Effetti Collaterali: Capitolo 2

di
genere
prime esperienze

La mattina dopo "l'incidente" del divano, la cucina era un campo minato.
Io fissavo la macchina del caffè come se contenesse i segreti dell'universo. Asia entrò, evitando accuratamente il corridoio.
​"Caffè?" chiesi, voce troppo alta.
"Sì. Grazie."
​Si appoggiò al bancone, lontanissima. Prese la tazza, soffiò sul vapore e mi guardò con aria clinica.
"Senti, Michael," iniziò, tono professionale. "Dobbiamo essere razionali. Ieri sera... eravamo esauriti. È stato un classico rebound ormonale."
Annuii subito. "Assolutamente. Picco di cortisolo, crollo dopaminergico. Il cervello cercava gratificazione. Fisiologia pura."
"Esatto. Siamo coinquilini. Non siamo... quella roba lì."
"Giusto. Niente complicazioni."
​Ci sorridemmo. Due bugiardi patentati. Sapevamo che la fisiologia non c'entrava nulla, ma per tre giorni fingemmo di crederci.

Era un Giovedì sera di fine Novembre. Pioveva a dirotto. Asia era andata a cena dai suoi genitori, in un quartiere dall'altra parte della città. Io ero rintanato nel garage con alcuni amici di vecchia data a sfogare il nervosismo in una delle nostre classiche serate blues.
​Il telefono vibrò sull'amplificatore alle 22:30 circa.
Asia.
​"Pronto?"
"Vienimi a prendere. Ti prego."
La voce era dura, tagliente. Ma sotto la rabbia, sentivo che stava tremando.
"Dove sei?"
"Alla fermata del bus vicino a casa loro. Se resto qui un minuto di più giuro che vado a litigare di brutto con mia madre."
" Va bene, dammi 20 minuti. Calmati. "
​Salii sulla mia Audi A1. Era l'auto di mio padre, un regalo che accettavo con un po' di senso di colpa, ma quella sera benedissi i sedili riscaldati.
La trovai sotto la pensilina, le braccia incrociate strette al petto. Appena mi vide, salì in auto sbattendo la portiera.
Era fradicia. E furiosa.
​"Tutto bene?" azzardai.
"Bene? No, Michael. Non va bene." Si passò una mano tra i capelli bagnati. "Mia madre è tossica. È capace di distruggerti in tre frasi. 'Se sempre nervosa'
'vorrei sapere cosa fai invece di dare esami'
'Tuo fratello si laurea prima'. Cristo!"
​Asia non piangeva mai. E non lo faceva nemmeno ora. I suoi occhi erano asciutti, pieni di un dolore antico.
Guidai in silenzio, alzando il riscaldamento.
"Stai calma, tua madre qui non c'è. Calmati adesso," dissi piano.
Lei guardò fuori dal finestrino, verso la città che scorreva. "Grazie, Mike. Scusa se ti uso come autista di emergenza."
"Sai che non mi dà fastidio."

​Arrivammo a casa. Salimmo le scale in silenzio. Sentivo la sua tensione vibrare nell'aria.
Appena entrati, Asia lanciò la borsa sul divano con rabbia.
​"Vuoi una tisana? O qualcosa di forte?" chiesi, cercando di essere utile.
"No!" scattò lei. Si girò verso di me, gli occhi lucidi. "Non voglio niente. Voglio solo togliermi di dosso questo schifo bagnato. Mi sento sporca, Michael.
​"Asia. Respira." Feci per avvicinarmi, per metterle una mano sulla spalla.
Lei si ritrasse bruscamente. "Non toccarmi. Non adesso. Sono nervosa, sono fradicia e voglio solo stare sola."
​Sparì in bagno e chiuse la porta a chiave. Sentii lo scatto della serratura come uno schiaffo.
Rimasi in corridoio, impotente. Sentii l'acqua della doccia scorrere. Scorreva forte, a lungo. Cinque minuti. Dieci. Venti.
​Mi sedetti sul divano, fissando il vuoto, ascoltando il rumore dell'acqua che copriva i suoi pensieri.
Poi, il silenzio.
La porta si aprì dopo altri dieci minuti.
​Asia uscì. Indossava un mio vecchio accappatoio, troppo grande per lei. I suoi capelli erano in disordine, asciugati in fretta e furia.
Non era più arrabbiata. Sembrava... svuotata. Piccola. Tutta la furia di prima era evaporata, lasciando posto a una stanchezza infinita.
​Si sedette sul bordo del divano, accanto a me, ma senza guardarmi. Fissava la televisione davanti a se.
"Scusa per prima," sussurrò. La voce era rotta. "È che... a volte è troppo pesante."
​Non risposi subito. Allungai una mano e gliela posai sulla nuca, dove l'accappatoio lasciava il collo scoperto. La pelle era bollente per la doccia. Iniziai a massaggiarle piano la base del collo, sciogliendo i nodi di tensione.
Lei non si ritrasse. Anzi, chiuse gli occhi e lasciò cadere la testa in avanti, emettendo un lungo sospiro tremante.
​"Va meglio?" chiesi piano.
Lei scosse la testa. Si girò verso di me. I suoi occhi erano pieni di lacrime non versate.
"No. Non va meglio. Vorrei passare una serata normale con i miei ogni tanto, ma ogni volta è sempre una storia."
​Mi guardò, e in quello sguardo c'era una richiesta disperata. Non voleva parlare. Voleva sentire qualcosa che non fosse dolore o rabbia. Voleva sentirsi viva.
"Aiutami a non pensarci," mormorò, avvicinandosi.
​Le presi il viso tra le mani. Le asciugai una lacrima che era scivolata giù con il pollice. "Ci sono io qui."
​Asia si aggrappò a me come se fossi l'unica cosa solida nel suo mondo che crollava. Mi baciò.
Non fu un bacio aggressivo come pensavo. Fu un bacio disperato, salato, bagnato. Un bacio che chiedeva conforto e oblio allo stesso tempo.
La strinsi forte, sentendo il suo corpo tremare sotto l'accappatoio. Lei si lasciò andare completamente contro di me, il nodo che si allentava fino a sciogliersi completamente. L'accappatoio cadde a terra vicino al divano dove la feci sdraiare, coprendola con il mio corpo per proteggerla, per scaldarla. Le mie mani accarezzarono la pelle morbida e umida cercando di cancellare ogni traccia di quella serata orribile...
"Prendimi" sospirò lei, inarcandosi verso il mio tocco, cercando di fondersi con me. " non sul divano questa volta.. "
La presi in braccio e la portai sul mio letto, mi sdraiai affianco a lei, che ormai era intenerita, e afferrai il suo seno baciandolo con passione ed attenzione, cosa che la faceva impazzire dal piacere, sentii le sue unghie aggrapparsi alla mia schiena.
Aprì un attimo gli occhi mentre mi spogliavo, era decisa, mi disse :" Ti voglio, fanculo la regola dei 23 centimetri"
" Mi sa tanto che siamo proprio quella roba li... "
Per la prima volta eravamo completamente nudi nello stesso letto. Le misi la lingua fra le grandi labbra, toccai il clitoride, smaniava, chiuse leggermente le cosce tenendomi la testa. Sentivo la sua figa tremolare sotto la mia lingua, lei gemeva di piacere. " Ooh mio dio.. si "
Andai avanti per qualche minuto, poi mi spinse via. Volevamo entrambi far l'amore, fu una cosa inaspettata per calore e passione.
" Ce l'hai un preservativo? "
" Nel secondo cassetto, tu ci arrivi "
Asia si spostò leggermente verso il bordo del letto, frugò nel cassetto e prese un profilattico. Si mise in ginocchio di fronte a me e me lo mise.
Poi tornò a sdraiarsi e mi accolse dentro di se con una figa umida e stretta. " Oi, piano " Il movimento dei fianchi era reciproco, inizialmente più dolce poi più deciso. Ma la cosa che mi metteva in difficoltà era quello sguardo, fisso su di me, e quella voce che tante volte avevo desiderato sentir godere." Non fermarti ti prego.. mmh " uscii dalla sua figa e mi sdraiai affianco a lei, salì a cavalcioni su di me " AHH.. " Il mio cazzo era entrato di nuovo. Si chinò leggermente verso di me. In quella posizione avevo le sue tette sulla faccia, e ciò mi dava grande piacere.
Stava godendo, si sentiva sicura, e si abbandonava, ma non smetteva, continuava a cavalcare, su e giù. Le mie mani schiaffeggiavano il suo culo ogni tanto, mentre le sue premevano contro il mio petto. " Cosii, cosii.. daii. " gemeva, io le ripetevo che era mia. Continuava senza sosta. Sentivo i suoi umori che scivolavano sul mio inguine, fin quando, girandola di nuovo sulla schiena, sborrai. Non feci in tempo a tirarlo fuori per via della foga del momento mi arresi all'orgasmo, " Mmm.... eccomii "
Sia lodata la durex pensai dentro di me.
Ci guardammo in faccia, sorrideva, un po imbarazzata.
Andai un secondo in bagno per togliermi il preservativo e darmi una pulita. Quando tornai a letto mi baciò.
" È stato bellissimo, ma vorrei avere un orgasmo anche io ogni tanto "
" E chi dice che dobbiamo smettere? Il mio cazzo sarà pure fuori uso per un po' ma ci sono altri mezzi "
Afferrai le sue cosece tirandola a me. " Uuh " esclamò un po' divertita. Cominciai a baciarla scendendo partendo dalla bocca, poi sempre più giù, passando per il suo seno, al suo ventre fino ad arrivare al frutto della passione. Ero di nuovo li a leccarla e a lei sembrava piacere più della penetrazione. Sentivo la sua figa bagnarsi sempre di più, e per aumentare il suo piacere si stimolava con un dito il clitoride. All'aumentare dei suoi gemiti e spasmi mi staccai e infilai due dita dentro di lei. " Vengoo, siii"
Ebbe un bell'orgasmo, bagnò un po' le coperte ma non ci importava, avevamo passato uno dei momenti più belli della nostra intimità.
Crollai vicino a lei, guardai l'ora... erano le 03:12.

Il mattino seguente non so che ore fossero quando la luce del sole iniziò a darmi fastidio agli occhi. Il mio orologio biologico era completamente sballato.
Sentivo il peso caldo di Asia addosso a me, la sua testa nell'incavo del mio collo, il suo respiro lento che mi solleticava la pelle. Eravamo nudi, intrecciati sotto il piumone come se volessimo fonderci per evitare di affrontare il mondo.
Finché: Driiin. Il suono del campanello ci fece svegliare immediatamente
Scattai seduto. Il cuore in gola.
Sbarrai gli occhi. Il cuore passò da sessanta a centoventi battiti al minuto in un nanosecondo.
Guardai la sveglia digitale sul comodino. 10:27:
Martedì.
Cristo santo. Era martedì.
​Il martedì era il giorno della lavanderia. Mia madre, nella sua infinita e soffocante gentilezza, passava a lasciare due o tre cose da mangiare “perché non mi fido di come ti nutri”. A ritirare la roba sporca e a riportare quella pulita e stirata. Perché io ero troppo pigro per farlo, e Asia... beh, Asia considerava il ferro da stiro uno strumento di tortura medievale.
Il panico fu immediato.
«Ok… vestiti! Sotto il letto tutto quello che non deve vedere!» sussurrai, già infilando i boxer al contrario.
Asia rotolò giù dal letto, avvolgendosi al volo nel lenzuolo e tornò in camera sua. Mi misi al volo la maglietta e i pantaloni mentre mi dirigevo ad aprire la porta.
Il campanello suonò di nuovo, più insistente questa volta.
Corsi nel corridoio come se mi giocassi la vita.
Non c’era tempo.
Aprii la porta cercando di bloccare il passaggio col corpo.
«Michael! Finalmente! Dormivi ancora?» disse mia madre, "già, ieri ho fatto più tardi del previsto al garage di Valerio "
Aveva un sacchetto di spesa leggero, un mazzo di camicie stirate e una borsa più grande per raccogliere il bucato da portarsi via.

" Mamma, aspetta, davvero non serve "
" Sciocchezze." Passò accanto a me, già diretta in cucina. "Ti ho portato due cose. E quelle camicie che portavi domenica erano un disastro, amore mio, le ho sistemate."
Io la seguivo a distanza, come se stessi accompagnando un ispettore della scientifica sulla scena del crimine.
Lei posò le lasagne, le arance e un piccolo sacchetto di pasta fresca sul tavolo.
Poi aprì la cesta dei panni sporchi senza neanche chiedere.
«Mh. Meno disordine del solito…» commentò, cosa che mi fece sospettare che la definizione di “solito” fosse stata aggiornata senza che me ne fossi accorto.
Quando si girò per tornare verso il corridoio, accadde.
Si fermò.
Un micro-secondo.
Il suo sguardo scivolò verso l’accappatoio blu. Mi girai e lo vidi anche io. Eri li, Vicino il divano, grande colpevole.
Abbandonato li dalla ieri sera come per dire " Hey, qui è successo qualcosa "
Gurdai mia madre come se niente fosse, ma riconobbi quell’espressione.
Il momento esatto in cui un genitore collega le informazioni che preferiresti restassero scollegate per sempre.
Mia madre non disse nulla. Nessun rimprovero. Nessun commento esplicito.
Solo un sopracciglio sollevato. Che diceva tutto.
Poi si voltò verso di me, con una calma che faceva più male di qualunque scenata.
«Michael,» disse, con un sorriso appena tirato. «La prossima volta… metti il bucato tutto insieme. Sai che non mi piace il disordine»

Traduzione: So esattamente cosa è successo. Non ne parlerò. Ma so.

Mi mollò le camicie pulite contro il petto, mi diede un bacio sulla guancia e aggiunse, con una punta di ironia quasi materna:
«Ah, e ricordati di arieggiare un po’. C’è… odore di nottata impegnativa.»
Io diventai un punto esclamativo umano.
Lei uscì, chiuse la porta, e io rimasi immobile nel corridoio con il bucato in braccio.
Dopo qualche secondo, la porta della camera di Asia si aprì e uscì, indossava la sua tuta di pile preferita
«È andata?» sussurrò.
«Sì. Ma… ha visto l’accappatoio.»
Asia venne verso di me trattenendo una risata e un gemito disperato allo stesso tempo.
«E cosa ha detto?»
«Che devo… mettere il bucato sporco tutto insieme perchè non le piace il disordine.»
Lei si coprì il viso un istante, poi scoppiò in una risata soffocata.
Si avvicinò e si poggiò accanto a me sul davanzale della cucina.
«Beh,» disse, toccandomi la mano, «almeno adesso non dobbiamo più fingere. Davanti a tua madre, intendo.»
Appoggiò la testa sulla mia spalla.
«E comunque,» aggiunse con un sorrisetto, «mi sembra una situazione recuperabile.»
«Recuperabile?» gemetti. «Abbiamo lasciato un accappatoio compromettente nel mezzo del salotto!»
Lei mi guardò con quegli occhi sicuri, quasi maliziosi.
«Appunto. Vieni.»
Mi tirò a se. «Prima sistemiamo… poi magari una doccia ci sta.»
«Una doccia?» ripetei, sospettoso e colpevolmente felice.
«Be’,» rise lei, «dopo tutta questa tensione, direi che è terapeutica.»

(...Continua...)
scritto il
2025-11-20
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