Sapore di vaniglia

Scritto da , il 2016-07-16, genere saffico

Adoro i concerti di musica classica, con tutto quell'ambientino snob, le poltrone comode in cui sprofondare ascoltando le melodie e guardando il direttore d'orchestra, che è sempre giapponese, dimenarsi come uno psicopatico.
Per cinque minuti rimango estasiata, al sesto e settimo comincio a trovare la poltroncina troppo piccola, al decimo comincia il primo incrocio di sguardi con la mia amica Bianca, al sedicesimo ormai non ne posso piú e vorrei irrompere nella scena per tentare di strangolare quel giapponese brizzolato, pettinato come un bambino di sei anni, che continua a dimenarsi come se stesse dirigendo i Sex Pistols strafatti di Lsd.
E siamo le uniche che si alzano e se ne vanno, con l'insoportabile sguardo di Bianca che significa "te lo avevo detto".
Abbiamo bisogno di una scossa e finiamo nel locale sotterraneo dove sta facendo un concerto non so quale banda di suonatori di tamburo.
Tra la calca generale, in un posto che sembra essere stato allestito nei cunicoli della metropolitana, ascolti il martellamento incessante di tamburi e batteria, suonati da un gruppo di punkabbestia light, che si fanno la doccia una volta a settimana.
E anche in questo caso per i primi 5 minuti ti sembra uno spettacolo fantastico, in un'atmosfera fantastica, che è l'opposto di quella di prima, ma dopo pochi minuti, quando non ne puoi piú di quel tambureggiare sempre uguale e scorgi tra la folla il direttore d'orchestra giapponese, di Tokyo o di Kyoto (perchè in Giappone sono famosi per la fantasia e per gli anagrammi) e pensi che finalmente anche lui ha capito e ha mandato a fare in culo tutta la sua orchestra, ma poi lo guardi bene e ti accorgi che non era lui, vai via.
E allora sono io a guardare Bianca con lo sguardo del "te lo avevo detto" e finiamo nel solito locale di sempre, quello con i divani al posto delle sedie, in cui stravaccarsi e guardare la gente dal basso, illuminata da luci azzurrognole che cambiano tutti i colori della natura.
E arriva il solito cameriere dai denti bianchissimi e luminosi che ti chiede per riflesso condizionato cosa vuoi, anche se sa benissimo che in quel locale tutti ti chiedono un martini e quindi ti domandi che ci faccia con quel tablet fosforescente in mano per prendere gli ordini, tanto deve cliccare sempre e solo su martini.
E senti in sottofondo una musica che non capisci se è classica o tambureggiante, che però ha il pregio di tappare le voci degli altri, per cui puoi parlare finalmente con qualche essere umano ed emettere parole che abbiano un senso logico.
E ti trovi a parlare con gente che giá conosci, a chiedere come stanno e cosa fanno lì, sapendo che anche loro sfuggono da qualche concerto strano, di cori polifonici di voci bianche dell' Uzbekistan orientale.
E finisci a parlare con una studentessa della Seattle University, con gli occhi talmente tondi che sembrano fatti col compasso, vestita di un vestito di un colore che mai avresti pensato potesse esistere. Ti racconta di essere di origine irlandese di famiglia cattolica agiata.
E mentre ti sembra di scorgere tra la gente di nuovo il direttore d'orchestra giapponese, fai due piú due e ti rendi conto che una studentessa figlia di irlandesi ultracattolici che studia nella ultracattolica Seattle University è una gran troia e non ti domandi che cazzo ci faccia a New York, ma solamente 'a che ora ce ne andiamo assieme a casa mia?'.
E prendiamo un taxi sperando che il tassista sia taciturno e non faccia domande idiote tipo "fresco oggi eh?". Tanto a New York a quell'ora è sempre fresco, tranne quando fanno 270 gradi sotto zero e i pinguini accorrono dall'Antartide per fare festa.
E appena entriamo nel mio appartamento so già che non mi salterà addosso come se fosse un uomo, ma mi chiederà da bere e parleremo della vita e di come le piacerebbe vivere a New York.
E quando siamo a letto nude e mi avvicino alla sua vagina scopro che ha una striscina rossa molto ben curata e dal profumo rassicurante di vaniglia. E' a quel punto che mi alzo a guardarla e scopro che ha i capelli rossi, che in quel locale sembravano color ferro arrugginito.
E le chiedo "scusa ma come ci siamo conosciute? Di chi sei amica tu?", ma lei ha già chiusto gli occhioni tondi e tutto il suo corpo emana un profondo irresistibile aroma di vaniglia.
E in quel momento mi piacerebbe essere un uomo, vorrei che mi crescesse il pene per scoparla e possederla o al limite per chiederle il contatto skype e, quando la vedo online, dirle 'ciao, come va?' e sentirmi di possederla per sempre.
E poi svegliarsi e non trovarla e vederla, vestita di una maglietta corta che non so dove ha trovato, mentre guarda di fuori e pensa a chissà che cosa, ti viene voglia di abbracciarla e non lasciarla andare mai piú.
E quando se ne va, ti dispiace, una parte di te se ne va con lei, senza dare spiegazioni logiche.
E così affronti quella domenica mattina, che diventa presto pomeriggio, sola, in beato e inaspettato silenzio, che diventa ben presto noia e voglia di uscire e non stare sola, perchè non c'é niente di piú malinconico che passare una domenica sera da sola.
E dopo mille progetti, finisci sempre a casa di Bianca a criticare gli uomini, tutti, nessuno escluso.
E poi all'improvviso le chiedi "Ma a che ora sei andata via ieri da quel locale?" e ti risponde, guardandoti come una pazza, dicendoti "Ma se siamo andate via assieme!".
E allora non reagisci, fai finta di ricordare, però pensi che hai ancora il sapore della vaniglia in bocca e che non puó essere stato solo un sogno.
E allora deduci che è Bianca a essere pazza oppure semplicemente si vergogna di dirmi che alla fine si è scopata il direttore d'orchestra giapponese.

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