Puoi inculcare mio figlio? Storia di un doppio anale inatteso
di
Bravuomo
genere
incesti
Per seguirmi fuori da qui annunci69: Psycoanal.
Se vi piacciono i miei racconti, mettete like per favore. Mi incoraggiate a scrivere.
I miei racconti nascono da storie vere, romanzate e con nomi, circostanze e nomi cambiati, ma sono tutte storie vere nate da 25 anni di sesso libertino.
Buona lettura.
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Avevo incontrato Alessandra quando avevo provato a mettere in vendita il mio appartamento.
Al primo appuntamento, era il mese di gennaio, si era presentata con un lungo cappotto avana e quando lo aveva tolto aveva mostrato un lunghissimo paio di gambe con una gonna sopra al ginocchio di colore nero, calze velatissime che non appena si sedette sul mio divano, scoprirono il pizzo dell’autoreggente.
Vi risparmio tutta la storia dei WhatsApp che seguirono nei giorni successivi e il fatto che lei entrò in competizione con la mia compagna, come femmina.
Cominciò a dirmi che non avrei mai venduto casa mia perché la mia compagna era ostile all’idea, che mi avrebbe fatto perdere tempo e quindi capii che voleva primeggiare con lei e che io ne avrei facilmente approfittato.
Memore dell’erezione che mi aveva provocato in quella prima occasione sul mio divano, dato che da quel momento mi chiedevo che sapore avesse la sua fica, iniziai un corteggiamento serrato per andarci a letto, ma senza complicazioni. Era facile, perché lei voleva punire quella arrogante della mia compagna.
Pensavo di essere io a governare il processo, ma come spesso mi capita non ci capii un emerito cazzo: era Alessandra, infatti, a governare il gioco e in uno dei sabato che mi trovai da solo perché la mia lei aveva da fare con le amiche, mi venne a trovare a casa, senza nessun rischio perché non ero e non sono convivente.
A cena preparai un filetto di salmone con una insalata ed un buon vino bianco.
Alessandra indossava una gonna di pelle nera, un paio di calze autoreggenti con il filo dietro ed una magliettina verde a bottoncini.
Ci volle un attimo a finire il salmone e quindi mi alzai, mi collocai alle sue spalle mentre era seduta a tavola, e infilai le mani nel maglioncino per afferrarle i piccoli seni: allo stesso tempo mi piegai per metterle la lingua in bocca, rovistando mentre lei ricambiava abbondantemente. Nel frattempo, le strizzavo i capezzoli perché avevo capito che le piaceva così.
Eccitata, lei mi sorprese: si alzò in piedi e poggiandomi una mano su una spalla mi fece inginocchiare: simulando una specie di piccola danza, si voltò tirando su la gonna e mostrando le natiche bianchissime:
- vuoi vedere il mio culo? - mi disse guardandomi da sopra la sua spalla.
Sono un feticista del culo ed il suo era troppo invitante: come spesso facciamo tutti spostai il filo del perizoma nero: lei intuì, poggiò le mani sul bordo del tavolo ed inarcò la schiena, allargando le gambe.
Presi a leccarle quel meraviglioso buco, infilandoci la lingua sempre più dentro. Devo dire che non era poi così largo e questo mi faceva tanto piacere.
Sempre parlandomi da sopra la sua spalla e ansimando lei mi disse:
- mi piace così.
Sono un tipo che la psicologa ha definito anale e orale: significa che la mia sessualità transita per il rapporto con la bocca e ovviamente con l’ano. Sia in termini passivi, cioè mi piace che si giochi col mio buchino, sia in termini attivi, cioè giocare con il culo, soprattutto delle donne. Gli unici culi che non mi piacciono sono quelli pelosi, degli uomini. Ma non disdegno quelli lisci dei giovani maschietti depilati.
Alessandra ed io ci agganciammo subito dal punto di vista sessuale: quando scopavamo, inclusa quella prima sera, era sempre un gran casino di sporco che le facevo uscire da dietro, perché la scopavo nel culo veramente fino in fondo. A lei non bastava mai e quindi continuavamo a lungo e come sapete quando si scopa a lungo il culo, a meno che non si sia fatta una doccia anale, il rischio che esca un po’ di sporcizia c’è.
Ma ad Alessandra questo non interessava, l’importante era sentirselo bene dentro. E veniva senza nemmeno toccarsi: in ginocchio sul tappeto ed io a cavalcioni sopra di lei poggiato sulla schiena, in ginocchio sul divano, sulla poltrona mentre guardava il panorama dalla finestra, nel letto a gambe aperte, legate con una corda che le teneva ferme braccia gambe e le passava intorno al collo per immobilizzarla, l’importante era che il culo avesse la sua dose di cazzo fino in profondità.
Mi svuotava talmente bene le palle che quando vedevo la mia compagna dovevo un attimo pensare ad Alessandra per scoparmela per bene. Questo capita spesso quando si ha una nuova amante.
Sì, sono un bastardo traditore ma non mi sento in colpa, perché se la mia compagna mi tradisse e si facesse scopare senza nascondermelo, io ne sarei addirittura eccitato, perché sono un libertino, un porco, uno che godrebbe a vedere la propria donna impalata sopra un bel cazzo e sarebbe disposto anche a leccarle il culo mentre gode.
Ma in quel momento avevo una bacchettona come compagna, che sebbene mi scopasse da Dio e fosse una vera esperta nel leccarmi il buco del culo e nel farmi i pompini con uno o due dita infilati nel mio ano, non ne voleva saperne di trasgressioni ulteriori.
Alessandra aveva intercettato e percepito il mio feticismo sia per l’ano, sia per la lingerie. Mi stupiva con calze elaborate di vari colori, reggicalze, perizoma, e con giochini sessuali che mi indicava via chat e mi chiedeva di comprare per usarli nei nostri incontri. Nell’arco di poche settimane avevamo una intera collezione di dildo e plug di varie dimensioni che ci infilavano reciprocamente nel culo: era un piacere scoparla mentre un Plug anale mi spingeva sulla prostata ad ogni mio movimento.
Come spesso capita, questa grande confidenza sessuale e la mia libertà mentale, la incuriosì e la conquistò al punto che cominciammo a farci confidenze sempre più intime, anche riguardanti le nostre esperienze passate e quelle più recenti.
Accade così che una sera mi confessò di non riuscire a trovare un paio di calze autoreggenti, proprio quelle con la riga dietro che io amavo, e aveva temuto di averle dimenticate a casa mia. Invece poi si accorse che erano nel cassetto di suo figlio, un giovane studente universitario davvero carino, nascoste sotto della biancheria nella sua camera.
- Io penso che le abbia fatte indossare a qualche ragazza che ha portato a casa. - mi disse incuriosita e sospettosa.
- Cosa ne pensi tu? - continuò.
Ci pensai solo un istante, e poi glielo dissi con franchezza:
- secondo me le ha indossate lui.
Glielo dissi con un tono naturale così da farle percepire che non c’era niente di male.
- Oddio! E perché lo avrebbe fatto? - mi chiese lei fintamente allarmata e sorpresa, perché lo pensava già anche lei.
- Probabilmente, essendo figlio unico innamorato della mamma, vuole sapere come ci si sente ad indossarle. Si sarà specchiato, si sarà piaciuto e visto bello, probabilmente si è anche masturbato eccitandosi al contatto delle calze con la sua pelle - dissi con la mia consueta faccia da culo.
Sono un perfido, e notai il movimento delle gambe di Alessandra che di fronte a questa mia esposizione aveva avuto un brivido tra le gambe. Socchiuse la bocca quel tanto da farmi capire che questa cosa inconsciamente o consciamente la eccitava. Avevo messo il dito nella piaga di un rapporto madre figlio particolare: i due erano da soli da tanto tempo, dopo il divorzio di Alessandra dal padre del ragazzo, ed avevano maturato un rapporto molto intimo: si adoravano e in queste circostanze il desiderio sessuale è un completamento della maturazione del ragazzo e, al tempo stesso, una madre come Alessandra è lusingata dall’idea di tenere il figlio tutto per sé.
Allungai la mano verso le gambe di Alessandra con lo scopo di sentire se, come ero certo, si fosse bagnata all’idea di suo figlio in autoreggenti.
Lei fece il gesto di trattenermi proprio per non svelare quel segreto brivido che l’aveva attraversata. Ma io insistetti e lei cedette allargando le gambe: raggiungendo la fica sentii il forte calore che bagnava la mutandina e spostandola di lato mi accorsi che era bagnatissima.
Mi inginocchiai davanti a lei che era seduta sulla poltrona e con un movimento rapido le infilai due dita nella fica rivolte verso l’alto: feci il classico e sapiente movimento a cercare il punto G e lei venne in un fiume di spruzzi per lo stato di eccitazione che l’aveva pervasa.
- Cazzo, sono proprio una troia, ho goduto pensando a mio figlio che si masturba indossando le mie calze. E tu sei un porco, che mi fa godere così -disse mentre era scossa dall’orgasmo che le avevo causato.
- Lasciami parlare con lui, magari si confida. Vorrei scoprire se è etero oppure gay o semplicemente curioso - le proposi in modo naturale.
Ma il mio scopo era perfido: nel dirglielo mi stavo slacciando i pantaloni perché l’avevo fatta godere, ma adesso volevo la mia parte. Così glielo infilai in bocca e le ordinai:
- bagnamelo bene perché adesso te lo metto nel culo e così ne parliamo meglio.
Alessandra è una grande troia e raramente non si è sottomessa a qualche mia perversione negli anni.
E così, mentre le montavo il culo come al solito, arrivando con la punta del mio cazzo a cercare la materia all’interno del suo intestino, lei nel pieno dell’eccitazione mi concesse di parlare con il giovane figliolo.
- Vuoi scoparlo, vero porco? Vuoi scoparci tutti e due - diceva eccitata mentre il mio pene scorreva dentro e fuori dal suo retto e lei si sgrillettava con una mano.
- Vieni qui a cena domani e te lo faccio conoscere così gli puoi parlare sul terrazzo oppure in salotto mentre io fingerò di allontanarmi per sistemare la cucina - mi propose dopo la scopata.
Si, Alessandra è una di quelle donne, come tutte le donne trasgressive, che parlano del sesso anche dopo aver goduto. Non come quelle fighe di legno che dopo il piacere tornano cattoliche praticanti, casa e chiesa.
Così, un paio di sere dopo, mi presentai con una bottiglia di champagne, visto che il menù recitava filetto di orata e gamberoni, e conobbi il giovane Alberto.
Il ragazzo, alto cerca un metro e settanta, meno della madre, era splendido e chiaramente effemminato: pelle chiarissima come la mamma, occhi azzurri, un taglio di capelli lunghi con una frangetta sul davanti, mani curatissime e nemmeno un pelo sulle braccia. Il volto era perfettamente rasato dalla poca barba e le labbra rosa come quelle di una ragazza.
Mi trovai davanti ad un piccolo angelo, con le stesse identiche fattezze della mamma. I due si accarezzavano le mani e si davano bacetti continuamente.
Lo champagne è un ottimo mezzo per inebriare subito le persone: va dritto alla testa già dalla prima coppa. Versai abbondantemente il nettare e l’atmosfera divenne briosa.
Investii i quaranta minuti della cena per creare una simpatica complicità con Alberto e quando ci spostammo in salotto per continuare le chiacchiere Alessandra, come da copione, finse di dedicarsi alla cucina.
- Ce l’hai una ragazza? O un ragazzo? - chiesi ad Alberto usando lo stesso tono di voce e la stessa naturalezza per le due ipotesi.
Lui ci pensò un secondo sorpreso dal fatto che gli avevo dato la possibilità di rispondere in entrambe i modi.
- No, niente di serio - rispose fissandomi con uno sguardo molto curioso che svelava la sua voglia di continuare la conversazione in quel senso.
- Ti piacciono di più le donne o gli uomini? - gli chiesi bloccandolo prima che rispondesse.
- Premetto che io amo le donne, ma mi piacciono anche i ragazzi molto delicati: ma non ci sto provando, stai tranquillo! - dissi scoppiando in una risata costruita che lui emulò.
- Peccato allora - rispose lui, sempre ridendo per sondare la mia risposta.
Ci stavamo studiando, eppure ci eravamo già capiti.
- Beh, se non avessi una storia con la tua mamma in questo momento ci proverei di sicuro - gli dissi passando da un tono scherzoso ad uno leggermente più seducente.
Il ragazzo tirò un respiro lungo e portò la mano sulla patta dei pantaloni:
- oh, cazzo, mi fai eccitare così - disse non sapendo controllare l’estro del momento inatteso.
- Davvero? - gli chiesi continuando a fissarlo e mettendogli una mano nell’interno coscia fra l’inguine e il ginocchio, senza esagerare.
Poi mi tirai indietro poggiandomi contro lo schienale del divano e usando tutte e due le mani per comprimere il pantalone e disegnare la forma del mio pene eretto.
- lo vedi che non sei il solo?
Come al mio solito, stavo bruciando le tappe, nonostante mi fossi ripromesso di essere prudente.
Quello che non potevo aspettarmi era che con la coda dell’occhio percepii la presenza di quella gran troia di sua madre che ci osservava da uno spiraglio tra due porte: c’era un piccolo spazio che permetteva dalla cucina di vedere quel punto del salotto dove noi eravamo e soprattutto consentiva di ascoltare la conversazione, seppur a bassa voce.
La troia non aveva fatto una piega, se ne stava lì con la bocca mezza spalancata dall’eccitazione e mi faceva leggermente di no con la testa, come a dire che fosse incredibile che ci fossi già riuscito.
Il mio cazzo era marmoreo, ma ovviamente non eravamo in un film porno e quindi dovevo stare calmo per andare a meta.
- Prenditi il mio numero e dammi il tuo – proposi al ragazzo.
Alberto mi diede il suo numero e gli feci uno squillo.
- So che hai indossato le calze della mamma: come ti stavano? - gli chiesi poi a sorpresa.
- Cazzo, ho dimenticato di rimetterle a posto: ma come se n’è accorta? - mi chiese il ragazzo.
- Le cercava, hai preso quelle con la riga dietro, che di solito mette quando viene da me, oppure quando vengo io qui. - gli risposi con un sorriso complice.
- Chissà se stanno meglio a te o a lei? - gli chiesi sempre in tono provocatorio.
Lui rise.
- Chissà? – disse.
Quando tornammo a tavola l’atmosfera era rovente. La madre chiese ad Alberto se avesse intenzione di uscire quella sera ed il ragazzo rispose di no.
- No, adesso me ne vado in camera a guardare un film, ma se vuoi volete restare in casa non c’è problema, io mi metto le cuffie. - disse il ragazzo.
- Ma non mi sogno proprio di fare le cose in casa mentre ci sei tu, tesoro. - rispose Alessandra.
- Guarda che ti ho sentito tante volte fare rumore la sera, anche se sei da sola.
- rispose il figlio mentre io mi godevo eccitato il siparietto.
Me la immaginavo Alessandra che non faceva nulla per nascondere al figlio la sua attività masturbatoria, le sue autoreggenti, magari stese in bagno ad asciugare sullo scalda salviette.
A questo punto mi piegai verso Alberto e gli sussurrai due parole nell’orecchio. Il ragazzo si ritrasse, ci pensò due secondi.
- Ottima idea! – disse alzandosi per andare in camera sua.
Tornò mentre sua madre continuava a chiedermi da qualche minuto cosa gli avessi detto all’orecchio.
Alberto apparve nella cornice della porta che dal corridoio portava nel salotto: indossava le autoreggenti nere della mamma, quelle con il filo dietro, un perizoma che aveva preso proprio in quel momento sempre dal cassetto della madre ed una maglietta bianca di cotone. Si poggiò con entrambe le mani allo stipite della porta del salotto richiamando la nostra attenzione, le gambe in una posa sensuale ed il sedere inarcato.
- Come sto?
Io sorrisi, Alessandra restò a bocca aperta ma da madre straordinaria quale è non si scandalizzò ed anzi, sorrise eccitata, portando la coppa di champagne alla bocca.
- Ti stanno meglio che a me, tesoro.
- Beh, non saprei - dissi io per provocarli.
- Diciamo che vi stanno bene ad entrambi. Ma forse tu hai un sedere ancora più bello di tua madre - dissi sorridendo con fare canzonatorio ad Alessandra.
Lei mi diede un buffetto su una mano ed aggiunse:
- Ma perché lui ha vent’anni ed è maschio, mica ha problemi di cellulite che ho io.
- Nemmeno tu hai la cellulite, mamma! - aggiunse il figlio.
- Sì che ce l’ho, come tutte le donne, anche se poca.
- Io non ho mai visto il minimo segno di cellulite sulle tue natiche, ma a questo punto bisogna fare un confronto - dissi perseguendo il mio scopo di farli mettere allineati culo a culo.
E fu così che Alessandra si alzò, raggiunse Alberto e girandosi sui tacchi si collocò accanto al ragazzo e tirò su la gonna: anche lei inarcò la schiena, sfidando Alberto.
- Allora, qual è il tuo giudizio? - chiese la mamma guardandomi da sopra la spalla, nello stesso atteggiamento e posa di suo figlio.
Ed eccoli li, tutti e due in autoreggenti, allineati, che mi guardano da sopra la spalla, chiedendomi chi dei due ha il sedere più bello. Tutti e due me lo daranno, a turno, dividendosi il mio tempo, spesso nell’arco di due ore.
- Non saprei riconoscere la madre ed il figlio - dissi con aria seria.
Alessandra si ricompose e dando una sculacciata ad Alberto lo invitò ad andarsi a togliere le sue calze e a ricomporsi. Quando il ragazzo si chiuse in camera, Alessandra mi trascinò in camera da letto eccitata, mi abbassò la i pantaloni e mi fece il più profondo pompino che io avessi mai ricevuto.
- Scopami veloce e fammi spruzzare, sei un diavolo e sono troppo eccitata - mi implorò.
Non avevo il tempo di scoparle il culo con pazienza e quindi glielo infilai nella fica fradicia di umori, mentre lei era sdraiata di schiena ed io in piedi davanti al letto e con il pollice le stimolai la clitoride, facendola venire dopo pochi colpi mentre mi svuotavo dentro di lei.
- Aiutalo a trovare la sua via, solo tu sai porre il sesso in maniera così spontanea - mi chiese lei mentre eravamo sdraiati sul letto.
- Cosa vuoi che faccia? - le chiesi.
- Sono sicura che ora è sconvolto da questi giochi che abbiamo fatto in salotto e si starà masturbando oppure lo farà fra poco - mi disse lei.
- Vai da lui e fallo sentire a posto, se puoi dagli quello che vuole.
- Mi piacerebbe sapere che sei stato tu e non uno sconosciuto a sverginare Alberto - aggiunse.
Alessandra, da grande vacca, cercava di propormi come terapeutica una sua perversione di madre infatuata fisicamente di quell’angelo giovane che era il figlio: mi confessò in seguito, settimane dopo, che spesso si era masturbata pensandolo sopra di lei.
Non ci voleva uno psicologo per capire che lei voleva scopare con il figlio per procura, attraverso me. E lo voleva subito, lo voleva quella sera.
- Lo farò, mi eccita, ma devi spiarci altrimenti non godrò come voglio - le dissi.
Le strizzai un capezzolo, sapendo che era il gesto che l’eccitava e la rendeva più troia che mai.
- Sei un porco e mi fai godere - disse lei infilandosi due dita nella fica e tirandole fuori sporche del mio sperma, mostrandomele e poi portandoli alla bocca.
- Vacca, ora vado ad inculare tuo figlio.
- Porco, ci scopi tutti e due, sei un porco.
Mi alzai e bussai alla porta di Alberto. Quando lui mi rispose entrai ma non chiusi completamente, lasciando uno spiraglio per far guardare all’interno.
Avvicinandomi a quella porta, Alessandra mi aveva seguito a pieni scalzi senza fare rumore. Anche io ero scalzoo: indossavo solo il mio boxer e una camicia sbottonata.
Quando entrai nella stanza, Alberto si tirò a sedere sul letto. Io mi sedetti sulla sedia della sua scrivania guardandolo. Ci fu qualche secondo di silenzio.
- Hai ancora addosso quelle calze della mamma?
- No, vuoi che le rimetta? - mi chiese sperando in un mio sì.
- Indossale qui, davanti a me.
Alberto si alzò, sfilò il pantalone della tuta, tolse i suoi boxer restando solo con la solita maglietta bianca. Mise le mani nel cassetto e tirò fuori di nuovo le calze con la riga dietro e, sedendosi sul bordo del letto, le indosso tirandole su con maestria. Poi si alzò e rimase in piedi davanti a me con una visibile erezione.
Mi alzai e spensi la luce della stanza lasciando solo una fioca luce della sua scrivania che resi ancora più fioca buttandoci sopra i suoi boxer.
Avvicinandomi a lui afferrai il suo cazzo e lo segai lentamente: sentii le sue ginocchia cedere per un istante di fronte al gesto inatteso. Poi lo girai, e gli tastai il sedere: era sodo e liscio. Quando fui pronto lo feci inginocchiare e gli chiesi di abbassarmi i boxer.
Il ragazzo era impacciato ed io l’aiutai: vedi chiaramente la faccia di Alessandra attraverso lo spiraglio della porta: la troia aveva già la mano fra le gambe e speravo solo che non facesse tutti i suoni che fa ogni volta che gode.
Quando Alberto riuscì a liberarmi dei miei boxer la mia erezione era già potente. Afferrai il ragazzo dietro una nuca e vincendo la sua resistenza glielo infilai in bocca e poi lo spinsi dentro fino in gola, tenendo la sua testa con due mani. Guardavo lui e guardavo Alessandra che aveva socchiuso ancora di più la porta per gustarsi lo spettacolo. Mi trovavo di fronte a un chiaro rapporto incestuoso del quale io stavo godendo e del quale avrei goduto per mesi.
Alberto maturò presto l’esperienza di farmi un pompino come si doveva: produceva tanta saliva che raccoglieva le spalmava sui miei testicoli mi segava per prendere il respiro. Ingoiava la sua saliva in eccesso e poi ricominciava: passava la lingua sotto la mia cappella ingrossata e rossa, e poi se lo infilava di nuovo fino in gola, instancabile. Quando ne ebbi abbastanza gli chiesi di inginocchiarsi sul suo letto. Il suo culo, incorniciato da quelle calze, era davvero notevole. A questo punto mi voltai verso Alessandra e le feci un gesto.
- Ci siamo – era il significato. Stavo per incularlo.
Sputai sul buco del culo di quell’angioletto e cominciai a roteare il polpastrello del mio indice destro sul suo ano: non era proprio stretto, era evidente che il ragazzo aveva già giocato con le sue dita o con qualche dildo. Ci sputai ancora sopra e poi affondai l’indice improvvisamente fino alle nocche. L’interno del retto era pulito ed io continuai a stantuffo su e giù, condendo di saliva ad ogni uscita il mio dito.
Roteando feci poi entrare anche il dito medio per preparare il terreno in maniera definitiva, mentre non disdegnavo, con l’altra mano, di segarlo per tenerlo eccitato ma senza esagerare.
- Ti piace l’idea che questo cazzo poco fa lo ha preso tua madre? - gli chiesi.
- Sì, mi fa godere.
Guardai in direzione di Alessandra che però, senza aspettare che io prendessi Alberto, era già venuta e si teneva allo stipite della porta per non cadere: la sua bocca era aperta è un rivolo di saliva e scorreva di lato per il piacere. La vidi arretrare e appoggiarsi con la schiena contro il muro dalla parte opposta alla porta, nel disimpegno. Doveva sostenersi alla parete per non cedere con le gambe. Poi scivolò con la schiena lungo il muro e si sedette a terra continuando ad osservare la scena attraverso la fessura da quella posizione.
Poggiai il glande contro il buco del ragazzo e lo infilai. Solo il glande. Poi lo tirai fuori lo feci voltare e glielo misi in bocca.
- bagnalo ancora - gli imposi.
Trasformato in una piccola troietta, Alberto cominciò a sbavarmi di nuovo sul cazzo e poi si girò di nuovo offrendomi il culo: questa volta feci entrare metà cazzo e presi a stantuffare lentissimamente. Di nuovo lo feci voltare e ripetemmo la scena precedente. La terza volta affondai senza stantuffare il cazzo fino alle palle e lo tenni così per qualche secondo, assicurandomi che fosse arrivato bene fino in fondo: con la punta sentivo la sua merda che era in fondo e, come dice il marchese De Sade, quella è la parte migliore.
Quando il suo sfintere si fu abituato, cominciai a muovermi dentro e fuori.
Alessandra, la madre, osservava la scena dal corridoio, seduta a terra a gambe aperte e stravolta dal piacere.
- Stai godendo, o hai bisogno di toccarti? - chiesi al ragazzo.
- Se mi tocco sborro subito - mi rispose.
Era anale anche lui, esattamente come la madre, godevano con il culo.
L’idea che Alessandra ci stesse osservando e che quei due matti avessero intessuto una relazione perversa, seppur non vissuta, mi fece eccitare a partire dalla testa e così con il poco seme che mi restava dopo la violenta scopata con Alessandra bagnai l’interno del culo del ragazzo ma al tempo stesso gli afferrai il cazzo e lo segai per farlo venire abbondantemente.
Il suo sfintere si stringeva intorno al mio pene mentre sborrava e questo mi provocò un piacere immenso. Sentivo la sua sborra scorrere sulla mano destra e sembrava non finire più.
Mi voltai verso Alessandra, ma notai che non era più seduta lì: sapeva che saremmo usciti dalla stanza e non voleva farsi trovare in maniera esplicita lì.
Poi mi accorsi che anche Alberto che esausto e si era buttato con la testa sul letto: pur rimanendo a pecorina con il mio cazzo piantato dentro guardava verso la fessura te la porta.
Quel porco si era accorto che la madre era lì e aveva messo su un bel teatrino per lei.
Se vi piacciono i miei racconti, mettete like per favore. Mi incoraggiate a scrivere.
I miei racconti nascono da storie vere, romanzate e con nomi, circostanze e nomi cambiati, ma sono tutte storie vere nate da 25 anni di sesso libertino.
Buona lettura.
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Avevo incontrato Alessandra quando avevo provato a mettere in vendita il mio appartamento.
Al primo appuntamento, era il mese di gennaio, si era presentata con un lungo cappotto avana e quando lo aveva tolto aveva mostrato un lunghissimo paio di gambe con una gonna sopra al ginocchio di colore nero, calze velatissime che non appena si sedette sul mio divano, scoprirono il pizzo dell’autoreggente.
Vi risparmio tutta la storia dei WhatsApp che seguirono nei giorni successivi e il fatto che lei entrò in competizione con la mia compagna, come femmina.
Cominciò a dirmi che non avrei mai venduto casa mia perché la mia compagna era ostile all’idea, che mi avrebbe fatto perdere tempo e quindi capii che voleva primeggiare con lei e che io ne avrei facilmente approfittato.
Memore dell’erezione che mi aveva provocato in quella prima occasione sul mio divano, dato che da quel momento mi chiedevo che sapore avesse la sua fica, iniziai un corteggiamento serrato per andarci a letto, ma senza complicazioni. Era facile, perché lei voleva punire quella arrogante della mia compagna.
Pensavo di essere io a governare il processo, ma come spesso mi capita non ci capii un emerito cazzo: era Alessandra, infatti, a governare il gioco e in uno dei sabato che mi trovai da solo perché la mia lei aveva da fare con le amiche, mi venne a trovare a casa, senza nessun rischio perché non ero e non sono convivente.
A cena preparai un filetto di salmone con una insalata ed un buon vino bianco.
Alessandra indossava una gonna di pelle nera, un paio di calze autoreggenti con il filo dietro ed una magliettina verde a bottoncini.
Ci volle un attimo a finire il salmone e quindi mi alzai, mi collocai alle sue spalle mentre era seduta a tavola, e infilai le mani nel maglioncino per afferrarle i piccoli seni: allo stesso tempo mi piegai per metterle la lingua in bocca, rovistando mentre lei ricambiava abbondantemente. Nel frattempo, le strizzavo i capezzoli perché avevo capito che le piaceva così.
Eccitata, lei mi sorprese: si alzò in piedi e poggiandomi una mano su una spalla mi fece inginocchiare: simulando una specie di piccola danza, si voltò tirando su la gonna e mostrando le natiche bianchissime:
- vuoi vedere il mio culo? - mi disse guardandomi da sopra la sua spalla.
Sono un feticista del culo ed il suo era troppo invitante: come spesso facciamo tutti spostai il filo del perizoma nero: lei intuì, poggiò le mani sul bordo del tavolo ed inarcò la schiena, allargando le gambe.
Presi a leccarle quel meraviglioso buco, infilandoci la lingua sempre più dentro. Devo dire che non era poi così largo e questo mi faceva tanto piacere.
Sempre parlandomi da sopra la sua spalla e ansimando lei mi disse:
- mi piace così.
Sono un tipo che la psicologa ha definito anale e orale: significa che la mia sessualità transita per il rapporto con la bocca e ovviamente con l’ano. Sia in termini passivi, cioè mi piace che si giochi col mio buchino, sia in termini attivi, cioè giocare con il culo, soprattutto delle donne. Gli unici culi che non mi piacciono sono quelli pelosi, degli uomini. Ma non disdegno quelli lisci dei giovani maschietti depilati.
Alessandra ed io ci agganciammo subito dal punto di vista sessuale: quando scopavamo, inclusa quella prima sera, era sempre un gran casino di sporco che le facevo uscire da dietro, perché la scopavo nel culo veramente fino in fondo. A lei non bastava mai e quindi continuavamo a lungo e come sapete quando si scopa a lungo il culo, a meno che non si sia fatta una doccia anale, il rischio che esca un po’ di sporcizia c’è.
Ma ad Alessandra questo non interessava, l’importante era sentirselo bene dentro. E veniva senza nemmeno toccarsi: in ginocchio sul tappeto ed io a cavalcioni sopra di lei poggiato sulla schiena, in ginocchio sul divano, sulla poltrona mentre guardava il panorama dalla finestra, nel letto a gambe aperte, legate con una corda che le teneva ferme braccia gambe e le passava intorno al collo per immobilizzarla, l’importante era che il culo avesse la sua dose di cazzo fino in profondità.
Mi svuotava talmente bene le palle che quando vedevo la mia compagna dovevo un attimo pensare ad Alessandra per scoparmela per bene. Questo capita spesso quando si ha una nuova amante.
Sì, sono un bastardo traditore ma non mi sento in colpa, perché se la mia compagna mi tradisse e si facesse scopare senza nascondermelo, io ne sarei addirittura eccitato, perché sono un libertino, un porco, uno che godrebbe a vedere la propria donna impalata sopra un bel cazzo e sarebbe disposto anche a leccarle il culo mentre gode.
Ma in quel momento avevo una bacchettona come compagna, che sebbene mi scopasse da Dio e fosse una vera esperta nel leccarmi il buco del culo e nel farmi i pompini con uno o due dita infilati nel mio ano, non ne voleva saperne di trasgressioni ulteriori.
Alessandra aveva intercettato e percepito il mio feticismo sia per l’ano, sia per la lingerie. Mi stupiva con calze elaborate di vari colori, reggicalze, perizoma, e con giochini sessuali che mi indicava via chat e mi chiedeva di comprare per usarli nei nostri incontri. Nell’arco di poche settimane avevamo una intera collezione di dildo e plug di varie dimensioni che ci infilavano reciprocamente nel culo: era un piacere scoparla mentre un Plug anale mi spingeva sulla prostata ad ogni mio movimento.
Come spesso capita, questa grande confidenza sessuale e la mia libertà mentale, la incuriosì e la conquistò al punto che cominciammo a farci confidenze sempre più intime, anche riguardanti le nostre esperienze passate e quelle più recenti.
Accade così che una sera mi confessò di non riuscire a trovare un paio di calze autoreggenti, proprio quelle con la riga dietro che io amavo, e aveva temuto di averle dimenticate a casa mia. Invece poi si accorse che erano nel cassetto di suo figlio, un giovane studente universitario davvero carino, nascoste sotto della biancheria nella sua camera.
- Io penso che le abbia fatte indossare a qualche ragazza che ha portato a casa. - mi disse incuriosita e sospettosa.
- Cosa ne pensi tu? - continuò.
Ci pensai solo un istante, e poi glielo dissi con franchezza:
- secondo me le ha indossate lui.
Glielo dissi con un tono naturale così da farle percepire che non c’era niente di male.
- Oddio! E perché lo avrebbe fatto? - mi chiese lei fintamente allarmata e sorpresa, perché lo pensava già anche lei.
- Probabilmente, essendo figlio unico innamorato della mamma, vuole sapere come ci si sente ad indossarle. Si sarà specchiato, si sarà piaciuto e visto bello, probabilmente si è anche masturbato eccitandosi al contatto delle calze con la sua pelle - dissi con la mia consueta faccia da culo.
Sono un perfido, e notai il movimento delle gambe di Alessandra che di fronte a questa mia esposizione aveva avuto un brivido tra le gambe. Socchiuse la bocca quel tanto da farmi capire che questa cosa inconsciamente o consciamente la eccitava. Avevo messo il dito nella piaga di un rapporto madre figlio particolare: i due erano da soli da tanto tempo, dopo il divorzio di Alessandra dal padre del ragazzo, ed avevano maturato un rapporto molto intimo: si adoravano e in queste circostanze il desiderio sessuale è un completamento della maturazione del ragazzo e, al tempo stesso, una madre come Alessandra è lusingata dall’idea di tenere il figlio tutto per sé.
Allungai la mano verso le gambe di Alessandra con lo scopo di sentire se, come ero certo, si fosse bagnata all’idea di suo figlio in autoreggenti.
Lei fece il gesto di trattenermi proprio per non svelare quel segreto brivido che l’aveva attraversata. Ma io insistetti e lei cedette allargando le gambe: raggiungendo la fica sentii il forte calore che bagnava la mutandina e spostandola di lato mi accorsi che era bagnatissima.
Mi inginocchiai davanti a lei che era seduta sulla poltrona e con un movimento rapido le infilai due dita nella fica rivolte verso l’alto: feci il classico e sapiente movimento a cercare il punto G e lei venne in un fiume di spruzzi per lo stato di eccitazione che l’aveva pervasa.
- Cazzo, sono proprio una troia, ho goduto pensando a mio figlio che si masturba indossando le mie calze. E tu sei un porco, che mi fa godere così -disse mentre era scossa dall’orgasmo che le avevo causato.
- Lasciami parlare con lui, magari si confida. Vorrei scoprire se è etero oppure gay o semplicemente curioso - le proposi in modo naturale.
Ma il mio scopo era perfido: nel dirglielo mi stavo slacciando i pantaloni perché l’avevo fatta godere, ma adesso volevo la mia parte. Così glielo infilai in bocca e le ordinai:
- bagnamelo bene perché adesso te lo metto nel culo e così ne parliamo meglio.
Alessandra è una grande troia e raramente non si è sottomessa a qualche mia perversione negli anni.
E così, mentre le montavo il culo come al solito, arrivando con la punta del mio cazzo a cercare la materia all’interno del suo intestino, lei nel pieno dell’eccitazione mi concesse di parlare con il giovane figliolo.
- Vuoi scoparlo, vero porco? Vuoi scoparci tutti e due - diceva eccitata mentre il mio pene scorreva dentro e fuori dal suo retto e lei si sgrillettava con una mano.
- Vieni qui a cena domani e te lo faccio conoscere così gli puoi parlare sul terrazzo oppure in salotto mentre io fingerò di allontanarmi per sistemare la cucina - mi propose dopo la scopata.
Si, Alessandra è una di quelle donne, come tutte le donne trasgressive, che parlano del sesso anche dopo aver goduto. Non come quelle fighe di legno che dopo il piacere tornano cattoliche praticanti, casa e chiesa.
Così, un paio di sere dopo, mi presentai con una bottiglia di champagne, visto che il menù recitava filetto di orata e gamberoni, e conobbi il giovane Alberto.
Il ragazzo, alto cerca un metro e settanta, meno della madre, era splendido e chiaramente effemminato: pelle chiarissima come la mamma, occhi azzurri, un taglio di capelli lunghi con una frangetta sul davanti, mani curatissime e nemmeno un pelo sulle braccia. Il volto era perfettamente rasato dalla poca barba e le labbra rosa come quelle di una ragazza.
Mi trovai davanti ad un piccolo angelo, con le stesse identiche fattezze della mamma. I due si accarezzavano le mani e si davano bacetti continuamente.
Lo champagne è un ottimo mezzo per inebriare subito le persone: va dritto alla testa già dalla prima coppa. Versai abbondantemente il nettare e l’atmosfera divenne briosa.
Investii i quaranta minuti della cena per creare una simpatica complicità con Alberto e quando ci spostammo in salotto per continuare le chiacchiere Alessandra, come da copione, finse di dedicarsi alla cucina.
- Ce l’hai una ragazza? O un ragazzo? - chiesi ad Alberto usando lo stesso tono di voce e la stessa naturalezza per le due ipotesi.
Lui ci pensò un secondo sorpreso dal fatto che gli avevo dato la possibilità di rispondere in entrambe i modi.
- No, niente di serio - rispose fissandomi con uno sguardo molto curioso che svelava la sua voglia di continuare la conversazione in quel senso.
- Ti piacciono di più le donne o gli uomini? - gli chiesi bloccandolo prima che rispondesse.
- Premetto che io amo le donne, ma mi piacciono anche i ragazzi molto delicati: ma non ci sto provando, stai tranquillo! - dissi scoppiando in una risata costruita che lui emulò.
- Peccato allora - rispose lui, sempre ridendo per sondare la mia risposta.
Ci stavamo studiando, eppure ci eravamo già capiti.
- Beh, se non avessi una storia con la tua mamma in questo momento ci proverei di sicuro - gli dissi passando da un tono scherzoso ad uno leggermente più seducente.
Il ragazzo tirò un respiro lungo e portò la mano sulla patta dei pantaloni:
- oh, cazzo, mi fai eccitare così - disse non sapendo controllare l’estro del momento inatteso.
- Davvero? - gli chiesi continuando a fissarlo e mettendogli una mano nell’interno coscia fra l’inguine e il ginocchio, senza esagerare.
Poi mi tirai indietro poggiandomi contro lo schienale del divano e usando tutte e due le mani per comprimere il pantalone e disegnare la forma del mio pene eretto.
- lo vedi che non sei il solo?
Come al mio solito, stavo bruciando le tappe, nonostante mi fossi ripromesso di essere prudente.
Quello che non potevo aspettarmi era che con la coda dell’occhio percepii la presenza di quella gran troia di sua madre che ci osservava da uno spiraglio tra due porte: c’era un piccolo spazio che permetteva dalla cucina di vedere quel punto del salotto dove noi eravamo e soprattutto consentiva di ascoltare la conversazione, seppur a bassa voce.
La troia non aveva fatto una piega, se ne stava lì con la bocca mezza spalancata dall’eccitazione e mi faceva leggermente di no con la testa, come a dire che fosse incredibile che ci fossi già riuscito.
Il mio cazzo era marmoreo, ma ovviamente non eravamo in un film porno e quindi dovevo stare calmo per andare a meta.
- Prenditi il mio numero e dammi il tuo – proposi al ragazzo.
Alberto mi diede il suo numero e gli feci uno squillo.
- So che hai indossato le calze della mamma: come ti stavano? - gli chiesi poi a sorpresa.
- Cazzo, ho dimenticato di rimetterle a posto: ma come se n’è accorta? - mi chiese il ragazzo.
- Le cercava, hai preso quelle con la riga dietro, che di solito mette quando viene da me, oppure quando vengo io qui. - gli risposi con un sorriso complice.
- Chissà se stanno meglio a te o a lei? - gli chiesi sempre in tono provocatorio.
Lui rise.
- Chissà? – disse.
Quando tornammo a tavola l’atmosfera era rovente. La madre chiese ad Alberto se avesse intenzione di uscire quella sera ed il ragazzo rispose di no.
- No, adesso me ne vado in camera a guardare un film, ma se vuoi volete restare in casa non c’è problema, io mi metto le cuffie. - disse il ragazzo.
- Ma non mi sogno proprio di fare le cose in casa mentre ci sei tu, tesoro. - rispose Alessandra.
- Guarda che ti ho sentito tante volte fare rumore la sera, anche se sei da sola.
- rispose il figlio mentre io mi godevo eccitato il siparietto.
Me la immaginavo Alessandra che non faceva nulla per nascondere al figlio la sua attività masturbatoria, le sue autoreggenti, magari stese in bagno ad asciugare sullo scalda salviette.
A questo punto mi piegai verso Alberto e gli sussurrai due parole nell’orecchio. Il ragazzo si ritrasse, ci pensò due secondi.
- Ottima idea! – disse alzandosi per andare in camera sua.
Tornò mentre sua madre continuava a chiedermi da qualche minuto cosa gli avessi detto all’orecchio.
Alberto apparve nella cornice della porta che dal corridoio portava nel salotto: indossava le autoreggenti nere della mamma, quelle con il filo dietro, un perizoma che aveva preso proprio in quel momento sempre dal cassetto della madre ed una maglietta bianca di cotone. Si poggiò con entrambe le mani allo stipite della porta del salotto richiamando la nostra attenzione, le gambe in una posa sensuale ed il sedere inarcato.
- Come sto?
Io sorrisi, Alessandra restò a bocca aperta ma da madre straordinaria quale è non si scandalizzò ed anzi, sorrise eccitata, portando la coppa di champagne alla bocca.
- Ti stanno meglio che a me, tesoro.
- Beh, non saprei - dissi io per provocarli.
- Diciamo che vi stanno bene ad entrambi. Ma forse tu hai un sedere ancora più bello di tua madre - dissi sorridendo con fare canzonatorio ad Alessandra.
Lei mi diede un buffetto su una mano ed aggiunse:
- Ma perché lui ha vent’anni ed è maschio, mica ha problemi di cellulite che ho io.
- Nemmeno tu hai la cellulite, mamma! - aggiunse il figlio.
- Sì che ce l’ho, come tutte le donne, anche se poca.
- Io non ho mai visto il minimo segno di cellulite sulle tue natiche, ma a questo punto bisogna fare un confronto - dissi perseguendo il mio scopo di farli mettere allineati culo a culo.
E fu così che Alessandra si alzò, raggiunse Alberto e girandosi sui tacchi si collocò accanto al ragazzo e tirò su la gonna: anche lei inarcò la schiena, sfidando Alberto.
- Allora, qual è il tuo giudizio? - chiese la mamma guardandomi da sopra la spalla, nello stesso atteggiamento e posa di suo figlio.
Ed eccoli li, tutti e due in autoreggenti, allineati, che mi guardano da sopra la spalla, chiedendomi chi dei due ha il sedere più bello. Tutti e due me lo daranno, a turno, dividendosi il mio tempo, spesso nell’arco di due ore.
- Non saprei riconoscere la madre ed il figlio - dissi con aria seria.
Alessandra si ricompose e dando una sculacciata ad Alberto lo invitò ad andarsi a togliere le sue calze e a ricomporsi. Quando il ragazzo si chiuse in camera, Alessandra mi trascinò in camera da letto eccitata, mi abbassò la i pantaloni e mi fece il più profondo pompino che io avessi mai ricevuto.
- Scopami veloce e fammi spruzzare, sei un diavolo e sono troppo eccitata - mi implorò.
Non avevo il tempo di scoparle il culo con pazienza e quindi glielo infilai nella fica fradicia di umori, mentre lei era sdraiata di schiena ed io in piedi davanti al letto e con il pollice le stimolai la clitoride, facendola venire dopo pochi colpi mentre mi svuotavo dentro di lei.
- Aiutalo a trovare la sua via, solo tu sai porre il sesso in maniera così spontanea - mi chiese lei mentre eravamo sdraiati sul letto.
- Cosa vuoi che faccia? - le chiesi.
- Sono sicura che ora è sconvolto da questi giochi che abbiamo fatto in salotto e si starà masturbando oppure lo farà fra poco - mi disse lei.
- Vai da lui e fallo sentire a posto, se puoi dagli quello che vuole.
- Mi piacerebbe sapere che sei stato tu e non uno sconosciuto a sverginare Alberto - aggiunse.
Alessandra, da grande vacca, cercava di propormi come terapeutica una sua perversione di madre infatuata fisicamente di quell’angelo giovane che era il figlio: mi confessò in seguito, settimane dopo, che spesso si era masturbata pensandolo sopra di lei.
Non ci voleva uno psicologo per capire che lei voleva scopare con il figlio per procura, attraverso me. E lo voleva subito, lo voleva quella sera.
- Lo farò, mi eccita, ma devi spiarci altrimenti non godrò come voglio - le dissi.
Le strizzai un capezzolo, sapendo che era il gesto che l’eccitava e la rendeva più troia che mai.
- Sei un porco e mi fai godere - disse lei infilandosi due dita nella fica e tirandole fuori sporche del mio sperma, mostrandomele e poi portandoli alla bocca.
- Vacca, ora vado ad inculare tuo figlio.
- Porco, ci scopi tutti e due, sei un porco.
Mi alzai e bussai alla porta di Alberto. Quando lui mi rispose entrai ma non chiusi completamente, lasciando uno spiraglio per far guardare all’interno.
Avvicinandomi a quella porta, Alessandra mi aveva seguito a pieni scalzi senza fare rumore. Anche io ero scalzoo: indossavo solo il mio boxer e una camicia sbottonata.
Quando entrai nella stanza, Alberto si tirò a sedere sul letto. Io mi sedetti sulla sedia della sua scrivania guardandolo. Ci fu qualche secondo di silenzio.
- Hai ancora addosso quelle calze della mamma?
- No, vuoi che le rimetta? - mi chiese sperando in un mio sì.
- Indossale qui, davanti a me.
Alberto si alzò, sfilò il pantalone della tuta, tolse i suoi boxer restando solo con la solita maglietta bianca. Mise le mani nel cassetto e tirò fuori di nuovo le calze con la riga dietro e, sedendosi sul bordo del letto, le indosso tirandole su con maestria. Poi si alzò e rimase in piedi davanti a me con una visibile erezione.
Mi alzai e spensi la luce della stanza lasciando solo una fioca luce della sua scrivania che resi ancora più fioca buttandoci sopra i suoi boxer.
Avvicinandomi a lui afferrai il suo cazzo e lo segai lentamente: sentii le sue ginocchia cedere per un istante di fronte al gesto inatteso. Poi lo girai, e gli tastai il sedere: era sodo e liscio. Quando fui pronto lo feci inginocchiare e gli chiesi di abbassarmi i boxer.
Il ragazzo era impacciato ed io l’aiutai: vedi chiaramente la faccia di Alessandra attraverso lo spiraglio della porta: la troia aveva già la mano fra le gambe e speravo solo che non facesse tutti i suoni che fa ogni volta che gode.
Quando Alberto riuscì a liberarmi dei miei boxer la mia erezione era già potente. Afferrai il ragazzo dietro una nuca e vincendo la sua resistenza glielo infilai in bocca e poi lo spinsi dentro fino in gola, tenendo la sua testa con due mani. Guardavo lui e guardavo Alessandra che aveva socchiuso ancora di più la porta per gustarsi lo spettacolo. Mi trovavo di fronte a un chiaro rapporto incestuoso del quale io stavo godendo e del quale avrei goduto per mesi.
Alberto maturò presto l’esperienza di farmi un pompino come si doveva: produceva tanta saliva che raccoglieva le spalmava sui miei testicoli mi segava per prendere il respiro. Ingoiava la sua saliva in eccesso e poi ricominciava: passava la lingua sotto la mia cappella ingrossata e rossa, e poi se lo infilava di nuovo fino in gola, instancabile. Quando ne ebbi abbastanza gli chiesi di inginocchiarsi sul suo letto. Il suo culo, incorniciato da quelle calze, era davvero notevole. A questo punto mi voltai verso Alessandra e le feci un gesto.
- Ci siamo – era il significato. Stavo per incularlo.
Sputai sul buco del culo di quell’angioletto e cominciai a roteare il polpastrello del mio indice destro sul suo ano: non era proprio stretto, era evidente che il ragazzo aveva già giocato con le sue dita o con qualche dildo. Ci sputai ancora sopra e poi affondai l’indice improvvisamente fino alle nocche. L’interno del retto era pulito ed io continuai a stantuffo su e giù, condendo di saliva ad ogni uscita il mio dito.
Roteando feci poi entrare anche il dito medio per preparare il terreno in maniera definitiva, mentre non disdegnavo, con l’altra mano, di segarlo per tenerlo eccitato ma senza esagerare.
- Ti piace l’idea che questo cazzo poco fa lo ha preso tua madre? - gli chiesi.
- Sì, mi fa godere.
Guardai in direzione di Alessandra che però, senza aspettare che io prendessi Alberto, era già venuta e si teneva allo stipite della porta per non cadere: la sua bocca era aperta è un rivolo di saliva e scorreva di lato per il piacere. La vidi arretrare e appoggiarsi con la schiena contro il muro dalla parte opposta alla porta, nel disimpegno. Doveva sostenersi alla parete per non cedere con le gambe. Poi scivolò con la schiena lungo il muro e si sedette a terra continuando ad osservare la scena attraverso la fessura da quella posizione.
Poggiai il glande contro il buco del ragazzo e lo infilai. Solo il glande. Poi lo tirai fuori lo feci voltare e glielo misi in bocca.
- bagnalo ancora - gli imposi.
Trasformato in una piccola troietta, Alberto cominciò a sbavarmi di nuovo sul cazzo e poi si girò di nuovo offrendomi il culo: questa volta feci entrare metà cazzo e presi a stantuffare lentissimamente. Di nuovo lo feci voltare e ripetemmo la scena precedente. La terza volta affondai senza stantuffare il cazzo fino alle palle e lo tenni così per qualche secondo, assicurandomi che fosse arrivato bene fino in fondo: con la punta sentivo la sua merda che era in fondo e, come dice il marchese De Sade, quella è la parte migliore.
Quando il suo sfintere si fu abituato, cominciai a muovermi dentro e fuori.
Alessandra, la madre, osservava la scena dal corridoio, seduta a terra a gambe aperte e stravolta dal piacere.
- Stai godendo, o hai bisogno di toccarti? - chiesi al ragazzo.
- Se mi tocco sborro subito - mi rispose.
Era anale anche lui, esattamente come la madre, godevano con il culo.
L’idea che Alessandra ci stesse osservando e che quei due matti avessero intessuto una relazione perversa, seppur non vissuta, mi fece eccitare a partire dalla testa e così con il poco seme che mi restava dopo la violenta scopata con Alessandra bagnai l’interno del culo del ragazzo ma al tempo stesso gli afferrai il cazzo e lo segai per farlo venire abbondantemente.
Il suo sfintere si stringeva intorno al mio pene mentre sborrava e questo mi provocò un piacere immenso. Sentivo la sua sborra scorrere sulla mano destra e sembrava non finire più.
Mi voltai verso Alessandra, ma notai che non era più seduta lì: sapeva che saremmo usciti dalla stanza e non voleva farsi trovare in maniera esplicita lì.
Poi mi accorsi che anche Alberto che esausto e si era buttato con la testa sul letto: pur rimanendo a pecorina con il mio cazzo piantato dentro guardava verso la fessura te la porta.
Quel porco si era accorto che la madre era lì e aveva messo su un bel teatrino per lei.
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