Schiavi - 1^ Parte

Scritto da , il 2017-03-29, genere dominazione

Racconto basato su una storia vera.

Avevo 22 anni, era il 1985 ed ero stato assunto in una ditta in provincia di Torino come disegnatore meccanico. Non era una grande ditta, 15 operai alle macchine utensili e sei persone in ufficio tecnico, qualche segretaria negli uffici commerciali.
Mi trovavo bene, il titolare, un italo-belga il Sig.Gutmeier, aveva circa 43 anni ed era sposato con Simona una bella donna più giovane di lui di almeno 11 anni.
Alcune volte il sig. e sig.ra Gutmeier restavano in ufficio a lungo e in quelle occasioni l’ufficio era in subbuglio, non tanto per la presenza del capo, ma più che altro per la provocante signora.

Due anni prima avevo completamente perso la testa per una ragazza, Arianna, che aveva tre anni più di me e che avevo conosciuto in un paese di campagna poco distante da Cuneo dove stavo facendo il militare. Eravamo talmente persi uno dell’altra che a breve, appena finito il servizio militare, ci sposammo e andammo a vivere poco lontano da dove, poco dopo, avrei trovato lavoro. Grazie all’aiuto dei nostri genitori, anche se piuttosto restii nel farci sposare così presto, riuscimmo a prendere un alloggio e mettere su famiglia. Fantasticavamo sulla nostra vita e sui bambini che lei, molto spesso, metteva come priorità appena avessimo avuto dei lavori che ci potevano permettere una famiglia completa.
Lo trovai, come già detto, il lavoro vicino a casa, lei invece come cassiera in un piccolo market dietro casa. La fortuna ci accompagnava e la nostra vita era felice e spensierata.
Essendo giovani non ci facevamo mancare il sesso anche se molto inesperti, il divertimento a letto era accolto da entrambi come una cosa soddisfacente. Io non avevo avuto molte esperienze di sesso precedentemente, qualche bacio, qualche sega da un paio di ragazze più disinibite e una volta una di queste mi prese in bocca l’uccello, un secondo, schifandolo subito. Arianna meno di me e la prima volta che lo fece fu insieme a me, senza fuochi d’artificio e senza cose turche; ne più e ne meno di come continuavamo a farlo. Una, due volte la settimana io sopra, lei allargava le gambe, introduceva il membro nella vagina e la scopavo per qualche minuto, quando provavo a toccarle la figa si irrigidiva e non me lo lasciava fare, manco a parlarne di pompini o leccate di figa…….. la normalità più assoluta.

Un giorno ero in ufficio seduto alla mia scrivania su alcune tabelle dimensionali, era il primo pomeriggio. Entrò dietro di me il Sig. Gutmeier e mi disse di scendere in cortile che sua moglie mi aspettava e che insieme saremmo andati a fare qualche commissione, visto che c’erano da ritirare alcuni utensili durante il tragitto, che avrebbe in ogni modo fatto sua moglie, l’avrei accompagnata.
Era un periodo, inizio primavera, che non c’era una moltitudine di lavoro da fare e perciò mi capitava spesso di prendere la macchina della ditta ed andare a fare commissioni di lavoro, ma era la prima volta che mi veniva chiesto di accompagnare la signora.
Feci come mi disse e andai nel cortile della casa adiacente, la casa dei padroni, come veniva chiamata. Una bella villa con un grande pino nel giardinetto davanti e un paio di garage sul retro.
La vidi, vidi la Signora e un groppo in gola mi prese quasi subito, tanto da far fatica a deglutire. Per essere primo pomeriggio era vestita incredibilmente elegante, tanto da farmi sentire un povero tapino nonostante la giacca e la cravatta. Era fasciata in un tailleur blu acquamarina, i suoi capelli biondi appena mossi erano stretti da un foulard che li legava in una coda lunga e sinuosa. Persi il lume della ragione e restai imbambolato, tant’è che mi risvegliò con un sonoro ceffone come se l’avessi toccata o apostrofata malamente. Mi ripresi e non diedi da intendere che un po’ mi aveva offeso menandomi, però feci buon viso a cattivo gioco e ammiccai un sorriso.
Lei mi scrutò malamente e mi disse di salire in auto.
Non parlava, guidava veloce e guardava la strada attentamente come se non ci fossi stato.
Io tentavo di osservarla di straforo e ogni volta che potevo lanciavo uno sguardo tra la bianca camicetta aperta e rimanevo estasiato da quei due seni sodi, traballanti alle vibrazioni, a quei due capezzoli appuntiti che sporgevano dal tessuto. A volte abbassavo lo sguardo e lo spacco laterale mi mostrava il pizzo delle autoreggenti. Cavoli mi ricordo come fosse ora di quanto ero arrapato.
Facemmo tutte le commissioni e tutte le volte che risalivamo in auto la gonna della signora Simona si alzava un po’ di più, finché quasi vedevo l’inizio del culo allo stacco coscia.
Appena tornati mi disse di prendere i suoi pacchetti, lasciar stare il resto nel bagagliaio e seguirla in casa. Fece cadere due volte le chiavi di casa per terra e tutte e due le volte senza convenevoli mi ordinò perentoriamente di raccoglierle e pulirle sui pantaloni, non capivo il motivo comunque obbedii sempre senza discutere. Infine entrammo.
Mi disse di andare nella prima stanza a destra, sedermi e aspettarla li alcuni minuti, così ubbidii.
La stanza sembrava una piccola palestra, con alcuni bilancieri, la cyclette, un paio di panche e una vasca al centro, piccola e di colore azzurro. Tutta la stanza era dipinta d’azzurro e il pavimento era morbido come tartan. Appoggiato alla parete sul fondo c’era un sofà rosa ricoperto da un copri divano con grandi fiori. Di fronte al divano una piccola poltroncina in similpelle. Mi sedetti e aspettai qualche minuto, guardandomi intorno notai alcuni dipinti alle pareti, scene erotiche e donne semivestite, ma non sapevo chi fosse l’autore; venni a sapere più avanti che li aveva creati il padre della sig. Simona.
Continuavo a pensare cosa facevo li, cosa aspettavo e perché nonostante tutto ero ancora eccitato da prima.
Si aprì la porta ed entrò. Una lunga vestaglia nera, di raso satinato e bordato d’oro la copriva fino ai piedi, solo un paio di decolté rosa apparivano al fondo di quel turbinio di nero e oro.
I capelli erano stati sciolti e due grandi cerchi pendevano dai lobi delle orecchie.
Mi disse con voce dura: “ Ti ho visto che mi hai osservato tutto il tempo in auto come un animale famelico e bavoso”.
Sentii un disorientamento e cercai di gesticolare le mie scuse senza fiatare.
“Stai zitto, non dire nulla stronzetto” mi sentivo imbarazzato non sapevo dove posare gli occhi.
Si sedette sul sofà e si sfilò le scarpe. Mi fece cenno di sedere in fronte a lei su quella poltroncina e appena ubbidii mi mise i piedi sulle gambe con ancora le calze addosso.
Rimasi ancora più turbato. “Massaggiali” mi ordinò. Iniziai a strofinarli senza molta cura sinceramente, se ne accorse e con il calcagno sinistro mi diede un colpo sulle palle facendomi mugolare, per fortuna non mi prese bene. “Non sei capace a far niente??? Incapace devo insegnarti tutto, ho capito che sei un frocetto, magari non hai nemmeno la ragazza”.
A quel punto la guardai e le risposi con calma, ricordandomi che tutto sommato era la moglie del capo, che ero sposato. Mi guardò stranamente squadrandomi in un modo non ancora sperimentato prima.
Mi ordinò: “leccami i piedi porco!” La guardai. Mi infilò senza troppi complimenti un piede in bocca. Non so ancora adesso la strana sensazione che provavo, ero veramente in collera per il trattamento che stavo subendo senza un apparente motivo, ma nello stesso momento un’eccitazione interna simile ad un fremito mi prendeva sempre più e sentivo indurirsi il membro.
Iniziai a leccarle i piedi e infilai tutte le dita in bocca leccandole con sempre crescente eccitazione. L’odore delle calze e il sapore salato dei piedi mi inebriavano i sensi, non pensavo più a ciò che stavo facendo. Lei allargò le gambe e vidi il suo pube ben in vista davanti a me.
“Inginocchiati” quasi urlò. Lo feci, mi appoggiai i polpacci di lei sulle spalle. Si spostò verso di me e mi appoggiò la figa bagnata sulla faccia, sulla bocca. Un altro aroma mi colpì i sensi, il suo sesso non lavato e umido di umori sapeva di umanità e di animalesco sapore. La leccai, come avevo appena fatto con le dita dei piedi, infilando bene la lingua tra le fessure e pulendo involontariamente le labbra e la clitoride. Lei guardava incuriosita senza far nulla d’altro che respirare leggermente, poco più veloce del normale. Stavo assaporando il suo sesso.
Improvvisamente mi spinse indietro facendomi sedere per terra, si alzò e mi appoggiò il piede in faccia ordinandomi di mettermi nudo.
Cazzo, pensai, voleva scoparmi, ero pronto? Non sapevo, titubavo guardandola.
“Spogliati ho detto hai capito?”
“Si va bene OK”. Mi sferrò un calcio nello stomaco dicendomi:” Va bene padrona!!! Devi dire va bene padrona, se no ti punirò fino a farti piangere…. animale”
Pensavo che ne esisteva di gente strana in giro, ma sparato dall’eccitazione le dissi:” Va bene padrona!” e iniziai a spogliarmi. In poco tempo restai in slip.
“Via tutto!!!” sfilai anche gli slip rimanendo con il cazzo ritto.
Mi guardò, si mise a ridere. Una risata frenetica, incontrollata, sguaiata.
“Tutto li? Frocetto” e continuò a ridere. Rimasi fermo a bocca aperta senza saper che dire.
Non sono superdotato, anzi sono dotato nella normalità assoluta, 16 cm di pene, sottile, con una cappella rossa e che diventa violacea all’eccitazione. Si girò e da un cesto tirò fuori un uccello di plastica di almeno 23 cm, largo 4 e guardandolo disse: ”questo è un cazzo!!”
Se lo portò alla bocca e lo leccò, la cosa mi arrapò ancora di più, volevo scoparla, infilare il mio cazzetto nella figa fradicia e godere dentro….. cazzo come volevo farmela!!
Iniziò a leccare il cazzo di gomma e intanto mi toccava il cazzo, come una sega, al secondo tocco pensavo di venirle in mano. Se ne accorse e smise di toccarmi. Si sfilò la vestaglia rimanendo completamente nuda tranne le autoreggenti e le scarpe rosa. I suoi seni sodi e i capezzoli rossi si sollevavano ad ogni gesto e respiro che faceva. Continuava a leccare il suo giocattolo erotico mentre mi guardava con uno sguardo lascivo e intenso.
“Da ora in avanti sarai il mio animale, il mio schiavo, il mio caprone visto il cazzetto che hai, farai tutto ciò che ti ordino e se lo farai come si deve guadagnerai l’orgasmo, il godimento!!”
“Va bene padrona!” dissi.
“Ora mettiti a carponi davanti a me! In fretta!”
Mi abbassai e in ginocchio mi misi a carponi, il mio cazzo umido mi toccava la pancia, ritto dall’eccitazione del momento. Ero girato e non capivo cosa stesse facendo, dopo pochi secondi sentii un liquido scorrere sulla schiena e nella riga del culo. Una mano inizio a toccarmi tra le natiche e un’altra mi massaggiava lo scroto. Sentii un dito che esplorava il mio ano e poco dopo iniziò a penetrarmi leggermente. Godevo un’intensa sensazione, la mano mi massaggiava le palle e a tratti stringeva più forte i testicoli. Le dita mi pizzicavano la pelle dello scroto procurandomi un lieve ed intenso dolore.
Mi spinse in avanti facendomi inarcare la schiena e sollevare il culo, mi aprì le natiche e con rapidità mi infilò il cazzo di gomma nel culo. Un dolore tremendo mi investì, un dolore che arrivò fino ai capelli, un dolore indecifrabile e duraturo, un dolore che mi fece urlare.
Mi diede uno schiaffo su una natica e gridò di stare zitto. Iniziò a pompare il suo giocattolo nel mi culo. Dentro, fuori, un po’ di più, un po’ di meno, con una ritmicità disarmante.
Poi si sdraiò sotto di me e iniziò, senza smettere di pompare il culo, a leccare la mia cappella.
Mi sentivo pieno dietro e bagnato davanti, succhiava e pompava e il dolore iniziava a scemare per dare sfogo ad un godimento mai provato, incredibilmente intenso e che mentalmente mi faceva sentire posseduto, sottomesso e gratificato nello stesso tempo da quella donna così bestialmente erotica.
L’aria pompata nell’intestino dal movimento ininterrotto del cazzo finto mi faceva petare in continuazione, continuavo a sentire montare l’eccitazione.
Simona all’improvviso smise di muovere il giocattolo nel mio culo e iniziò a masturbarsi violentemente mentre continuava a succhiare il mio cazzo oramai sul punto di venire.
Lei iniziò a godere, tremando tutta, anch’io venni e il mio getto di sperma caldo le inondò il viso.
La contrazione dell’eiaculazione spinse fuori il cazzo di gomma dal culo seguito da un piccolo getto di liquido viscido che mi colò sulle palle e le cosce.
Lei si tolse di sotto ancora ansimante, ridendo raccolse il cazzo finto e me lo mise sotto il naso: “ora animale mio lo pulisci tutto” e me lo fece leccare, ubbidii senza dir niente, come un automa rapito ancora dal piacere che mi riempiva. Lo leccai tutto, lei si alzò mi diede un calcetto al fianco e mi ordinò di buttarmi nella vasca. Lo feci.
L’acqua era appena tiepida e comunque mi fece provare un po’ di sollievo dal dolore, che ancora provavo, allargando con le mani le natiche.
Lei si mise sul bordo della vasca a gambe divaricate: “ora schiavo apri la bocca e bevi tutto” e così dicendo iniziò a pisciarmi addosso. Aprii la bocca e bevvi avidamente quella pioggia di urina e umori che continuavano a colarle dalla figa.
Quando finì si voltò e camminando verso la porta mi disse ridendo: “ricorda ora sei il mio schiavo, dovrai sempre chiamarmi padrona e fare tutto ciò che ti ordino se no sarai punito duramente. Ora asciugati e rivestiti perché tra 2 minuti entrerà la donna di servizio a ripulire, non vorrai mica farti trovare così con il culo aperto?” Uscì dalla stanza. In breve mi rivestii e incrociando la donna di servizio mi allontanai da quella casa.

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