, quindi indossai il meglio della mia attrezzatura da pioggia, trascinai la bici fuori dal garage e a denti stretti mi diressi verso l’angolo del parco dove ci incontravamo ogni settimana.

Mancava poco alle 9 quando arrivai, ora che per alcuni ragazzi era considerato assurdamente presto, ma per me in realtà era un po’ più tardi di quanto avrei voluto. Non c’era nessuno in vista quindi mi misi con la bici sotto una pensilina dell’autobus e rimasi lì tremante, sentendo l’acqua che gocciolava lungo le gambe ed entrava nelle scarpe.
Aspettai a lungo raffreddandomi sempre più di minuto in minuto, ma non arrivò nessuno. Stavo per arrendermi e tornare indietro quando vidi comparire Tommaso che si avvicinò alla fermata.
“Scusa sono in ritardo!”
Ansimò.
“Ho litigato con mia madre per poter uscire per via del tempo, ma alla fine me lo ha permesso.”
“Va tutto bene, amico, capisco. Sei sicuro di voler uscire oggi? Siamo solo tu ed io.”
Mi aspettavo che fosse meno entusiasta dopo averlo sentito, invece i suoi occhi si illuminarono ed un grande sorriso apparve sul suo viso.
“Va bene, sarà più divertente solo noi due. Nessun altro tra i piedi.”
Sembrava una risposta del tutto innocente, ma fu solo col senno di poi che ne capii il significato. Forse fu è stato il sapere cosa è successo dopo che mi fa vedere così ma una cosa è assolutamente innegabile, mentre pedalavamo quel giorno c’era una tensione tra di noi che aveva molto di più a che fare, che non semplicemente superare il nostro litigio.
Anche se accorciammo il percorso e trascorremmo solo un paio d’ore fuori, quando tornammo in città eravamo entrambi congelati fino al midollo. Eravamo inzuppati e schizzati di fango e anche se c’era un senso di vittoria nell’aver sfidato gli elementi, c’era soprattutto la sensazione insistente che avevamo bisogno di riscaldarci.

Lo accompagnai fino alla fine della sua via e lo salutai, poi ritornai a casa mia. Mi sono sempre sforzato di fare le cose per bene quindi, anche se stavo cominciando a perdere la sensibilità nelle mani e la pioggia continuava a cadere, mi sforzai di pulire la MBT e spruzzare un po’ di lubrificante sulla catena perché che non si arrugginisse. Avevo appena sollevato la bici sui ganci sul soffitto del garage e mi stavo dirigendo verso casa, quando bussarono alla porta del garage. Aprii, entrò un vento gelido e c’era Tommaso con un’aria leggermente spaventata, lì fermo e bagnato fradicio.
“Ho perso la chiave ed i miei genitori sono fuori!”
Disse battendo i denti.
“Posso entrare? Per favore, non darò un fastidio.”
“Sicuro, entra! Non restare lì!”
Aveva portato la sua bici, quindi uscii velocemente e lavai via la maggior parte del fango col tubo, poi la portai nel garage, dove si trovava Tommaso che mi guardava con le braccia avvolte intorno a sé. Sembrava stesse diventando blu.

“Andiamo.”
Gli dissi.
“Entriamo e scaldiamoci.”

Mi seguì come un agnello smarrito in cucina, dove iniziai a gettare il mio abbigliamento da bicicletta direttamente in lavatrice. Tommaso mi guardava incerto.
“Togliteli, ti tengono solo freddo.”
Obbedì spogliandosi fino a quando non ebbe indosso solo i pantaloncini di lycra. Guardò per un momento come se stesse pensando di togliersi anche quelli e capii che sotto non aveva niente, ma poi ebbe paura ed io feci come lui tenendomeli su.
“Andiamo a farci una doccia, ti devi scaldare. Poi penso che ci siano delle cose del mio fratellastro che potrebbero andarti bene. È un po’ più giovane di te, ma andranno bene finché non sarai tornato a casa.”
“Grazie.”
Riuscì a mormorare battendo i denti. Mi seguì in bagno, io aprii la doccia regolandola fino a farla diventare calda e poi gli mostrai come aumentare la temperatura se lo desiderava.
“Aspetta solo un momento finché non ti porto un asciugamano.”
“Berto, aspetta.”
Disse, con uno sguardo leggermente disperato negli occhi.
“Non penso sia giusto che io entri per primo, è la tua doccia.”
“Ma tu sei più freddo di me. Va bene, davvero.”
“Sei sicuro? Sembri davvero infreddolito. Comunque, penso... penso di essere grande
abbastanza per... voglio dire che potremmo... no, dimenticalo. Scusa.”
“Entrare insieme, vuoi dire?”
Chiesi, il cuore mi batteva forte nel petto, speravo fervidamente che fosse quello che intendeva.
“Sì, voglio dire che... ha senso, non è vero?”
“Sì, certo che sì. Inutile che restiamo entrambi gelati, no?”
Scosse la testa e ridacchiò nervosamente. Sapevamo entrambi in che direzione si stava andando, era solo questione di quanto lontano si andasse e quanto velocemente.

Cercando di restare disinvolto, mi chinai e mi calai i pantaloncini sulle gambe e li feci uscire dai piedi.
Tommaso mi guardava mentre lo facevo, forse non rendendosi conto di quanto mi stesse fissando.
Però ero felice di lasciarlo guardare, perché significava che quando avessi finito, avrei potuto guardare lui.
La rivelazione fu lenta e tortuosa, perché la stoffa dei pantaloncini aderiva alla sua pelle. Il freddo lo aveva ridotto, ma a me sembrava ancora meraviglioso ai miei occhi. Era la prima volta da quando ero un ragazzo che vedevo un giovane cazzo del genere e all’improvviso capii cosa mi era mancato. Era adorabile appoggiato alle piccole palle.
Mi guardò, pietrificato, ma quando sorrisi calorosamente la mia approvazione, il sollievo gli inondò il viso. Mi sorrise timidamente e poi entrò nel box doccia. Non fu per errore che il suo avambraccio sfiorò il mio uccello mentre lo faceva.

La doccia si rivelò una cosa più tranquilla di quanto mi aspettassi, ma la verità era che eravamo più interessati a scaldarci che altro. Restammo sotto la cascata di acqua calda per almeno venti minuti, finché le nostre pelli non furono completamente rugose e notai che qualche cosa là in basso si era un po’ meno rimpicciolita. Il pene di Tommaso si rivelò abbastanza rispettabile quando si fu riscaldato un po’ e penzolava mollemente su un piccolo sacco.
Da parte mia ero diventato un po’ eccitato, il che mi faceva sembrare un po’ più grosso del normale, un fatto che non gli passò inosservato, lo stava fissando senza vergogna.

Quando uscì dalla doccia gli diedi il mio asciugamano in cui si avvolse e poi annusò, inspirando e sospirando di apprezzamento, con un accenno di sorriso sul volto.
Mi ci volle un momento per rendermi conto che stava annusando il mio profumo e che, lo volesse o no, era una delle cose più eccitanti che avessi mai visto.
Presi un accappatoio da dietro la porta e mi ci avvolsi per asciugarmi senza gocciolare lungo il corridoio alla ricerca di un asciugamano.
Tommaso mi seguì nella mia stanza dove avrei preso dei vestiti, ma per strada notai che zoppicava.
“Stai bene, ragazzo?”
“Solo un po’ rigida la parte posteriore della gamba.”
“Bene, possiamo porvi un rimedio se vuoi.”
“Come?”
“Beh, se non ti dispiace che lo faccia, potrei farti un massaggio.”
Mi guardò in modo strano per un momento, come se non mi credesse del tutto, ma
poi se ne rese conto e un sorriso sornione gli illuminò il viso.
“Sì, facciamolo,” rispose, la sua voce era roca per l’eccitazione.

Tremava leggermente mentre giaceva a faccia in giù sul mio letto, con l’asciugamano
ancora avvolto intorno alla sua metà inferiore. Lo guardai sdraiato, a testa alta, le braccia conserte e vidi la perfezione. Da dove i capelli incontravano la nuca, al collo, giù attraverso le protuberanze della colonna vertebrale, alle scapole e le piccole creste dove la pelle era tesa sulle costole e più in basso, ai forti muscoli della parte bassa della schiena e del dolce gonfiore del sedere, troppo nascosto dall’asciugamano.
“Sarà più facile arrivare alle gambe se lo tolgo.”
Dissi tirando leggermente l’asciugamano.
“È ok?”
Annuì con entusiasmo, gli occhi già chiusi e il tremito divenne un acuto brivido di attesa.
Le natiche si strinsero ed ebbi la netta impressione che si fosse schiacciato un po’ sull’asciugamano.
Non persi tempo per scoprire il mio premio, finalmente avrei messo le mani sul ragazzo. Il cuore mi martellava nel petto ed ero stordito dall’assoluta intensità dell’attesa.

Sapevo che aveva un culo perfetto, lo sapevo da tempo, dalla prima volta che mi ero reso conto di provare qualcosa di più dell’affetto paterno per lui. Era stato il primo ragazzo che avesse innescato in me quel tipo di sentimenti, ma quando tirai via l’asciugamano e mi inginocchiai sopra di lui, sapevo di aver trovato una nuova ossessione: giovani culi di ragazzi.
Quello di Tommaso era sicuramente il miglior esemplare della regione. Era snello ma rotondo, impertinente senza sporgere oscenamente.
Mi fece venir voglia di immergervi immediatamente la lingua, cosa che fino a quel momento della mia vita non avevo mai considerato. Avevo l’acquolina in bocca all’idea di mettere la mia lingua nella sua fessura.
Ma non era quello per cui eravamo lì, e senza dubbio lui avrebbe pensato che ero uscito di testa se l’avessi fatto, quindi aprii la bottiglia di olio da massaggio che avevo comprato una volta ad una fiera e non avevo mai usato, e lo scaldai un po’ nei palmi delle mani.

Oh Dio, la sua pelle era liscia. Oh così liscia. Non me lo aspettavo ma fu una sensazione così meravigliosa sotto le mie dita, che al contrario sembravano di carta vetrata.
Fece le fusa e inarcò la schiena, sollevando il piccolo culo verso di me mentre facevo scorrere le dita lungo la sua gamba.
All’inizio fu solo massaggio perché aveva davvero i muscoli delle gambe tesi e che dovevano essere allentati. Ma dopo averlo fatto mi permisi di giocare un po’.
Anche lui sembrava felice di essere a gambe aperte e di mostrarmi, da dietro, la bella sacca con la pelle avvolta intorno alle palle.
Lavorai sempre più in alto sulle cosce, finché non fu abbastanza chiaro che le mie intenzioni non erano innocenti.
Lasciai che i miei pollici sfregassero contro le parti interne delle gambe, giù nella cavità dove incontravano l’inguine, e poi su alla base dura del suo uccello.
Sussultò e sbuffò, strofinando il viso contro le lenzuola, ma non fece nulla per fermarmi, anzi allargò un po’ le gambe e sollevò il sedere.
Ora le palle nel loro sacco di seta erano contratte, era molto, molto eccitato.

Tornai per un attimo alle gambe, con l’intenzione di allargarle di più e lavorarci ancora di più, ma poi non riuscii a trattenermi e tornai subito al suo posteriore, avendo finalmente la possibilità di impastare la sua perfezione arrotondata.
Lui emise un piccolo rumore piagnucoloso quando lo feci, poi gemette e rabbrividì quando passai il polpastrello del pollice sulle sue rughe.
Lo feci di nuovo solo per vedere che tipo di reazione avesse e rimasi scioccato e deliziato nel sentirlo spingere indietro contro il dito.
Riportai il pollice sul suo l’ingresso, lo lasciai lì, Tommaso sollevò i fianchi dal letto e spinse indietro con forza, finché il mio pollice non scivolò dentro, oltre la prima nocca, facilitato dall’olio da massaggio e dal suo essere rilassato.
Ci bloccammo, incerti sul da farsi. Avrei detto che non era la prima volta che aveva qualcosa nel sedere, ma era così giovane che sembrava improbabile.
Quando piegai il pollice e gli colpii la prostata, emise un enorme sospiro, che si trasformò in un gemito. Spinse e poi si allontanò, scopandosi sul mio pollice.
Esperto o no, sapeva come divertirsi.

Rimanemmo così per un po’, io tenendo il pollice in posizione e di tanto in tanto flettendolo, lui muovendosi su e giù.
Le sue mani si abbassarono sotto il suo corpo e sapevo che si stava masturbando mentre io tenevo il pollice nel culo.
Il suo respiro si fece affannoso e ci fu qualche contrazione del suo sfintere, sapevo che si stava avvicinando al limite.
Probabilmente avrebbe potuto venire e poi proseguire, ma volevo che la sua prima volta con me fosse una cosa diversa. Tirai fuori il pollice con uno schiocco e gli diedi un colpetto sul sedere.

“È ora di voltarsi.”
Dissi,e lui obbedì immediatamente, anche se con le mani si coprì l’inguine.
Mi sorrise, dando piccole occhiate scherzose all’unica cosa che non avevo ancora visto: la sua erezione.
“Mostramelo!”
Ordinai e lui, con un ultimo sorriso impertinente, alzò le mani sopra la testa.
Era il cazzo più perfetto che avessi mai visto. Abbastanza lungo, il prepuzio copriva la punta, il bagliore della testa visibile attraverso il suo cappuccio come una dolce alba. Stava ritto orgogliosamente, sussultava al il suo battito cardiaco e vene azzurre si ramificavano di qua e di là sotto l’alabastro traslucido della pelle. Era perfettamente dritto e duro come un chiodo.
“Bello.”
Commentai con evidente emozione nella voce.
Ridacchiò e si coprì il viso con le mani, gemette e scosse la testa come per dire ‘cosa ho fatto?’
Però non gli diedi la possibilità di ripensarci. Ora sapevo qualcosa che non avevo mai realizzato prima, volevo davvero, davvero il suo pisello nella mia bocca.
Dovevo averlo. Avevo l’acquolina al pensiero di succhiarlo.
Senza perdere tempo mi chinai sopra di lui e lo succhiai completamente in bocca. Tutto, fino alla radice.

Chiunque abbia avuto in bocca un uccello saprà quale meravigliosa sensazione è. Puoi percepire ogni piccola increspatura e farlo urtare contro le tue labbra sensibili. Puoi sentire il sapore del ragazzo: pelle, sudore e qualcosa di carnoso e indefinibile e puoi sentire il calore irradiarsi mentre masse di sangue vengono pompate.
Il suo prepuzio mi solleticava il fondo del palato e la sua lunghezza giaceva lungo la mia lingua come se fosse stata creata per stare lì, e solo lì.
Quasi venni solo alla sensazione di averlo fatto scorrere tra le mie labbra.

Anche Tommaso era piuttosto colpito, ansimava, gemeva, piagnucolava, sollevando disperatamente i fianchi per incontrare la mia bocca. Era in paradiso, proprio come lo ero io.
Non avevo modo di sapere se quella era la prima volta che veniva succhiato, quindi non avevo altra scelta che renderglielo speciale.
Aspirando la punta, succhiando più forte che potevo, poi tirai indietro il prepuzio con le labbra e lasciai che la cappella sensibile sfregasse sulla mia lingua ruvida.
Chiuse gli occhi e afferrò le lenzuola finché le sue nocche non diventarono bianche e scosse la testa da un lato all’altro mentre io facevo il miglior pompino della mia vita.
Sapevo anche cosa lo avrebbe fatto volare oltre il limite. Allungai una mano tra le sue gambe alla ricerca del buco, morbido e cedevole, e lo penetrai con il pollice.
Avevo ragione. Impazzì, dimenandosi come non avevo mai visto con nessun altro amante, uomo o donna. Era così agitato che fu una questione di altri trenta secondi e sussultò, il muscoli dello stomaco vennero in rilievo mentre il suo cazzo svuotava il suo carico nella mia bocca.
Il suo orgasmo fu spettacolare ed arrivò in due ondate; pensavo fosse finita quando iniziò ad agitarsi, questa volta gridando forte mentre le sue sensazioni si intensificavano.

Alla fine lo lasciai rilassare e tolsi il pollice.
Rotolò su di un fianco, sollevando un ginocchio e abbracciandolo.
Io mi sdraiai dietro di lui, afferrandolo in un abbraccio, stringendolo a cucchiaio.
Ero più alto di lui ma, con la sua testa sotto il mio mento, la mia virilità era all’altezza del suo culo.
Speravo non avesse problemi mentre lo stendevo lungo la sua fessura.
Rimase immobile per un po’, respirando affannosamente, tremando di tanto in tanto come se fosse tormentato dalle scosse di assestamento del suo orgasmo.
Lo tenevo stretto a me e lui teneva le braccia avvolte attorno a una delle mie, trattenendomi, rannicchiandosi nel mio abbraccio.

Ero ancora duro, giacqui inerte per alcuni istanti, ma poi iniziai a strusciarmi delicatamente. La punta del mio uccello cadde naturalmente nella valle del suo fondo schiena e mi chiesi se c’era qualche possibilità che potessi entrare.
Non parlammo, comunicammo attraverso il movimento dei nostri corpi.
La sua accettazione non arrivò attraverso le parole ma attraverso la leggera pressione all’indietro che esercitò sulla punta del mio pene.
Lo tenne lì, senza penetrazione, ma non semplicemente strofinandoci contro l’ingresso.
Il tempo passava mentre restavamo nel nostro abbraccio, il morbido, caldo anello del muscolo che si rilassava lentamente, si allargava, si adattava.
Quasi non mi resi conto di essere alla fine scivolato dentro finché il suo anello non cedette, abbrancando il rigonfiamento della mia cappella.
Ansimò, piagnucolò e tremò dalla testa ai piedi. I suoi occhi erano ben serrati e le unghie scavavano nel mio braccio.
Lo tenni stretto a me e lo baciai sulla testa.
Guardando in giù per tutta la lunghezza del suo corpo, vidi il suo pene raggrinzito appoggiato sul suo fianco.
Mi fermai e provai a tirarmi indietro, ma la sua mano si allungò indietro e si posò sul mio fianco.
“Va tutto bene. Se vuoi farlo, puoi.”
Sussurrò.
C’era dolore nella sua voce, ma anche qualcos’altro. Desiderio? Amore?

Feci l’amore con lui nel modo più gentile che potevo, muovendo i fianchi, facendolo lentamente. Mi sentivo come se non ci fosse nient’altro al mondo mentre mi muovevo delicatamente dentro e fuori.
Il calore e la morbidezza setosa, uniti alla pressione del suo stretto giovane buco mi portarono ad un orgasmo travolgente molto prima che volessi finire.
Feci un’ultima, profonda spinta e lasciai andare un’inondazione titanica dentro di lui.
Quando fui di nuovo immobile, sospirò profondamente e mi abbracciò.

Poi ci addormentammo.
Mi svegliai per primo, dopo l’ora di pranzo, con il sole che filtrava dalla finestra.
La tempesta mattutina era stata spazzata via ed era un bel pomeriggio.
Tommaso si mosse assonnato e si stirò, poi si voltò verso di me e sussultò, chiaramente si era dimenticato di dov’era.
Gli sorrisi e lui mi ricambiò con un sorriso debole e nervoso, che si rafforzò quando feci scorrere la mano verso il basso e sopra l’anca alla ricerca del morbido pisello e delle palle.
“Allora non mi odi?”
Chiese con un tremito nella voce.
“Certo che no! Perché dovrei odiarti? È esattamente il contrario.”
“È solo che...”
Si fermò aggrottando le sopracciglia. Sembrava che stesse cercando di ricordare qualcosa. Poi scosse la testa.
“Non importa.”
Disse, si voltò per strofinare il naso contro la mia spalla e per poi adagiarci sopra la testa.
“Non avevi perso la chiave, vero?”
Rimase in silenzio per un lungo momento prima di rispondere.
“No, è nel mio zainetto.”
Potevo sentire la durezza della sua erezione contro la mia coscia.
Nel caldo sole pomeridiano, facemmo l’amore pigramente.

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