Matilde il giorno dopo

di
genere
etero

MATILDE IL GIORNO DOPO

La stanza odora di sesso e fumo.
La luce filtra dalle tende pesanti e disegna linee morbide sul suo corpo nudo, ancora abbandonato nel letto.
Matilde fuma.
Tiene la sigaretta con due dita, la guarda un attimo prima di portarsela alle labbra.
Sorride, ma non a me. Sorride a qualcosa che ha già deciso.
Il lenzuolo le copre solo una gamba e parte del fianco. Il resto seno, ventre, cosce è esposto, come una donna che sa di essere ancora desiderata, forse anche di più adesso.

«Sei ancora qui,» dice, senza sorpresa. «Hai dormito poco. Ti muovevi… mmmh… agitato. Forse non hai sognato. Forse stavi solo rivivendo.»

Appoggia la sigaretta sul posacenere, si gira sul fianco verso di me.
Con la mano accarezza il cuscino dove fino a poco fa c’era la mia testa.
«Vuoi che te ne racconti un’altra? Una di quelle che ti fanno tremare le mani e stringere la mascella?»
Le sue dita scivolano tra le gambe, lentamente.
Non per masturbarsi. Per farmi sapere che può farlo. Che lo farà.

«Ma stavolta…» — fa una pausa, accende un nuovo sorriso — «…non mi fermerò a raccontare. Questa te la faccio vivere. A occhi aperti. Qui. Adesso.»

Mi guarda.
Con una lentezza feroce, come se stesse scegliendo da dove cominciare a consumarmi di nuovo.

«Vieni qui. Sdraiati. E ascolta.
Ma stavolta, mentre ascolti… toccami.»
Mi sdraio accanto a lei.
La mia mano scivola sulla pelle del suo fianco, calda, ancora umida di notte.
Lei non mi guarda. Fuma.
Poi parla.

«Era l’anno dopo la morte di Gianni. Un anno esatto. Mi ero messa un vestito troppo stretto, una scollatura che non era da vedova. E un paio di tacchi così alti che sembravano un invito.»
Le sfioro il ventre. Lei lascia fare.
Il suo respiro cambia, appena.
Poi continua.

«Lui era il figlio di una collega. Ventisette. Appena rientrato da un master in Inghilterra. Educato, intelligente… e con quel modo goffo di spogliarti con gli occhi senza saperlo fare bene.»

La mia mano si ferma tra le sue gambe, aperte piano.
Non dice niente. Ma scosta appena il ginocchio, e quella è la sua approvazione.

«Me lo sono portato a casa dopo una cena. Era teso. Si scusava per tutto. Anche per avere un’erezione.
L’ho fatto sedere sul divano, l’ho preso per il mento, e gli ho detto:
“Lascia che sia io a chiederti scusa. Ma dopo.”»

Le mie dita la accarezzano, lente.
Lei sospira. Ma non smette di raccontare.
Anzi, il tono della voce si fa più basso. Più profondo.
Come se il piacere e la memoria si stessero intrecciando.
«Gli ho fatto spogliare solo la parte sopra. Poi mi sono messa in ginocchio davanti a lui per guardarlo dal basso in alto.
E mentre gli abbassavo i pantaloni, gli ho detto:
“Guarda come ti desidera una donna vera.”»
Il suo bacino si muove contro la mia mano.
Il suo corpo parla con il mio.
Ma le sue parole restano.
Matilde non ha bisogno di fermare il racconto per venire.
«L’ho preso in bocca, sì. E lui tremava, povero amore. Non sapeva se toccarmi o restare immobile.
Ho succhiato fino a farlo urlare. Poi mi sono messa sopra di lui e gli ho detto: “Ora tocca a te.”
Ma non era un invito. Era un ordine.»

Le sue cosce ora sono umide sotto le mie dita.
Le accarezzo, la cerco, la penetro piano.
E lei chiude gli occhi.
Non per abbandonarsi, ma per vivere di nuovo tutto, mentre io la faccio godere come allora.

«Ho goduto con lui. Come sto godendo adesso.
Ma sai la differenza?»
Apre gli occhi. Mi guarda. Senza pudore.

«Lui credeva di essere l’unico. Tu invece sai che non lo sei.
Ma resti lo stesso. Perché ti piace. Perché vuoi sentire quanto posso ancora.
Quanto posso adesso.
Quanto ti sto facendo impazzire… solo con un ricordo. E la tua mano.»
Matilde non parla più.
La voce le si spegne in gola, lasciando solo il ritmo del respiro.
Il corpo si tende e poi si abbandona, come se le parole che ha pronunciato avessero trovato la loro eco.
Sul volto le resta un sorriso calmo, pieno, che non ha bisogno di essere spiegato.

Si gira sul fianco, ti sfiora la guancia con le dita.
«Vedi?» mormora. «A volte basta ricordare per sentirsi vivi.»

Restate così, immobili, la stanza che torna lentamente silenziosa.
Fuori la luce è già cambiata; dentro, tutto è diverso.
Il gioco, per ora, è finito.
scritto il
2025-10-28
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