Lo Spazio del Master - prima parte -

Scritto da , il 2019-03-05, genere dominazione

Estate, caldo "record", sera, Pianura Padana, attico. Il Master era seduto all'estremità del lungo tavolo di rovere, in attesa che la schiava gli servisse la cena.

A parte il robusto collare di cuoio con la fibbia bloccata da un piccolo lucchetto, le calze autoreggenti e gli stivaletti col tacco alto, Eleonora era completamente nuda. Imbavagliata con un gagball rosso di grandi dimensioni, aveva le braccia legate tra loro con una corda di canapa dietro la schiena, all'altezza dei gomiti, quasi uniti fra loro.

La mansarda era ampia, ma la cucina piuttosto piccola. Due metri di larghezza per quattro di lunghezza, ed a metà, teso fra le pareti più strette, a circa due metri e mezzo dal pavimento, correva un robusto cavo d’acciaio. Un pezzo di catena in plastica, visibilmente poco robusta, era agganciata a quel cavo con un moschettone da alpinismo. Poteva scorrere da un'estremità all'altra e nelle fasi di preparazione, il collare di Eleonora veniva agganciato all’estremità inferiore di quella catena. Poteva quindi spostarsi nella cucina, raggiungere il lavello, il piano cottura e quello di lavoro, aprire e chiudere il frigorifero e la dispensa. Tutto le era facilmente accessibile, benché con le braccia legate a quel modo, fosse obbligata torcere il busto ed a lavorare sul fianco, sia per preparare i cibi che per cuocerli, costretta ad usare una sola mano per volta. Se qualcosa le fosse caduto a terra, però, la catena sarebbe stata troppo corta per consentirle il recupero, o per essere più precisi, poteva farlo, ma la catena si sarebbe rotta, cosa che le avrebbe procurato una severa punizione. Peraltro, anche il cibo o l’oggetto caduto sul pavimento, che il Master avrebbe visto se non l’avesse raccolto, determinavano una punizione.

Soltanto a cottura terminata il Master le liberava il collare dalla catena, così che Eleonora potesse spostarsi tra i due ambienti per servirlo. Operazione non meno complessa del cucinare, con le braccia sempre legate a quel modo, e comunque da eseguire mettendosi ogni volta sul fianco, e con una sola mano. Fra i compiti di Eleonora anche quello di rabboccare il calice di cristallo del Master, versando il vino dal decanter. Refill da eseguire ogni volta che lui beveva, così che il livello restasse costantemente uguale. Per far ciò doveva mettersi di lato e piegarsi sulle ginocchia per afferrare il calice “alla cieca”, portandolo poi sul bordo del tavolo. Un’analoga sequenza era necessaria anche per il decanter, con il quale riempiva il bicchiere. Infine, ripetendo al contrario gli stessi movimenti, Eleonora doveva rimettere subito al loro posto sia il calice che la bottiglia. Tutte queste operazioni doveva compierle muovendosi in modo sinuoso ed elegante, e quando non aveva nulla da fare nell'immediato, sapeva di doversi inginocchiare a fianco del Master, seduta sui talloni, col busto eretto e lo sguardo basso.

Non era la prima volta che Eleonora cucinava e serviva il Master, ma non era mai accaduto di dover apparecchiare e servirlo tra le gambe aperte di una ragazza nuda, legata sul lungo tavolo della sala da pranzo. Anzi, era proprio la prima volta che una terza persona era presente durante le loro sessioni. Un limite che Eleonora aveva inizialmente posto al Master era stato proprio quello di non coinvolgere terzi e lui l’aveva accontentata. Di tanto in tanto le domandava se pensava di saper controllare la gelosia, e lei, alla fine, aveva detto di sì. Per diverso tempo l’argomento non venne più trattato, ma quando il Master le disse se era pronta a dimostrargli ciò che aveva affermato, accettando la presenza di una seconda schiava, per Eleonora fu come svegliarsi da un sogno. Capì che si sarebbe trovata in una situazione in cui non era affatto sicura di poter gestire le proprie emozioni come invece aveva detto. Il Master notò quanto si fosse irrigidita per quella proposta esplicita e le disse che poteva ancora tirarsi indietro. Il desiderio di non deluderlo e l’orgoglio di mostrarsi all’altezza delle sue aspettative, la spinsero però a confermare quell’accettazione data qualche tempo prima, con un po’ di leggerezza.

Quella ragazza poteva avere la sua stessa età, sui trentacinque anni ed anche fisicamente le somigliava, piccola ma molto formosa, con capelli corti a caschetto tinti di rosso. Era distesa supina sul tavolo, imbavagliata con un gagaball simile al suo, bendata con una di quelle mascherine che alcune persone usano in aereo per dormire. Completamente nuda, indossava uno di quei minuscoli vibratori per clitoride a forma di farfalla, che il Master accendeva e spegneva a sua discrezione durante il pasto.

Vedendola dall'alto avrebbe avuto la forma di una Y, immobilizzata com’era a gambe divaricate e con le braccia tese sopra la testa, i polsi uniti e legati per mezzo di una corda doppia che andava all’altra estremità del tavolo. Le cosce affusolate erano sul tavolo e le ginocchia all’altezza dei bordi, ma la gamba era piegata e scendeva in basso, anzi, un po’ all’indietro. Due corde le imprigionavano le caviglie ed erano poi state legate al grosso piede del tavolo.

Due cappi, ricavati da sottili corde di canapa le imprigionavano i capezzoli. A loro volta, quelle piccole funi salivano verticalmente fino ad una minuscola carrucola fissata al soffitto, proprio sopra di lei. Le estremità che scendevano dalla carrucola erano poi legate ad un peso, forse un mezzo chilo, che manteneva la trazione costante, anche qualora la ragazza sollevasse la schiena dal tavolo, inarcandosi. Cosa che accadeva nel momento in cui il Master attivava il vibratore appoggiato al clitoride, regolando al massimo l’intensità della stimolazione.

A cena ormai conclusa, Eleonora era in ginocchio, seduta sui suoi talloni, attenta a non perdere quell'equilibrio precario. Guardava di sottecchi la grande croce di legno a forma di X piazzata al centro della stanza e si domandava se fosse destinata a lei, od alla sconosciuta. Per un attimo, Eleonora si domandò cosa ci facesse lei, giovane donna con una posizione di responsabilità e sposata, in quella situazione ed in quelle condizioni.

Aveva fortemente voluto Carlo sin dai tempi delle scuole superiori. Appena diciassette anni lei, lui maturando. Alla fine, dopo sette anni di frequentazione, se l’era sposato. Nulla di strano, visto che
Eleonora i suoi obiettivi li conquistava sempre e poche potevano rivaleggiare con lei per volontà, abnegazione e determinazione. Se decideva di volere qualcosa, alla fine, in un modo o nell’altro riusciva ad ottenerlo. Abnegazione e determinazione non escludono la possibilità di prendere abbagli ed è sottilissima la distanza che separa la determinazione dall’ostinazione.

L'idea che Eleonora si era fatta del marito era una sua costruzione mentale, nulla che potesse lontanamente assomigliare a ciò che era veramente. Un uomo passivo, quasi un vecchio in un corpo giovane, le cui passioni si riducevano al collezionare oggetti di valore da mostrare agli amici.
Insomma, come tante, anche Eleonora si svegliò solo dopo averlo sposato, rendendosi conto che per lui, lei era una fra le tante cose belle che possedeva e che gli piaceva sfoggiare. Dal suo punto di vista, non c’era poi molta differenza tra lei ed un’auto sportiva, o con la moto di grossa cilindrata. Ne ebbe la prova quando decise di mostrarsi fredda nei suoi confronti, e lui non ci fece nemmeno caso.

Responsabilità di lavoro e responsabilità anche in ambito domestico, con un marito perenne adolescente da accudire ed a cui non desiderava appartenere, che non sarebbe mai riuscito farla sentire “curata e protetta”, Eleonora finì per guardare altrove.
Inizialmente non si rese conto dei suoi bisogni ma una serie di coincidenze fortuite, o forse scritte nel destino, la fecero avvicinare al mondo bdsm, da cui si sentì sempre più attratta. Aveva già avuto altre relazioni prima di incontrare il Master, una di queste, con un uomo che si definiva “un master molto cerebrale”.

Cerebrale lo era, ma discutibilmente cerebrale, anzi, solo discutibilmente cerebrale. Per la posizione che occupava Eleonora non poteva essere distratta da richieste ridicole, incompatibili agli impegni del ruolo dirigenziale che ricopriva. Sarebbe stata sufficiente un’intelligenza nella norma per capire che non si abbandonano su due piedi riunioni in cui si parla di budget, di strategie e di piani industriali, né si congedano all’improvviso clienti importanti nel mezzo di una trattativa. Un sms del “master cerebrale” e lei doveva interrompere qualsiasi cosa stesse facendo, per telefonare a quello che alla fine si era rivelato un egocentrico, narcisista, insicuro, che nulla voleva da lei, se non veder confermata la sua influenza su Eleonora. Quasi sempre indisponibile ad incontri dal vivo, bondage e frusta poco, sesso neanche per sbaglio, si videro talmente di rado, che “sporadicamente” non dipinge la rarità di quegli incontri. Era inevitabile che il “cerebrale” venisse “mollato” e che Eleonora finisse, qualche mese dopo, per incontrare Luca, alias il Master.

A differenza del “cerebrale” che aveva incontrato in chat, il misterioso "A" aveva invece risposto ad un annuncio inserito da Eleonora in un sito a tema bdsm. Contrariamente al master cerebro-virtuale ed alla moltitudine di improvvisati attori, che dedotto il loro ruolo da superficiali letture su internet tentavano di recitarlo, Luca si era presentato col suo vero nome e si relazionava con Eleonora da persona normale. Nessun atteggiamento autoritario, nessuna richiesta iperbolica, zero turpiloquio. Educato, rispettoso, aveva proprietà di linguaggio, insomma, era l'autorevolezza fatta persona.

Scriveva bene Luca, e suscitava sempre più l’interesse di Eleonora. Era intuitivo, al punto da sorprenderla di continuo, arrivando perfino ad anticipare le domande che lei non riusciva ancora a formulare. Passarono velocemente al contatto telefonico e si sentivano spesso. Trovava bella e sensuale la voce di Luca: calda, tranquillizzante ma eccitante allo stesso tempo. Oltre a saper scrivere, era anche un eccellente oratore ed aveva così sapientemente descritto alcune situazioni erotiche, da essere riuscito ad inculcarle profondamente nella mente di Eleonora, al punto che lei si ritrovò ad pensarci di continuo, incapace di smettere.

Intuitivo, acculturato, disinibito, propositivo, eclettico, quale donna in cerca di avventure non avrebbe ceduto alla tentazione di incontrare un uomo così affascinante ed interessante, se non altro per vedere come fosse di persona?
Quando finalmente, Luca propose a Eleonora di incontrarsi, per scoprire se la loro intesa fosse supportata anche dalla chimica, lei non aspettava altro. Ad essere sinceri, lui si attendeva quella proposta già da un po' di tempo, ma aveva preferito lasciar crescere in lei quell'appetito, così da farlo diventare fame.

Appena Eleonora scese dal treno di quella piccola stazione ferroviaria fra gli appennini, ebbe la netta sensazione di essere osservata. Pensiero interrotto dal trillo del telefono cellulare dentro la borsetta. Era Luca, che nelle vesti di Master, le impartiva le prime istruzioni. Doveva uscire dalla Stazione ed avviarsi nel piccolo parcheggio a fianco, individuando un auto che lui le stava descrivendo. Spiegò ad Eleonora che la vettura sarebbe stata aperta e che avrebbe dovuto entrarci, dal lato passeggero.

Le bastava la voce di Luca per eccitarsi, ma sentirlo con quel tono così perentorio e non sapere cosa l'attendesse, la mise in uno stato indescrivibile. Convinta che lui la stesse già guardando, camminò cercando di essere il più elegante possibile nella sua andatura. Una sensazione nuova, mai vissuta prima, carica di erotismo. Qualcosa di sconosciuto ed incontrollabile stava aumentando dentro di lei, un passo dopo l’altro. Vide l’auto, ancora pochi metri e sarebbe arrivata allo sportello. Per una frazione di secondo pensò di tornare indietro e di salire sul primo treno, andandosene, poi, un istante dopo, di prendere il telefono e chiamare subito Luca, per chiedergli un incontro “normale”, seduti in una confortevole sala da the.

Pensava, ma era come in trance e nel frattempo, arrivata all’auto ne aveva già aperto lo sportello e si stava accomodando sul sedile come un’automa. Ormai era in ballo ed avrebbe ballato, tanto più che era troppo curiosa di vedere l’aspetto fisico di Luca. Riteneva lo avrebbe visto a momenti ed invece, fu nuovamente solo il telefono a suonare:

-“Buongiorno Eleonora, sei bella, proprio come mi avevi detto e come ti immaginavo. Ti ringrazio di essere venuta e spero tu abbia fatto un buon viaggio”-.

Era sul punto di rispondergli, ma lui non gliene diede il tempo, riprendendo subito a parlare:

-”Per cortesia, guarda sul sedile posteriore... c’è un pacco, prendilo, ma non aprirlo”-.

Eleonora si voltò e vide un pacchetto tenuto inseme da uno spago. Lo afferrò e se lo mise sulle ginocchia. Atteso il tempo necessario perché potesse farlo, lui riprese a parlarle:

-”Ora, se ti fidi di me, scendi dall'auto, attraversa il parcheggio e vai nel Bar in fondo alla piazza”-

Eleonora guardò attraverso il parabrezza e vide effettivamente il Bar in lontananza. Nel mentre lui continuava a parlarle:

-”Se vuoi bere qualcosa di caldo puoi farlo, poi chiedi dov'è il bagno e chiuditi dentro. Prima ti spoglierai completamente. Resterai così per un minuto e solo dopo che sarà trascorso inizierai ad indossare gli indumenti che avrai trovato nel pacco, unicamente quelli. A quel punto, non prima, potrai uscire dal bagno e tornare nell’auto”-.

Fece una pausa per dar modo ad Eleonora di replicare qualcosa, ma lei era basita, letteralmente senza parole. Fu quindi lui a concludere la comunicazione:

-”Se non ti senti pronta, se ci hai ripensato, puoi rimettere il pacco dove l’hai trovato, tornare in stazione ed andartene, non mi offenderò”-.

Il tono di quell'ultima frase era neutro, non si trattava di una subdola sfida che lui le lanciava, ma se si fosse tirata indietro e il Master non le avesse poi concesso una seconda possibilità? Eleonora non se lo sarebbe mai perdonato, quindi decise di andare fino in fondo.

Scese dall’auto e chiuse lo sportello. Un attimo dopo, il “clack” della chiusura centralizzata comandato a distanza le confermò che “il Master” dovesse essere davvero lì vicino, massimo a cento metri da lei. Raggiunse a passo svelto il Bar, ma quando provò a domandare dove fosse il bagno, scoprì che faticava a parlare per lo stato di eccitazione in cui si trovava.
Imbarazzatissima, si guardò intorno e intravide una porta in fondo alla sala biliardi. Fece un sorriso al barista e con le dita della mano destra fece il gesto che usava dai tempi della scuola per chiedere il permesso di alzarsi dal banco ed andare il bagno. Il tizio annuì, confermandole che quello da lei indicato era proprio il bagno, così Eleonora si avviò rapidamente in quella direzione.

Un bagno piccolissimo, con una finestrella socchiusa aperta e bloccata, da cui l’aria gelida dell'Appennino. Chiuse la tavoletta del WC e vi appoggiò sopra il pacco, sciolse il nodo che univa le corde, poi, con curiosità mista ad ansia, svolse lentamente la carta in cui era avvolto. Trovò un giacca da donna in simil-pelle rossa, corta, senza bottoni né cerniera, che non le sarebbe arrivata alla vita. Tutto il resto era di colore nero, a cominciare da una minigonna che poteva coprirle al massimo mezza coscia. C’era poi una camicetta di un tessuto sintetico molto sottile, quasi trasparente, un paio di calze nere autoreggenti, stivaletti bassi con tacco alto ed infine, una piccola borsetta con tracolla, niente altro. Preoccupata che gli indumenti e le scarpe potessero essere di taglia e misura errata, si rilassò scoprendo come fossero invece perfettamente adatti a lei. Luca era stato attento e lei sincera nel descriversi.

Nonostante la bassa temperatura, Eleonora si sentì avvampare mentre si spogliava. Aveva appoggiato i nuovi indumenti sul lavandino e man mano che si denudava, metteva uno sopra l’altro quelli che toglieva. Rispettando l’ordine del Master, prima di rivestirsi era rimase totalmente nuda per un po’. Iniziò la vestizione dalle autoreggenti, poi indossò la camicetta, quindi si mise la gonna, poi la giacchetta, calzando per ultimi gli stivaletti. Si guardò allo specchio e notò che se non si teneva chiuso il giaccone con una mano, quella camicetta era così sottile e trasparente da lasciar intravedere i suoi grandi seni, per non parlare dei capezzoli, inequivocabilmente già turgidi e di cui quel tessuto aveva anche preso la forma. Si sistemò i capelli, diede un'aggiustata al trucco guardandosi nello specchio sopra al lavandino e prima di uscire dal bagno, utilizzando la carta e lo spago recuperato, creò un pacco simile a quello con cui era entrata.

Capì di essere rimasta in bagno molto a lungo e si sentì in dovere di fare almeno una consumazione. Aperta la porta, si diresse verso il bancone ancheggiando. Non si trattava di un’andatura voluta, ma dell’inevitabile conseguenza di quei tacchi così alti. Con un certo imbarazzo si rese conto che camminando le si scopriva la coscia, al punto che chiunque poteva vedere anche la balza delle autoreggenti.

Priva di mutandine, sentiva l’aria scorrere sul suo sesso depilato. Consapevole del suo aspetto provocante e della sua andatura, non si meravigliò di avere addosso lo sguardo voglioso di tutti gli avventori e si sentì femmina, come mai le era capitato prima. Percepiva come tutte quelle persone la desiderassero fisicamente, che tutti avrebbero voluto possederla. Non ci fossero state regole sociali, magari lo avrebbero fatto tutti insieme, sbattendosela su quei tavoli. Ebbe anche la netta sensazione che quelle persone capissero quanto si sentisse femmina lei, e che ne fossero attratti in modo quasi incontrollabile. Ebbe un po’ di paura.

Non era stata la visione diretta e cosciente della sua bellezza, o quell'abbigliamento succinto e provocante a creare quella situazione. All'origine di quel palpabile desiderio collettivo c’era qualche strana reazione biochimica, il risveglio di un ancestrale istinto, linguaggi e comunicazioni non verbali. In quel momento, per quegli avventori, Eleonora era l'essenza della femminilità.

Pagò al barista la consumazione senza pronunciare una parola, mentre anche il ragazzo dietro il bancone la concupiva con gli occhi. Finalmente poté uscire dal Bar ed incamminarsi verso l’auto, lo fece a passo spedito e sotto lo sguardo particolarissimo dei passanti, sia uomini che donne. Occhiate molto simili a quelle già viste negli avventori nel Bar. Arrivò all'auto e vi si precipitò dentro per sparire dalla vista dei “rapaci”, tanto da non accorgersi che il Master era già dentro, seduto al posto di guida.

Si guardarono negli occhi. Lei capì subito di piacere a Luca ed allo stesso tempo, si sentì terribilmente attratta dal Master. In modo molto diretto ed esplicito lui le esternò quanto provava. Vestita a quel modo, la trovava anche lui così attraente da desiderare di possederla fisicamente, subito.

Eleonora si sentiva fuori dal mondo. Non provava caldo nè freddo, non percepiva odori né rumori, non vedeva altro che gli occhi del Master. Ascoltò quelle parole e le capì perfettamente, ma non fu in grado di replicare. Si aspettava che Luca le avrebbe messo una mano fra le gambe, o forse lo desiderava, così da scoprire quanto si fosse bagnata. Immaginò che le avrebbe toccato i seni, facendole perdere definitivamente il controllo. La previsione di Eleonora si rivelò completamente sbagliata, perché Luca aveva lasciato il campo al Master. Non la sfiorò nemmeno e con molta calma le parlò:

-Era giusto che mi vedessi anche tu e che fossi consapevole di cosa susciti in me, prima di decidere... Nel portaoggetti c'è una lettera che ti invito a leggere nei prossimi minuti, mentre andrò io al Bar”.-

Senza aspettare le reazioni di Eleonora scese dall'auto e lei lo vide allontanarsi.
Non era niente male Luca, nonostante avesse diversi anni più di lei. Fisico snello, appena un po' più alto della media, un bel fondoschiena, ottima postura. Solo quando sparì dalla vista aprì lo sportellino portaoggetti e vi trovò la busta, con all'interno la lettera.

- Suppongo che quando ti sei avvicinata al mondo bdsm, già prima che io rispondessi al tuo annuncio, tu abbia cercato di informarti e di capire, leggendo e navigando su internet. Ebbene, è altamente probabile che la tua testa sia stata riempita di acronimi vuoti e mistificanti e da precauzioni paranoiche, praticamente del tutto inutili. Relazionarsi espone sempre a rischi e chi si relaziona con qualcuno, se ne assume la sua parte di responsabilità.
La mia regola è semplice: quando TU decidi di entrare nel mio spazio, la TUA presenza indica che ti fidi di me, che ho avuto il TUO consenso. Da quel momento tu mi appartieni senza limiti, assumo il controllo e la responsabilità su di te.
Fuori dal mio spazio, resti una donna con il pieno controllo e con la piena responsabilità delle sue azioni. Se non sei convinta di essere in buone mani, allora te ne devi andare prima di entrare nello spazio del Master ed ogni volta, dopo che ne sarai uscita, potrai sempre decidere di non rientrarvi mai più.
Hai la mia parola d'onore che ti farò sempre uscire dal mio spazio e che tornerai nel “tuo”, sempre in ottime condizioni, che se deciderai di non rientrare, non ti cercherò mai più.
Ora vai con una mano sotto al sedile. Troverai un paio di manette, una è già chiusa attorno ad un tubo, l'altra è aperta. Se decidi di entrare nel mio spazio fino a stasera, chiudi la manetta attorno alla tua caviglia sinistra ed aspetta che ritorni. Diversamente, scendi dall'auto, torna in stazione e vai a casa prendendo il primo treno. Ci risentiremo domani al telefono.
Nel caso in cui tu abbia un ripensamento dopo esserti chiusa la caviglia nella manetta, nella busta che contiene questa lettera ce n’è un’altra con dentro le chiavi per liberarla. -

Eleonora cercò sotto al sedile e trovò le manette. A voler essere precisi, poté estrarne solo una, quella aperta con cui doveva imprigionarsi la caviglia. L'altra era infatti irraggiungibile, già agganciata da qualche parte. Acciaio inossidabile, lucidissimo, era palese che non si trattasse di un giocattolo da sex shop ma di uno strumento vero, completo di quel microscopico pulsante di sicurezza a scomparsa, che una volta premuto impedisce alla manetta di stringersi accidentalmente. La busta, oltre alla lettera ne conteneva un’altra molto piccola.

Eleonora chiuse la manetta senza imprigionarsi la caviglia, quindi ruppe la piccola busta che conteneva la piccola chiave e con quella la riaprì. Nell’istante in cui lo aveva fatto si era sentita “furba e saggia” per aver eseguito quella verifica prudenziale, ma appena un attimo dopo venne colta da una sgradevole sensazione. Quel controllo non era tra le opzioni, quindi, in pratica, aveva tradito la fiducia del Master, diffidando di lui.

Era in un parcheggio pubblico e se la chiave non avesse funzionato, le sarebbe bastato chiedere aiuto gridando per trarsi d’impaccio, un’eventualità che avrebbe creato colossali problemi a Luca e solo un po’ d’imbarazzo a lei. Iniziò a capire di aver fatto una cosa stupida e si sentì in colpa.
Tra l’altro, prima dell’incontro, Luca le aveva suggerito di avvisare un'amica accordandosi con lei per sentirla ad un orario prestabilito. Lei non aveva seguito il consiglio, perché temeva le domande imbarazzanti dell’amica, ma Luca non poteva esserne al corrente. Come se non bastasse, gli aveva dipinto bene la propria situazione familiare e lui sapeva che se l'avesse trattenuta contro la sua volontà, il marito si sarebbe preoccupato e l'avrebbe cercata, contattando tutte le sue amiche. Se poi fosse scomparsa, visti i tabulati telefonici e le email, il primo sospettato sarebbe stato proprio Luca. Poteva un uomo intelligente, intuitivo, acculturato, trasformarsi improvvisamente in un perfetto idiota, dopo aver lasciato tutte quelle tracce?

Quando vide Luca uscire dal Bar, Eleonora comprese che le rimaneva poco tempo per decidere. O s’imprigionava subito la caviglia nella manetta, o scendeva da quell'auto ed andava verso la stazione senza voltarsi più indietro. Farsi trovare in auto senza aver imprigionato la caviglia e con la chiave della manetta fuori dalla piccola busta era l'opzione peggiore, l’unica non contemplata nella lettera. Un comportamento da donnetta indecisa e diffidente, che l’avrebbe fatta sentire a disagio con sé stessa, prima ancora che con il Master.

Optò per seguire il suo istinto e si imprigionò la caviglia. Andò ben oltre, perché infilò la chiave nella piccola busta e ne ripiegò il bordo per sigillarla, poi, avendo notato che il finestrino dal lato guida aveva uno spiraglio aperto, la gettò fuori, precludendosi ogni ulteriore ripensamento. Si era sentita in colpa fino a quel momento, al punto da star male, ma dopo aver chiuso la sue caviglia nella manetta e gettato la chiave fuori dall’auto, quella sgradevole sensazione svanì improvvisamente. Era orgogliosa di sé stessa, aveva preso una decisione in linea con la donna determinata che riteneva di essere. Si trattava di una scelta materialmente irreversibile, ma soprattutto, fortemente simbolica.

La caviglia imprigionata e senza più alcuna possibilità di scendere dall’auto, si trasformò in una situazione indescrivibilmente intensa ed altamente erotica per Eleonora, che si bagnò fra le gambe.
Il cuore le batteva a mille mentre guardava il Master avvicinarsi all'auto. Lui aveva un passo normale, ma l'impazienza le dava l'impressione di vedere un filmato al rallentatore. Andava così piano che non sarebbe mai arrivato sino a lei.

Quando il Master vide la piccola busta rossa sull'asfalto, la riconobbe e notando il piccolo rigonfiamento, capì che era la chiave delle manette. Visibilmente compiaciuto per l'iniziativa di Eleonora, la raccolse e se la mise nella tasca interna dell’elegante cappotto che indossava. Aprì lo sportello dell’auto e si sedette al posto di guida, ma subito dopo controllò la manetta attorno alla caviglia della ragazza, stringendola di altri due scatti. Fece i complimenti ad Eleonora e non si preoccupò affatto di confessare quanto fosse rimasto colpito dalla sua determinazione.

Un istante dopo, quando lui accennò a metterle una mano fra le gambe, ad Eleonora mancò il respiro. Istintivamente, fece per chiudere le ginocchia, ma la mano destra del Master si appoggiò sul suo ginocchio sinistro.

-”Apri subito, non sarò io ad allargarti le gambe.”-

La baciò sui capelli, ma contemporaneamente, col polpastrello del suo dito anulare, iniziò a scorrere lungo la fessura ormai bagnatissima. Eleonora gradiva quell’invasione della sua intimità e lui le parlava mentre la penetrava leggermente con le dita, stimolandole il clitoride con il palmo della mano:

-”Evita di tenere le labbra serrate, respira con la bocca... ecco, brava... così va bene. Ti voglio... aperta, ovunque...”-

Eccitata come non avrebbe mai pensato fosse possibile, stava vivendo sensazioni incredibili. Emozioni e reazioni fisiche intensissime e coinvolgenti, che fino a quella mattina d'inverno aveva solo immaginato. Le aveva lette in qualche romanzo, talvolta sognate, dubitando però che fossero realmente possibili, ritenendole più mito che realtà.

Per Eleonora il tempo iniziò a scorrere in modo diverso dal solito, si dilatava e contraeva. Talvolta sembrava che volasse, in altri momenti, un minuto era lungo quanto un'ora. Restarono nel parcheggio soltanto una quindicina di minuti, ma fu così appagata dal modo con cui il Master l'aveva toccata, che se le avessero domandato da quanto tempo erano li, avrebbe giurato non meno di un'ora. Quando lui le portò alla labbra le sue dita, madide degli umori vaginali, ordinandole di leccarle, lei obbedì. Passò la lingua su quelle dita con voluttà, prendendole poi in bocca e succhiandole, come se stesse facendo un pompino.

-”Vogliamo andare, schiava?”-

La risposta di Eleonora, fu sicura e determinata come non mai, con una precisazione che non dava adito a dubbi:

-”Sì Padrone, andiamo.”

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