Monica (5) - il nipote

di
genere
trans

Mi svegliai con il corpo indolenzito, il ricordo della notte precedente ancora vivido nella mia mente. Il mio culetto stretto bruciava leggermente, era stata la mia prima volta e avevo da pochissimo perso le mie verginità e sentivo particolarmente quella anale.
Il cazzone di Gianni dentro di me era ancora una sensazione tangibile, era come se avesse lasciato un’impronta indelebile, forse è vero che il primo uomo che svergina una donna le rimane sempre impresso, e così forse era per me che ero stata resa femmina dal mio primo uomo vero, Gianni.

Gianni si era alzato prima e mi aveva detto di starmene a letto che lui doveva fare delle cose e poi sarebbe tornato con la colazione fresca di forno. Ero stanca e rimasi ancora un po’ sotto le lenzuola, in cui assaporavo ancora tutta l’eccitazione di essermi sentita veramente femmina.
Mi piaceva starmene sotto le lenzuola, sentire ancora i nostri odori, e quel torpore mi fece prendere sonno, e sognai di fare ancora sesso con Gianni, che mi faceva ancora una volta godere, fu una sensazione tanto forte che pareva reale. Poi al suono di una sirena che passava forse sotto nella strada mi svegliai.

Mi alzai lentamente, i muscoli indolenziti per la nostra “ginnastica” sessuale. Mi diressi verso la doccia, il pavimento era freddo sotto i miei piedi nudi, e aprii l’acqua calda.
Il getto mi avvolse, lavando via l’odore del maschio e di sperma che mi ricopriva, ma l’odore di sesso rimaneva nella mia memoria, come un’eco persistente. Lo sentivo ancora, era penetrato in me e ancora mi possedeva tutta.

Mi insaponai con cura, massaggiando il mio culetto dolorante con movimenti delicati. Ogni tocco mi ricordava la forza con cui Gianni mi aveva presa, la passione che aveva messo e come mi aveva fatto sentire la sua femmina. Mi avvolsi nell’accappatoio azzurro di Gianno, sulle spalle ancora stupide dal vapore: il cotone assorbì l’acqua che gocciolava dai capelli, ma non il calore lento che mi serpeggiava dentro, la spugna dell'accappatoio con il suo profumo mi faceva ancora sentire l’odore dell’uomo che mi aveva presa.

Avevo chiusa l’acqua, eppure la doccia continuava a risuonarmi nella testa: ogni goccia ricordava la notte precedente, il modo di lui, il suo cazzo che mi riempiva la bocca fin quasi a far male, il sapore della sua sborra che ancora mi riaffiorava alla lingua. Ricordavo i suoi ansimi, il tonfo ritmico dei suoi testicoli contro il mio mento, la mano che mi teneva ferma la parrucca bionda mentre lui ringhiava: «Succhia, puttana!». Chiusi gli occhi per un secondo, sentii la fessura del culo contrarsi con una viva sensazione di essere ancora posseduta. Stavo per venire solo a ricordarlo, se non avessi stretto le cosce con decisione.

Mi profumai, scegliendo una fragranza dolce e seducente, e mi truccai con cura, nascondendo ogni traccia di stanchezza. Volevo sentirmi di nuovo padrona del mio corpo, pronta ad affrontare quel nuovo giorno. Mi guardai nello specchio.
Scossi i capelli, lasciai cadere l’accappatoio e mi guardai nuda davanti allo specchio dell’anticamera, mi accarezzai la pelle liscia, che avevo nei giorni prima depilato, quasi lucida sotto la lampada. Iniziai a truccarmi col primer, picchiettandomelo con la spugnetta: ogni tocco era un piccolo atto per cancellare quell’uomo che ero quando non ero truccato e a lasciarlo fuori dalla mia porta. Poi misi il fondotinta, il correttore sotto gli occhi, il blush sui zigomi, l’illuminante sulle gote: ogni secondo perchè Monica mi sorridesse attraverso lo specchio, era uscita tutta la femmina in me durante il sesso con Gianni. Quella femmina che aveva cominciato a respirare dentro di me quando avevo tredici anni e m’ero infilato le le mutandine e collant che avevo trovato nella cesta dei panni in bagno. Terminai con l’ombretto color verde accesp, due passate di mascara e la matita nera che allungava lo sguardo fino a renderlo quasi felino. Il rossetto fu l’ultimo tocco: un rosso inteso e lucido, Chanel, quello che Gianni aveva detto di voler vedere sul suo cazzo. Quel rosso che, secondo lui, mi faceva «una troia di lusso». Sorrisi allo specchio: le labbra sembravano una porta aperta, pronta a far entrare in me ancora nuovi momenti di passione.
Ero appena in tempo di chiudere il rossetto quando il campanello squillò due volte, secco. Non avevo messo ancora nulla addosso se non le calze nere e il reggicalze in pizzo: la gonna e la blusa potevano aspettare.
Mi rimisi l'accappatoio e camminai a passi corti, sentendo la porta che si apriva, senza preavviso.
Entrò un giovane, Alex, il nipote di Gianni. Aveva 24 anni.
Alex era lì: 1 metro e 90 di nuotatore, spalle atletiche, torace che si era gonfiato per la tensione del momento. I capelli castani, ancora umidi di gel, gli ricadevano sulla fronte con l’aria ancora da ragazzo ma già molto uomo e maschio; il suo sguardo mi attraversò con la sicurezza di chi sa di potere nuotare un chilometro senza battere ciglio. Indossava una felpa grigia troppo leggera per la stagione e un paio di pantaloni sportivi Nike; il tessuto, sotto la vita, mostrava già una protuberanza che non ammetteva equivoci.
Sentii il mio intestino contrarsi: lo sapevo che il ragazzo era dotato – Gianni me ne aveva parlato con l’orgoglio dello zio libertino –, ma vedere la forma di quasi diciotto centimetri che premeva contro la tela, dopo la notte con lo zio, mi aveva attirata l’attenzione. Pensai tale zio, tale nipote.

«Sei tu Monica?» domandò, la voce più roca di quanto m’aspettassi. «Lo zio dice che… insomma, che avrei trovato una sua amica speciale.»

«Entra,» risposi, facendo un passo indietro. Lasciò scivolare lo sguardo sulle mie gambe, salì lungo il reggicalze, si soffermò sulle calze velate, poi tornò alle labbra. Passò accanto a me sfiorandomi il braccio: la sua pelle era calda, odorava di un buon profumo.

«Lo zio ha detto che sei “simpatica e brava» mi disse, mentre chiudeva la porta alle sue spalle. “Mio zio ha detto di salire!” annunciò, la voce carica di un’intenzione che non sfuggì alla mia attenzione. “Sorrisi impacciata, tuo zio è generoso di elogi” feci io, chiudendo delicatamente gli occhi, timida.

Sentivo un brivido di eccitazione percorrermi la schiena. C’era qualcosa in Alex che mi intrigava, un’energia diversa da quella di Gianni, timida ma più giovane e sfrenata. Con un gesto molto femminile e sensuale mi sistemai i capelli.

Poco dopo, Gianni arrivò con la colazione. Ci sedemmo a tavola, il silenzio rotto solo dal rumore delle posate contro i piatti. Gianni mi guardò con un’espressione divertita, faceva battute sul mio aspetto, diceva Monica sei sempre più bella e rivolto ad Alex aggiungeva sai è anche molto brava.
E Alex allora chiese “E la tua donna? State assieme?” Lui ridendo disse “Scopiamo, è stata la sua prima volta, l’ho battezzata e ora è Monica, era molto timida prima, un po’ come te Alex, che mi sa che non sei mai stato con nessuna ancora”

Alex, imbarazzato, Zio io ne ho avute tante! Si si, rise Gianni, vai a raccontarla ai tuoi genitori, ma non a me, ho fiuto in certe cose. Vedi ieri notte ho conosciuto Monica, e subito avevo capito che non l’aveva mai fatto e stanotte le ho insegnato come essere femmina con un vero maschio e tu zio lo è! Vero Monica?
Mi sentii sprofondare, in preda a tanta vergogna, dovevo essere diventata rossa in faccia. Non volevo dargliela vinta a Gianni e così feci la spavalda deglutendo il boccone amaro, e dissi Oh si tesoro! Sei stato fantastico, e gli sfiorai la patta del pantalone con la mano, un vero …maschio, e sorrisi con fare civettuolo mentre con l’altra mano mi infilavo il cornetto mordicchiandolo con le mie labbra rosse.

Gianni non aspettava altro e rincarò la dose, e disse Vedi Alex che t’avevo detto! E’ molto brava, potresti iniziare con lei a scoprire il sesso, non ha una figa, ma la potrai scopare in bocca e culo e ti assicuro che è una femmina fantastica. Quel bastardo di Gianni aveva appena svelato ad Alex che ero travestito e gli occhi del ragazzo prima timidi, ora mi fissavano con curiosità intensa e anche una certa voglia che traspariva.
Mi impacciai e Gianni per mettermi ancora più in imbarazzo, tirò fuori una busta e me la diede, dicendomi, ah ecco il convenuto per stanotte, sei stata brava e se insegni anche al ragazzo te ne darò ancora! … Mi aveva appena trattata come una puttana, e davanti a suo nipote e lo aveva fatto per far sentire me in imbarazzo e sottomessa e dar sentire ad Alex il potere di farmi sua se voleva.

Rimasi bloccata e in silenzio, un po’ offesa. Alex, invece, mi osservava con occhi curiosi, come se stesse cercando di decifrare i miei pensieri.

La colazione fu un mix sguardi complici. Gianni continuava con la sua solita sicurezza, parlavano della casa che dovevano vedere, Alex lo ascoltava, intervenendo di tanto in tanto con commenti che rivelavano la sua intelligenza. Io mi limitavo a stare in silenzio o a sorridere, il cuore che batteva forte ogni volta che Alex incrociava il mio sguardo.

Dopo aver finito di mangiare, Gianni e Alex si alzarono per uscire. “Devo accompagnare il ragazzo a cercare una casa,” spiegò Gianni, posando una mano sulla spalla del nipote. “Rimani pure qui, Monica.”
Li guardai mentre si allontanavano, la porta che si chiudeva alle loro spalle. Rimasi sola, il silenzio dell’appartamento che mi avvolgeva. Di fronte a me la busta dell’offesa di Gianni, apertala, trovai assieme ad denaro un bigliettino: Stanotte io ti ho fatta diventare te stessa, se riesci a far sbloccare mio nipote anche te saresti davvero brava, è timido e vorrei si sbloccasse con le donne e te lo sei più che mai, lo so, e sei un tesoro, fallo per favore, ti abbraccio tuo Gianni”
Rimasi stranita, mi aveva scelta mi sa per quella cosa, nelle parole ritrovai il calore dell’uomo che mi aveva aperta ad essere me stessa e la mente vagava nel ricordo recentissimo della notte precedente e le possibilità che il futuro mi riservava.
Una mia amica mi aveva sempre detto di vivere ogni momento senza rimpianti. “La vita è troppo breve per avere paura di osare”

Mi pareva di udire la sua voce che mi incoraggiava a spingermi oltre i miei limiti. Mi alzai, dirigendomi verso la finestra. Il sole illuminava la strada sottostante, e vidi Gianni e Alex camminare insieme, le loro figure che si allontanavano. Sentii un nodo allo stomaco, una miscela di vergogna e eccitazione e incertezza.

“Cosa sto facendo?” mi chiesi ad alta voce, la mia voce che risuonava nel silenzio. Ma prima che potessi trovare una risposta, la porta si aprì di nuovo. Era Alex, il sorriso ancora più sfacciato di prima.
“Lo zio mi ha detto di tornare indietro,” mentì, gli occhi che brillavano di malizia. “Ha dimenticato le chiavi.”
Lo guardai, il cuore che accelerava. Sapevo che non era vero, ma non dissi nulla. Alex si avvicinò, i suoi passi sicuri, e mi prese con dolcezza e timidezza il viso tra le mani. “Sei bellissima,” sussurrò, le labbra che sfioravano le mie.
Non opposi resistenza. Del resto mi era piaciuto appena visto e lo desideravo, il suo corpo giovane e pieno di energia che mi attirava come una calamita. Lo baciai con passione, le nostre lingue si intrecciavano. Le sue mani scesero lungo il mio corpo, afferrando i miei fianchi con possessività.

“Lo zio ha detto che sei brava. E’ vero?”

«Alex …» dissi, avvicinandomi fino a sentire il calore del suo corpo. Posai il mio indice smaltato nero sul suo petto, esattamente sopra il battito. Batteva così forte che la felpa tremava. «Odio deludere. Vuoi scoprire quanto sono brava?»

Non rispose: l’ansia gli chiudeva la gola. I suoi occhi scesero, cercando il mio cazzo – che non era visibile –, poi ritornarono alle mie labbra. Respirava con la bocca aperta, guance arrossate, come un ragazzino quando è scoperto mentre guarda la prima rivista porno. Il silenzio si faceva sempre più denso, spinsi delicatamente la palma contro il suo torace, facendolo indietreggiare finché le sue ginocchia non toccarono il bordo del divano. Lo spinsi a sedere; il tessuto dei pantaloni ora teneva teso dallo spessore impressionante: si vedeva perfettamente la forma dura e notevole del suo membro già in tiro ed eretto che premeva sulla stoffa, si preannunciava un vero maschio.
scritto il
2025-12-26
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