Fame

Scritto da , il 2018-11-06, genere bondage

Fame


E' passato troppo tempo, o meglio, forse non così tanto, ma la percezione dei giorni per noi è stata diversa, il bisogno fisico di vederci, di toccarci a volte può divenire una delicata sottile tortura e noi i suoi masochisti più fedeli.
Lo pensavo venendoti a prendere in stazione, leggo nei tuoi occhi una sorta di sollievo vedendomi, non come se temessi che ti avessi dimenticata, ma più come se avessi paura che non esistessi più.
Ti guardo, nei tuoi vestiti per nulla appariscenti e ti trovo bellissima, so già che quando te lo dirò mi dirai che sono “cecato”, dovremmo volare luno tra le braccia dell'altra, dovremmo correre verso l'auto e poi di corsa verso casa, chiuderci dentro e divorarci.
Non succede, al contrario indugiamo per le vie del centro, guardiamo qualche vetrina, parliamo di ovvietà, incrociamo gli sguardi... siamo due pazzi.
Mi hai fatto una richiesta assai precisa, e quel che stiamo facendo, nonostante potrebbe apparire diversamente, non ne fa parte, a dire il vero non è stata una richiesta, ma più una sorta di supplica accorata, qualcosa che ha smosso quel mio bisogno, riposto accuratamente come un abito prezioso piegato sul fondo di una cassapanca chiusa a chiave.
Ti concedo, mi concedo, solo un lungo profondo bacio in cui sfioro neppure troppo lievemente le rotondità dei tuoi seni, quel tanto da farti staccare da me alla fine guardandomi con quel luccichio negli occhi, il tutto in mezzo ad un mondo impazzito che si muove intorno a noi con la frenesia dei girini in uno stagno.
Siamo due pazzi, si l'ho detto prima, il tempo intercorso dall'ultima volta ha nutrito robustamente l'appetito, dapprima con la forza del desiderio residuo di quello che avevamo consumato, vissuto e poi via via rinforzato da un bisogno crescente più simile all'astinenza.
Nutrirsi non sarebbe stato un problema per entrambi, ne avevamo facoltà ed occasione, una piccola valvola di sicurezza concordata senza forzature, ma un conto è nutrirsi, un conto è degustare qualcosa; vi è mai capitato di avere dinanzi un sontuoso piatto e desiderare comunque un gusto assai più semplice ed aver voglia solo di quello? Ecco... similmente, inconsciamente avevamo fatto una scelta, esattamente come un cane che mangia solo dalle mani del suo padrone, e che rischia di morire d'inedia se questi, e soltanto questi, non gli dà del nutrimento.
Era successo che avessimo addentato qualcosa... qualcuno, ma per quanto bello mancava qualcosa, no mancava troppo ed allora volta dopo volta avevamo rinunciato, pur in quel frangente non cessavamo di essere parte dell'altro/a, un fatto in sé che trovava una sua linea di confine tra ciò che è importante per noi ed una stupidaggine per molti altri.
Passi, strada, minuti ed alla fine quella porta si era chiusa alle nostre spalle, mi ero voltato per sistemare le chiavi nello svuotatasche dell'ingresso, mi ero girato appena in tempo per vederti sfilare l'ultimo capo e subito correre a slacciarti il reggiseno.
Immobile in quell'istante unico, incapace di reazione, mentre anche gli slip raggiungevano il pavimento rimanendo nuda, non soltanto fisicamente.
“Andiamo in camera” dico soltanto questo, ti vedo tremare e piegarti leggermente mentre socchiudi gli occhi, intuisco il fiotto tra le tue cosce di cui tra breve sentirò l'effluvio, questo prima che tu riesca a girarti e camminare verso la nostra alcova.
Adoro la tua nudità, lo sai, una parte di me ti trascinerebbe sul pavimento per prenderti adesso, ora mentre le tue mani mi spoglierebbero a pezzi, febbrilmente, scompostamente, ma non è quello di cui hai bisogno, di cui abbiamo bisogno.
Entrata nella stanza ti giri, cerchi il mio sguardo, cerchi il mio mezzo sorriso e la conferma tra i miei occhi che ti desidero, non perchè tu tema che non esista, ma semplicemente perchè ne sei golosa, dipendente come un eroinomane di una dose.
Alzi le braccia e mi porgi i polsi e rimani in attesa, un gesto semplice che non ha bisogno di parole di spiegazione, unn gesto che segna la fine del tuo arbitrio per porti sotto il mio incondizionatamente, per un tuo bisogno, una tua decisione.
Confesso, faccio fatica a staccarmi da questa immagine di te, due fiere nell'animo mi si agitano dentro, si studiano per prevalere l'una sull'altra, il feroce desiderio di prenderti senza requie per il solo gusto di strapparti scampoli di voce osceni e quello di una calma esasperante, sadica, non già del dolore stesso, ma dell'esasperazione dello stesso al fine di portare il desiderio ad un livello insostenibile, per entrambi.
In qualche modo, non so come, le corde si sono materializzate tra le mie mani, i rombi di intrecciato segnano e dividono la tua pelle, ed infine, l'ultima unisce i tuoi polsi.
Schiava, segui la corda e di nuovo ti vedo tremare e piegarti leggermente, mentre socchiudi gli occhi; rapido ti sollevo le braccia fissando la corda in alto, quel tanto da rendere scomoda la tua posizione.
La pelle fresca ed ororosa di concio, accarezza la tua pelle, prima che le frange del flogger si abbattano sulla schiena e i glutei, tremi ancora, sobbalzi, ma continui a venire.
Potrei passare la mia mano tra le tue cosce e ritrarla intrisa di tuoi umori, lo so bene, te lo aspetti e per questo non lo farò, ti guardo con il capo reclinato in avanti in attesa.
Interrompo un attimo, prendo il dildo rigido bianco lo accendo, vedo la tua testa avere un sobbalzo, poi lento, inesorabile, crudele te lo infilo su per la fica umida, entra senza difficoltà, prova ulteriore della tua eccitazione, lo infilo sino in fondo, solo la ghiera bianca spunta dalle grandi labbra.
“Non ti azzardare a venire” ti sibilo ad un orecchio, i colpi ricominciano, sono attento a non dare una cadenza precisa, una sequenza riconoscibile nell'alternare, zone, intensità e pause.
Ti vedo serrare i muscoli delle cosce disperatamente per trattenere dentro di te il dildo, so che non lo lascerai cadere, ma non ti faciliterò comunque il compito.
Mi hai fatto una richiesta, una preghiera speciale: vuoi un mio segno, non per nutrire il mio ego e neppure il tuo, vuoi qualcosa di tangibile, epidermico che ti ricordi per il più possibile, quanto anche sei fisicamente mia quando non siamo insieme.
Compito che delego ad un oggetto speciale per te, quella cintura di cuoio che porto ai pantaloni, un tuo dono “restituito” cento volte, ed indossato altrettante intorno al tuo collo, senza neppure trarlo a me, solo per il semplice piacere di guardardi socchiudere gli occhi di piacere ed eccitazione.
Il colpo arriva, secco e bruciante, poco sotto il fianco, vicino alla natica, quel tanto che basta a farti rompere ogni proposito di trattenerti e a venire con un ringhio gutturale, seguito dal tonfo del vibratore sul pavimento, tra i tuoi piedi.
Posso slegarti i polsi ora, mi abbracci buttandomi le braccia al collo, la testa sul petto, percepisco la tua fronte bagnata incollata di capelli della frangia; un lungo istante prima di sentire i singhiozzi del tuo pianto, non di dolore, lo so, non quel dolore fatto di cuoio, ma qualcosa di più profondo e nascosto.
Sollevi lo sguardo per cercare il mio, non sono capace di guardarti in altro modo che così, sei quanto di più bello potrò guardare mai.
Per alcuni quello che facciamo è troppo, per altri non sarà mai abbastanza, il loro giudizio per noi ha la valenza di un seme caduto sull'asfalto, senza speranze se non quella di venire calpestato e distrutto... il mondo inizia e finisce nel perimetro dei nostri abbracci.
Mi spogli, lentamente, meticolosamente, poi cado preda della tua bocca, provo a tenerti la testa, tenere il controllo, ma è troppo tardi, rimango intrappolato, sospeso sull'abisso della mia coscienza trattenuto dalle tue labbra.
Sei vorace nel tuo pompino, ci spostiamo sul letto, qui ha luogo una lotta per la sopraffazione l'uno dell'altra, spietata senza esclusione di colpi, le mani occupano orfizi, sessi, seni.
Ti prendo sollevando in alto le tue gambe, ripiegandoti su te stessa, spingendoti il cazzo più profondamente che posso, le spinte ti scuotono, fanno gemere, le tue mani serrate come morse sulle mie braccia mi dicono molto di più dei tuoi silenzi, trattenuti tra i denti per provocazione.
Sai quanto mi piace sentirti genere, cambiare respiro, supplicare, vederti abbandonare ogni sovrastruttura, per vederti divenire una meravigliosa oscena cagna, e per questo ti trattieni.
Vuoi la mia furia su di te, vuoi la tua carne indolenzita, vuoi il mio desiderio nella sua immagine più vera e grezza.
Le bocche voraci e impietose imboccano qualsiasi parte del corpo al fine di portare l'altro ad un cedimento, abbandono, resa .
Riesco al solito a resistere più di te che comunque mi riempi il viso dei tuoi umori diverse volte prima che riesca ad estorcermi i miei, che succhi tra le sue guance incavate chiuse sul mio cazzo.
Ansanti come mantici, sudati come puledri dopo una corsa, rimaniamo distesi tra le lenzuola scalzate dal letto.
Afferro i tuoi capelli con malferma protervia, per baciarti ed assaggiarmi attraverso te, adoro farlo, sempre, ogni volta.
Le mani tornano a cercarsi a sfiorarsi, l'aria si è fatta più fresca, o forse è solo perchè siamo sudati, cerchiamo riparo sotto le lenzuola, abbracciandoci, ricominciando a fare l'amore per un tempo che non è scandito da orologi.
Ed ora, come dopo un sontuoso banchetto, mangiato con gli occhi, prim'ancora che con la bocca e lo stomaco, sbocconcelliamo per golosità le portate ancora in tavola, senza fretta.
Accarezzo il segno rossastro sul fianco, guardi le mie dita che lo sfiorano, e mi ringrazi...
Abbiamo appena cominciato, ma ogni nostro inizio è un eterno ...inizio.

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