La prima volta - nuova versione

Scritto da , il 2015-09-17, genere trans

LA PRIMA VOLTA (RACCONTO DI FANTASIA)

Ricordo come se fosse ora quel momento.
Ho sedici anni, e già mi piace travestirmi da donna. Oddio, in realtà lo facevo già prima, fin dall’infanzia, anche se più sporadicamente e di nascosto. Però da un anno a questa parte ho deciso di farlo regolarmente e di comportarmi proprio come se fossi una donna.
A scuola non ho nessun problema a farlo ed anche se ce ne fossero, col carattere che ho me ne fregherei abbondantemente.
Il fatto di avere dei lineamenti marcatamente femminili rende pressoché impossibile capire che sono un maschio.
È una bella giornata di primavera. Io indosso una maglia a maniche lunghe nera, un kilt a quadri neri e rosa, collant marroni e anfibi neri. All’epoca porto i dreadlock biondi in perfetto stile rasta che con i miei occhi azzurri ed un leggerissimo trucco mi rendono un bel figurino.
Sto andando alla stazione con le mie amiche dell’autobus Chiara e Francesca. Facciamo tutto assieme: il tragitto casa scuola – scuola casa, i compiti, il tempo libero, pure lo shopping (siamo infatti vestite spesso e volentieri in modo quasi identico). A volte ci prendono in giro dicendoci che siamo delle fotocopie l’una dell’altra, in realtà siamo semplicemente legatissime.
Stiamo aspettando l’autobus quando ci raggiungono alcuni ragazzi di nostra conoscenza. Iniziamo a scherzare quando vedo che uno di loro mi mette una mano sul ginocchio. Le intenzioni sono subito chiare.
Lo conosco a malapena, so solo che si chiama Emanuele e abita non molto distante da lì. Mi propone di andare a casa sua che i suoi non ci sono. Accetto subito: anche perché quel giorno mia madre sarebbe tornata solo in serata e quindi non c’è nessuno che mi aspetta a casa. E poi è carino.
Saluto Chiara e Francesca e seguo Emanuele. Pranziamo con un pezzo di pizza al trancio e una birra ai giardini di fronte la stazione.
Lì scatta il primo bacio: la sensazione di umido fra le nostre due bocche è piacevole. Mi mette una mano sotto la maglietta e mi tasta il capezzolo del seno posticcio. Proseguiamo il nostro cammino abbracciati l’uno all’altra.
Saliamo in casa e lì vedo subito un divano estremamente comodo dove mi fiondo immediatamente e, con fare languido, lo guardo vogliosa.
Lui non se lo fa ripetere due volte. In pochi minuti si spoglia completamente.
Evidentemente non vede l’ora di scopare.
Si avvicina a me e continuiamo a limonare. Lo bacio sul petto (cosa che adoro fare agli uomini).
Mentre comincio ad abbassarmi, succede l’inaspettato.
Mi chiede di sedermi sul divano e mi toglie gli stivali. Mi bacia i piedi e continua a baciarmi lungo tutte le gambe. Evidentemente è un feticista del nylon. Perfetto, lo sono anch’io.
Mi bacia anche sul culetto e sento la sua lingua bagnata che mi titilla l’ano. Poi torna davanti e mi guarda il pacco palesemente in tiro. Mi bacia l’uccello e comincia a succhiarmelo dolcemente.
Non è esattamente quello che volevo, però è una sensazione estremamente piacevole.
Emanuele si sdraia sul pavimento e mi chiede di mettergli i piedi in faccia. Il feticista è ritornato all’attacco.
Faccio come desidera. Ho un po’ di timore per l’odore che possono avere, ma vedo che lui non ci fa proprio caso.
Mi domanda prima di camminare su di lui e poi di sedermi sulla sua faccia. Mai mi sarei aspettata qualcosa di lontanamente simile a questo. Lo conosco da pochissimo tempo ma sento che abbiamo un’infinità di passioni in comune. Anche qui obbedisco agli ordini, stando bene attenta a non fargli del male.
Quando gli poggio sul viso il mio sedere, lo sento ansimare di piacere. Torna a stuzzicarmi il buchetto con la sua lingua.
Ad un certo punto si alza e si mette prono col culo in alto: il messaggio è inequivocabile.
Pensavo cercasse la donna che c’è in me, e invece no, mi vuole proprio per quello che sono: un maschio travestito e ricchione. D’accordo, mi va anche bene, ma io volevo prenderlo non darlo!
Mi abbasso i collant e le mutandine, prendo l’uccello in mano, glielo poggio contro il buco del culo già opportunamente insalivato.
All’inizio lo sfintere oppone una leggera resistenza, poi comincia a dilatarsi. Sento il calore del suo
corpo a contatto con le pareti del cazzo. Lui geme di piacere.
Essendo la prima volta, faccio pari pari quello che ho visto fare nei filmini porno su Internet: mi limito ad andare avanti ed indietro col bacino, fermandomi quando sento che sta per uscire lo sperma.
Non avevo la minima idea di cosa si potesse provare in una situazione simile. Ora lo so. È bello. È molto bello. Anzi, bello non è la parola giusta. È piacevole. Piacevole perché provo piacere nel sentire il mio cazzo che entra dentro il suo culo, esplorandolo centimetro dopo centimetro.
Improvvisamente avverto che siamo vicini al punto di non ritorno: aumento il ritmo della scopata.
Mi sembra di essere uno stantuffo umano. Alla fine c’è l’esplosione, la prima di tante in futuro.
È una sensazione indescrivibile. Non sono mai stata una gran credente ma credo che il paradiso sia qualcosa di molto simile. Mi sento sciogliere dentro e fuori.
Tiro fuori il mio uccello ormai molle. Blocco Emanuele prima che possa alzarsi.
“Adesso tocca a me”.
Prendo il suo membro in bocca e comincio a succhiare. Lo sento ingrandirsi sempre più. Lo gusto in tutto il suo sapore. Descrivo con la lingua i contorni del suo profilo, senza tralasciare dei teneri bacetti sui coglioni.
Quando lo vedo turgido a sufficienza, smetto. Mi metto due dita in bocca e con la saliva mi inumidisco a dovere l’ano. Mi siedo su di lui e mi infilo per bene il suo uccello su per il culo.
Finalmente. Finalmente tutte le mie solitarie fantasie vengono messe in pratica. Non mi dà neanche fastidio più di tanto.
Mi alzo e mi abbasso sempre tenendomelo ben stretto dentro fino a quando non sento la sua cappella così grossa da non lasciare adito a dubbi: sta per venire. Lo faccio trepidare ancora un po’, poi c’è la nuova esplosione, questa volta dentro di me.
Per la seconda volta nel giro di un’ora, mi sento in paradiso.
Facciamo appena in tempo a rivestirci che la porta si apre. Entra una ragazza che conosco perché frequenta la mia stessa scuola. Scopro che si tratta della sorella di Emanuele, Maria.
Una breve presentazione, poi esco. Ha uno sguardo enigmatico, di chi ha il forte sospetto di aver capito tutto ma nessuna prova per dimostrarlo.
Il giorno dopo a scuola la ritrovo per purissimo caso nei bagni delle femmine.
Mi fa cenno di seguirla in un ampio sgabuzzino sul retro, dove nessuno può sentirci.
Parla poco ma le sue parole sono chiare.
“Non so cosa tu abbia fatto ieri ma te lo dico una volta sola: lascia stare mio fratello, finocchio del cazzo, o farai una brutta fine”.
Fa per uscire ma la fermo subito.
“Lasciami”.
“Nessuno ha il diritto di chiamarmi così, men che meno una troietta come te!”
“Lasciami, ho detto!”
Le tappo subito la bocca.
“E visto che mi credi un finocchio, voglio subito toglierti questo dubbio”.
La spingo contro il muro e col mio corpo faccio pressione sul suo, per non lasciarla scappare.
Anche lei ha la gonna, e sento le mie gambe strisciare suadenti sulle sue: collant su collant.
Cerco di vincere ogni sua resistenza.
Le metto subito la lingua in bocca per intercettare la sua.
Le abbasso i collant e le mutandine e le tasto la peluria sul pube. Lei ha uno scatto nervoso, quasi isterico, direi. Poi infilo il mio membro nella sua vagina.
All’epoca il corpo femminile non mi attrae per nulla: mi piacciono i maschi. E infatti cerco l’eccitazione pensando al cazzo di Emanuele da succhiare fino al collasso ed al suo culo da sfondare a suon di scopate. Ci tengo però a dare una lezione a questa stronzetta.
Con la mano sinistra le palpo i seni di medie dimensioni ma molto, molto sodi.
Con la destra infine le infilo due dita su per il culo. Tanto per non lasciare nulla di intentato.
Non so se con quest’ultima mossa abbia sbloccato qualche cosa dentro di lei, sta di fatto che la sento molto più disinibita, non cerca più di scappare. Anzi, mi spinge forte a lei e sussurra: “Ancora, ancora, ancora!”
Andiamo avanti per un po’, poi ci stacchiamo.
Lei mi butta a terra per poi buttarsi su di me. Prende il mio cazzo e comincia a succhiarlo vogliosa, poi se lo infila nuovamente nella figa. La storia insomma si ripete ma, come sempre, mai uguale a sé stessa.
Si muove ritmicamente su e giù fino all’apoteosi, fino a farmi venire dentro di lei.
Ci rivestiamo in fretta e furia: ormai siamo in bagno da un po’, ed è meglio non far insospettire nessuno.
Prima di uscire mi ferma:
“Scusa se ti ho chiamato così prima, ma io tengo molto ad Emanuele. Non vorrei vederlo assieme ad una persona che lo fa soffrire”.
“Oddio, io e lui ci siamo visti poi solo una volta. Non so nemmeno se fra noi ci sia davvero qualcosa”.
“Però è già capitato e non voglio che accada di nuovo. Il suo ex lo ha fatto patire come un cane”.
“Il suo ex? Quindi sai già che tuo fratello è…”
“Omosessuale? Sì, lo so. E lo sa pure mamma”.
Rimango in silenzio. In pochi minuti è passata dall’insultarmi per i miei gusti sessuali al farmi confidenze intime.
“Ma tu lo ami?”
Continuo a non proferire parola. Adesso ho l’impressione che mi stia mettendo sulle spalle un’enorme responsabilità e che quello che dirò ora sarà fondamentale per capire se sarò in grado di reggere quel peso.
“Sì. Tanto”.
Queste ultime parole mi sono scappate via istintive, senza nemmeno bisogno di pensarci sopra.
“Mi sembri sincera, bene. Anche lui ti ama”.
Quindi alla fine ha parlato.
“Oh, quasi dimenticavo. Io sono Maria”.
“Piacere, Beatrice!”, rispondo io stringendole la mano. Beatrice è il nome che mi sono scelta quando ho capito che la mia vera natura è femminile. Ovviamente il mio vero nome di battesimo è un altro.
Mi bacia un’ultima volta, poi si congeda con queste parole:
“Mi sa tanto che questo è l’inizio di una bella amicizia”.
***
E infatti così è stato. Io ed Emanuele ci siamo messi assieme e sono diventata amica di Maria. Ho iniziato a frequentare casa loro. E infatti mi trovo in camera di Emanuele, intenta a tradurre la versione di greco per il giorno dopo. Indosso una camicia di flanella a quadri azzurri e bianchi, una maglietta bianca, una gonna di jeans, collant neri opachi e i miei immancabili anfibi neri. Ho addirittura messo dello smalto blu cobalto sulle unghie.
Sono intenta a spulciare il dizionario quando sento che Emanuele mi sta toccando la coscia.
Alzo lo sguardo e vedo che mi guarda con un sorrisino malizioso.
“Dai, Ema, basta”.
“Non ho voglia di studiare oggi”.
“Io invece sì. Dai, riprendiamo a tradurre”.
“E dai, siamo già in camera mia. Più comodi di così…”
“Ti ho detto di smetterla, dai! Non mi va”.
“Dai, che ti costa? Comincia a farmi un pompino”.
“Ema, smettila di fare l’idiota! Domani interrogano e voglio prepararmi”.
Il mio ragazzo però non vuole sentire ragioni. Si sbottona i pantaloni e mette il suo uccello in bella mostra.
“Ema, rivestiti subito!”
“Dai, Bea. Ho tanta voglia di provare quel tuo bel culetto”.
Sono infastidita ma anche un po’ sorpresa: quando facciamo l’amore di solito io sono quella attiva e lui il passivo. Evidentemente vuole provare qualcosa di nuovo.
“Va bene, basta che però poi la finiamo”.
“Brava, vedo che sei una ragazza intelligente”.
Mi chino sul suo pube, gli afferro l’uccello e comincio a masturbarlo. È già grosso di suo e comincia ad allungarsi ancora di più. Emanuele si agita sulla sedia.
Lo prendo in bocca e comincio a succhiare. È duro. Duro e caldo. Lui mi accarezza i capelli.
“Sì, dai Bea, vai avanti così, non ti fermare”.
Continuo a succhiare. Comincia a piacere anche a me. Vorrei poter andare avanti così in eterno.
Invece è proprio il diretto interessato a fermarmi.
“Adesso dammi il culo”.
“Modera i termini altrimenti non ti do proprio niente”.
Mi tolgo le scarpe e monto sul letto, mettendomi a pecorina. Mi alzo la gonna e mi abbasso mutandine e collant. Emanuele arriva da dietro. Mi lubrifica l’ano con parecchia saliva. Poi si avvicina, prende l’uccello e me lo ficca dentro il culo.
Accuso il colpo. Lui comincia a spingere con insistenza. Io non posso fare altro che sentire il suo membro andare su e giù dentro di me.
Il ritmo aumenta. Emanuele ansima ed io con lui. Si sdraia sopra di me. E comincia a baciarmi sul collo. Maledetto, sa che è una cosa che adoro. E infatti godo, godo perché sto dando il mio culo all’uomo che amo e adoro sentirmi penetrare dal suo cazzo belluino.
Mette le sue mani nelle mie ed io le stringo.
Dà gli ultimi colpi con foga animalesca poi eiacula dentro di me.
Rimaniamo sdraiati, l’una abbracciata all’altro. Visti da lontano sembriamo la classica coppia di fidanzati; in realtà, abbiamo entrambi lo stesso apparato genitale in mezzo alle gambe. Il mio, fra l’altro, si è risvegliato all’improvviso e si mette a scalpitare. Comincio a premerlo contro il culo di Emanuele.
“Bea, cos’hai?”
“Adesso è venuta anche a me voglia di farlo”.
“Ma tu non volevi studiare?”
“Sai che noi donne siamo imprevedibili”.
Non se lo fa ripetere due volte. Infila la sua testa in mezzo alle mie cosce, prende il bocca il mio fardello e comincia a succhiarmelo con piacere. Una gradevole ed intensa sensazione di calore si impossessa del mio uccello che si dimena come se avesse preso vita. Non è un semplice pompino. Il mio fidanzato mi sta dimostrando, una volta di più, di amarmi così come sono: un’anima di ragazza nel corpo di un ragazzo.
“Fermati, Ema. Adesso dammi il culo”.
Lui smette e si gira, mostrandomi le terga. Io insalivo il suo ano per bene, poi lo sodomizzo.
Finalmente ognuno di noi ha ripreso il proprio ruolo all’interno della coppia: io la donna attiva e lui l’uomo passivo. Continuo a spingere il mio pene dentro il culo di Emanuele. Lo sento diventare sempre più grosso e duro, e sento il buco del culo stringersi sempre più attorno al mio cazzo.
Lo stringo stretto a me. È mio, e nessuno me lo toglierà. Uso il mio pisello come un gancio per tenerlo con me, per non lasciarlo scappare.
Con un ultimo urlo di piacere, vengo dentro di lui.
Rimaniamo ancora un po’ a letto a farci le coccole, poi torniamo sui libri.
***
“Sei stata brava”.
È stata Maria a parlare. Mi ha fermato sulla porta di casa loro prima che potessi uscire.
“Come?”
“Dai, Bea, non fare la finta tonta. Ho sentito tutto. Camera mia è attaccata a quella di mio fratello e le pareti sono sottili”.
Divento immediatamente rossa come un peperone. Vorrei sprofondare dalla vergogna.
Maria mi prende per un braccio.
“Non ti preoccupare, non avete fatto nulla di sbagliato. Anzi, sono contenta per voi che vi vogliate bene”.
Mi sento più rincuorata. Però la prossima volta controllo che in casa non ci sia in giro nessuno.
***
Non solo con la sorella di Emanuele ho buoni rapporti ma pure con sua madre. Si chiama Dominique e a quei tempi ha circa quarant’anni. È francese (“il mio villaggio d’origine è vicino ad Orleans”) ma abita da oltre vent’anni in Italia. Ma, sopra ogni altra cosa, è una donna bellissima. Alta, capelli castani lunghi fino alle spalle, occhi azzurri, un naso leggermente prominente, denti bianchissimi e, soprattutto, un corpo formidabile. Il seno non è particolarmente vistoso, ma quando la vedi non puoi fare a meno di notare due gambe perfette: lunghe, affusolate, snelle ma non secche, che terminano in un culo che ogni uomo pagherebbe oro pur di poterlo sfiorare. E la signora è perfettamente conscia di questo, tanto che mette in risalto cotale ben di Dio indossando gonne più o meno corte.
Anche se sono omosessuale, non posso ignorare o sminuire una simile bellezza.
Questo portamento da tigre, però, contrasta nettamente col suo carattere: pacato, riservato, un filo malinconico da quando è rimasta vedova in giovane età e si è quindi ritrovata da sola a dover mandare avanti il negozio di abbigliamento e badare ai due figli allora piccoli.
Mi vuole bene come se fossi sua figlia ed è contenta di vedermi assieme ad Emanuele. A me viene spontanea chiamarla “signora” ma lei insiste perché la chiami per nome. Più di una volta vuole perché io rimanga da loro a mangiare e pure a dormire.
C’è però un’occasione, fortunatamente l’unica, in cui questo rapporto prende una piega quanto meno strana.
Un sabato sera io ed Emanuele usciamo con degli amici e facciamo molto tardi, ragion per cui rimango a dormire da lui.
Il giorno dopo mi alzo a mattinata inoltrata. Non trovo il mio fidanzato al mio fianco. Provo a chiamare la sorella e la madre ma nessuno mi risponde. Vado in camera di Maria e recupero una camicia da notte rosa corta sopra il ginocchio. Mi va a pennello. Indosso i collant color daino che avevo con me dalla sera prima e scendo a fare colazione.
Sono sul divano che guardo un po’ di televisione quando la porta di casa si apre. È Dominique. Ha con se le borse della spesa.
“Ciao, Bea! Hai dormito bene?”
“Sì, Dominique, grazie. Emanuele dov’è?”
“È a messa, con sua sorella. Torneranno fra un po’. So che dovevano passare da alcuni loro amici”.
Si toglie l’impermeabile blu a pallini bianchi e si siede vicino a me. È come sempre molto elegante. Indossa un maglione grigio, una camicia bianca, una gonna corta verde muschio, collant color testa di moro e scarpe col tacco nere.
“Alors, come va?”
“Intende in generale? Bene, grazie. Ho preso otto all’interrogazione di filosofia ieri”.
“No, voglio dire, come va con Emanuele”.
Visto che ha voglia di parlare, anche di cose cui tengo parecchio, spegno subito la televisione.
“A gonfie vele. Ci amiamo e quindi non può che andare bene”.
“Ottimo, sono contenta per voi”.
Annuisco.
“Sai, devo dirti una cosa”.
“Ti ascolto”.
“Ho accettato senza problemi l’omosessualità di Emanuele. Però mi è sempre spiaciuta una cosa”.
“Cosa?”
“Che non potrò mai vederlo assieme ad una ragazza che lo renda felice per il resto della vita. Anche con dei figli, ovviamente”.
“…”
“Non sono mai riuscita a farmene una ragione. È una cosa che, quando ci penso, mi intristisce subito”.
“…”
“Poi sei arrivata tu, e le cose sono cambiate. Mi sento già plus tranquilla. Riesco a vedervi come una coppia”.
“Dominique, ma sai benissimo che io in realtà sono un maschio”.
“Lo so, ma a me va comunque bene così. E poi mi piaci, mi stai simpatica. Soprattutto, mi fai ridere con quei tuoi capelli così buffi”.
Mi accarezza divertita i dreadlock.
“Invece voglio chiederti una cosa”.
“Cosa?”
“Ma tu ci sei mai stata con una donna?”
Mi metto subito in allarme. Non è solo il contenuto della domanda che mi turba, ma anche il tono di voce di Dominique. È diventato più suadente, più allusivo.
“No, ma… perché lo vuoi sapere?”
“Perché c’è sempre una prima volta per tutti”.
Comincia a farmi piedino e a guardarmi con uno sguardo voglioso. Mi metto subito sulle difensive.
“Dominique, guarda che a me piacciono gli uomini”.
“Lo so. Infatti, puoi pure pensare a chi ti pare adesso, se io proprio non ti attraggo”.
Mi si avvicina. Mi accarezza il volto dolcemente; l’altra mano mi palpa il ginocchio, poi si infila sotto la camicia da notte e mi tasta il pacco.
“Tres interessant”.
Devo ammettere però che è davvero brava. Mi sta comunque andando in tiro l’uccello.
Lei comincia a baciarmi. Non so perché mi lascio fare tutto questo. Forse non sto realizzando bene la situazione, forse la sua somiglianza con Emanuele mi rimanda subito a lui, sta di fatto che lei sta esercitando su di me un fascino magnetico. Mi lascio palpare tutta, limitandomi solo ad abbracciarla.
Ci spogliamo e rimaniamo nude l’una di fronte all’altra. Il confronto fra noi due è impietoso, e non solo perché lei è alta un metro e ottanta abbondante ed io arrivo giusto al metro e sessantacinque.
Lei è una donna fatta, nel fiore degli anni, con un corpo che qualsiasi uomo vorrebbe desiderare.
Io invece non sono né carne né pesce: il mio corpo efebico potrebbe tranquillamente essere scambiato per quello di una ragazza se non fosse per la mancanza di seno, i genitali maschili ben evidenti e dei fianchi troppo dritti per essere femminili.
Riprende a baciarmi e ad accarezzarmi tutta, insistendo particolarmente sul culo. Le ricambio la cortesia, anche perché la sua schiena e le sue spalle da ex nuotatrice sono troppo alte per me per essere abbracciate.
Dominique si abbassa, mi afferra l’uccello. Me lo masturba un po’, poi lo prende in bocca e comincia a succhiarlo. Tante emozioni mi passano in quel momento per la testa: piacere, vergogna, paura. Però la prima di queste prende il sopravvento e cancella tutte le altre: il mio cazzo sta diventando sempre più duro nella sua bocca. È come se lei avesse indovinato qual è la strada da seguire per impossessarsi del mio corpo e poterne disporre a suo piacimento.
Si blocca e mi chiede di sdraiarmi per terra. Lei a sua volta si sdraia sopra di me e prende il mio bigolo già eretto dentro la sua vagina. La sensazione è piacevole: è calda e umida. Lei poi inizia ad alzarsi ed abbassarsi ritmicamente, piano piano. Mi vuole cuocere a fuoco lento.
Con una mossa imprevedibile, mi infila due dita su per il culo. Mi sento tutta un fremito, come se dentro di me si smuovesse una montagna interiore. È fatta, basta: ha capito come doveva prendermi. Ormai la identifico completamente con Emanuele. Abbandono tutte le mie remore mentali e comincio a dare colpi di reni per favorire la penetrazione.
Lei apprezza il gesto ed ansima di piacere. Pure io godo, e continuo a godere fino a venire dentro di lei.
Ci rivestiamo. Alla fine, lei mi dà l’ultimo bacio e aggiunge: “Tranquilla, non dirò niente a nessuno”.
Ho come l’impressione che dovrei essere io a pronunciare questa frase e non il contrario. Ad ogni modo, annuisco. La seguo in cucina e le do una mano a preparare il pranzo.
Dopo questo fatto, le cose riprendono esattamente come prima: io ed Emanuele ci amiamo e Dominique continua a trattarmi come se fossi una di famiglia.
Poi, come sempre accade, anche le cose belle finiscono. Io ed Emanuele ci lasciamo per “incompatibilità di carattere”. Non frequento più casa sua e non vedo più sua madre. Riesco ancora a mantenere rapporti con sua sorella ma, dopo la maturità, ognuno prende la sua strada.
***
Passano svariati anni, quasi quindici.
Sto andando lungo il viale per andare a riprendere la macchina. Una donna cammina in direzione opposta alla mia. Mi pare un volto familiare. E infatti lo è.
È Dominique. Sarà ingrassata di almeno venti chili, è quasi irriconoscibile. Ha un’aria stanca in volto.
I nostri sguardi si incrociano. A differenza mia, lei non mi riconosce e quindi tira dritta per la sua strada.
Meglio così. Ormai è un capitolo chiuso della mia vita. Rivangarlo non servirebbe a niente.
Come dice Oscar Wilde: “Delle volte il passato ha un solo merito: quello di essere passato”.


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