Diario di un usuraio 10 l'amica della madre di Irene

Scritto da , il 2021-01-11, genere prime esperienze

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Gli affari andavano sempre meglio ed incominciavo ad essere infastidito dalla necessità di stare sempre in ufficio a fare le solite trafile con i clienti che venivano a pagare, ma soprattutto a chiedere di spostare le scadenze e chiedere altri soldi per pagare i debiti precedenti per cui decisi che era il momento di far scendere in campo Irene.
Andai in ufficio e le dissi che saremmo andati a fare shopping con sua enorme soddisfazione. In centro le comperai gioielli, in particolare in oro che risaltava moltissimo sulla sua pelle chiara. Cenammo sulla terrazza della camera che avevo preso all’Hilton prima di scoparla su un letto sofficissimo. Solo dopo cominciai a spiegarle il mio progetto, mentre ammiravo con quanta naturalezza stava nuda in poltrona, con le cosce spalancate.
“Ormai sai il lavoro che faccio, ti piacerebbe essere la mia vice?”
Rimase in silenzio, ma si leggeva in faccia la soddisfazione. Si alzò e venne ad inginocchiarsi tra le mie gambe.
“Non posso offrirmi come tua schiava, perché già lo sono, ma le garantisco che non se ne pentirà e che farò in modo da farle guadagnare un sacco di soldi e avere nel letto un sacco di ragazze sempre nuove”
“Come prima cosa smettila di darmi del lei. Sei sempre di mia proprietà, ma fino a quando non mi deluderai ti faccio stare alla pari” le dissi
“Ho le vertigini! Davvero posso darle…… anzi darti del tu”
“Si, adesso smettila dobbiamo lavorare.”
“Agli ordini padrone. Faccio tutto quello che vuoi. Posso ordinare una bottiglia di Champagne?”
Senza neppure darmi il tempo di rispondere era al telefono a chiedere al service room dell’hotel di mandare la bottiglia di Champagne raccomandassi che fosse la bottiglia più cara e che a portarla fosse la cameriera più cara dell’Hotel.
La cameriera era veramente carina.
“Ti piacerebbe avere cento euro di mancia?” le disse
“Si, certo magari.”
“Allora per cento euro tira su la gonna e fai vedere le gambe al signore” e tirò fuori la banconota dal portafoglio sventolandola a mezzaria.
“Che altro dovrei fare……” chiese la cameriera guardinga
“Per cento euro nient’altro”.
La cameriera si tirò su la divisa e mostrò le sue due belle gambe.
“Ti piace?” mi chiese mentre la biondina rimaneva in attesa del mio giudizio
“Quando finisci il turno?” le chiese Irene intenzionata a concludere
“Tra due ore…”
“Quando finisci torna qui e per mille euro ti fai scopare dal signore. Ti sta bene?”
Rossa come un drappo di stoffa balbettò “Va bene”
“Ti piace il regalino? Che altro vuoi che faccia?” mi disse Irene
“Grazie del pensiero, ma adesso parliamo di lavoro. Come prima cosa devi aver ben chiaro qual è il nostro obiettivo. Noi dobbiamo puntare a prendere tutto quello che ha il soggetto che si rivolge a noi. Dobbiamo farci pagare gli interessi che vogliamo, ma per mangiare l’intera torta l’importante è non accontentarsi mai. Non dobbiamo pensare a quanto ci paga, ma a quanto ci deve ancora dare.”
Mentre parlavo fui interroto da un bussare leggero alla nostra porta, era la cameriera di cui ci eravamo scordati e Irene era felice di rivederla.
“Ciao, benvenuta! Ti dispiace togliere quegli orribili jeans e mostrare la merce?”
Si chiamava Nunzia, era sposata da poco tempo, prendeva circa 800 euro al mese e arrotondava con le mance. Si spogliò mettendo gli abiti sulla poltrona e rimase in attesa di ordini coprendosi le tette e la figa con le mani.
Intervenne Irene e le diede i mille euro. Poi se la portò a letto e si mise a carponi su di lei, con la sua figa sulla bocca di Nunzia che si ritraeva schifata.
“Non hai mai leccato una donna? Ti ho pagata e adesso fai quello che voglio, altrimenti chiamo la direzione e gli dico che sei venuta ad offrirti per una marchetta.”
Nunzia era sconvolta, aveva accettato di farsi scopare da me per quel mucchio di soldi, ma leccare una donna proprio non ci riusciva. Irene aveva preso in mano il telefono, rimanendo nella stessa posizione in attesa della sua lingua.
“Ti decidi o chiamo la direzione?”
Con disgusto Nunzia cominciò a leccare i peli di Irene, la quale aprì la figa e gliela calcò in bocca facendo beccheggiare il bacino.
“Dai forza con quella lingua, voglio che me la fai entrare fino in fondo, entraci dentro…”.
Se la stava godendo e continuò fino a godere.
“Dai è tutta tua.” Mi disse
La misi a pecorina e infilai il cazzo in quel culetto morbido e tenero. Incominciai a sbatterla senza fermarmi, non so quanto tempo rimasi a pompare, ma alla fine mi rovesciai sul letto esausto. Mentre provava a rivestirsi Io e Irene sghignazzavamo vedendo che non riusciva neanche a infilare le gambe nei jeans da quanto tremava.
Riuscì comunque a vestirsi e andare via e noi la seguimmo da lì a poco.
Appena arrivati in ufficio, mentre si rideva ancora di Nunzia, arrivò una telefonata era la madre di Irene
“Ciao, come stai, ho tanta voglia di vederti…” disse
“Chi ti credi di essere? Mi hai stufato con questo tu. Non siamo mica amici! Sei solo una troia che mi sono scopata!” le risposi
“Mi scusi mi sono fatta prendere dalla contentezza di presentarle una mia carissima amica che desidera diventare sua cliente e non solo….a questo punto non le chiedo di venire nel mio studio, ma le chiedo il permesso di venire da lei con la mia amica.”
“Credo che sia meglio, spero che non mi farai perdere tempo.”
“Le chiedo solo di essere un po’ indulgente con la mia amica, è un po’ timida.”
“Conosce le regole della casa?”
“Certo, per quello sono lieta di presentargliela.”
“Vedremo, puoi pure venire.”
Appena arrivate Irene chiese alla madre:” lo fai tu un caffè per il dottore e per la tua amica?”
Lei andò, subito dopo il bacio di rito che io prolungai volutamente, mentre infilavo una mano sotto la gonna per far capire all’amica che non era entrata in un collegio di educande
Dopo avermela presentata era andò a fare il caffè.
Jennifer così si chiamava era in evidente imbarazzo e molto nervosa, ma si fece avanti che era un medico e che in città mancava una clinica privata di lusso.
La madre di Irene intanto tornò e disse:” è la nuora dell’industriale di salumi, il romano…”
“Allora credo che tuo suocero non abbia bisogno di me per impiantare una nuova attività?” dissi
“E’ questo il problema, voglio fare da sola e non voglio chiedere nulla a mio suocero, non è una questione di soldi, ma non ne posso più di stare chiusa in casa, perché secondo loro non sono in grado di fare nulla. Lì non si muove una foglia che non voglia mio suocero e mia suocera è anche peggio”
Era molto carina, ma era vestita come una suora. Elegante, lasciava immaginare un corpo sinuoso e sodo.
“E tuo marito?” Le dissi
È incapace anche di soffiarsi il naso se non glielo dice suo padre.”
“Perché te lo sei sposato?”
“Sono sincera, la mia famiglia non se la passava bene e vedere che un ragazzo ricco mi faceva la corte mi lusingava e poi pensai che vivere nel lusso non mi dispiaceva.”
“Ho capito la tua situazione mi sembra disperata, per aprire un centro come quello che hai in mente servono un sacco di soldi e senza la firma di tuo suocero o tuo marito…”
“Mai me la darebbero e mai gliela chiederei”
“Le ho spiegato tutto io.” Disse la madre di Irene
Non dissi nulla, ma guardai Jennifer in faccia che era diventata rossa dalla vergogna.
“Se lei ritiene che sono all’altezza…” disse
“Hai un bel corpo, almeno mi sembra, ma quello che conta è che tu abbia determinazione. Te lo dico perché mi sembri un po’ freddina e non si tratta di fare una sfilata di moda, sei tu che ti devi offrirti ai clienti e farli divertire, clienti di ogni tipo, mica bei ragazzi educati….”
“Quando eravamo in macchina, disse la madre di Irene mi ha detto che piuttosto di morire a casa dei suoceri, preferisce battere sulla Aurelia.”
“Be non esageriamo.”
“Invece dobbiamo proprio esagerare, perché se diventi di mia proprietà e di ordino di battere sulla Aurelia devi dire di si senza fiatare ok?”
Maria la madre di Irene sgranò gli occhi per la mia durezza che rischiava secondo di lei di fare chiudere a riccio Jennifer, ma io avevo prima di tutto bisogno di distruggere il suo forte orgoglio e misurare quanto fosse incazzata, per vedere se era lievitata al punto di rendela completamente disponibile.
“Lo dicevo perché pensavo di meritare qualcosa di meglio dell’aurelia” mi disse
“Che cosa hai contro la Aurelia? Maria la tua amica fa la mignotta e a quanto pare anche tu vuoi fare la mignotta per avere i soldi per il tuo progetto giusto?”
“Giusto.”
“Non sono nata ieri e so cosa significa fare la mignotta.”
“ allora vieni qui, tirati su la gonna e fammi vedere” le dissi
Esitò un attimo, perché sapeva che sarebbe stato uno spartiacque che avrebbe ricordato per tutta la vita. Fu solo un attimo e la gonna era su mostrando le gambe. Le afferai le mutandine e gliele calai alle ginocchia e la lasciai così, mentre andai ad accarezzarla sulla fighetta perfettamente rasata. Era tutta bagnata e sobbalzò in un attimo, mentre le infilai un dito che scivolò dentro risucchiato dalla voglia repressa da chi sa quanto tempo.
“Non sei affatto male le dissi, ma come la metti col cornuto di tuo marito? Avrai da lavorare anche di notte, dovrai vestirti in modo diverso”. Avevo cominciato a strofinale il clitoride che era come una caramella e lei ansimava e si piegava ogni tanto per godersi la mia mano.
“Se lei mi mette a lavorare, potrei lasciare il cornuto.” Disse
Tolsi la mano dalla figa di Jennifer e le ordinai di spogliarsi. Rimasta completamente nuda era molto più bella che con quei vestiti che la sacrificavano.
Con la mano tra le cosce sode la tirai verso di me e la feci sedere sulle ginocchia. Avevo proprio voglia di divertirmi con le sue tette sode e dai capezoli appuntiti.
“Quando vuoi cominciare?” le dissi
“Anche subito”
“No, stasera torni a casa da tuo marito, domani prendi le tue cose e ti trasferisci da me, dobbiamo discutere di tanti particolari e ti voglio scopare, poi vedremo.”
“Come vuole lei.”
Andò via con Maria, mentre io rimasi a pensare al business del centro medico, l’idea era buona e potenzialmente molto redditizia. L’avrei aperto a suo nome, ma i guadagni e le marchette che faceva sarebbero spettati a me finchè non avesse estinto il debito. Di sicuro me la sarei tenuta un po’ per spassarmela. Era bella e avevo voglia di tenerla nel mio letto fino a quando non mi sarei stufato.

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