La zucchina volenterosa
di
Maschio Veroo
genere
feticismo
La donna, che si chiamava Eva aveva 39 anni e l'abitudine di misurare il tempo non con l'orologio, ma con l'ombra proiettata dal suo trullo. Il trullo era un'entità testarda, con il suo tetto conico di pietra calcarea che sembrava sfidare la geometria stessa dell'essere. Ma l'ossessione di Eva, quel giorno, non era il trullo. Era diventata una zucchina. Una zucchina fuori misura, di quel verde brillante che confina col giallo, trovata abbandonata in un cestino del mercato. Non era lunga e snella, ma tozza, quasi un cilindro verde, e inspiegabilmente tiepida. Eva l'aveva portata nel trullo, dove la luce entrava solo attraverso una fessura stretta, disegnando un fascio di polvere danzante. Claudio l'avrebbe definita la "materia prima del desiderio vegetale". Cecilia come la "ridondanza finale del raccolto". Eva posizionò la zucchina al centro del pavimento in pietra. Le due geometrie si fronteggiavano: il cono perfetto del tetto e il cilindro imperfetto della zucchina.
Eva provava una strana fascinazione per l’ortaggio. Le sembrava che la zucchina stesse ascoltando il silenzio del trullo. Un giorno, decise di interrogarla. “Dimmi, perché sei così tiepida?”. La zucchina, ovviamente, non rispose ma inizio a vibrare non internamente ma verticalmente. Era un vero e proprio totem sussultorio. Eva non si stupì. Capì che la zucchina cercava il suo posto nel mondo, e quel posto era il vertice del suo stesso desiderio per troppo tempo ingannato.
Claudio, se fosse stato presente, avrebbe calcolato l'attrito necessario per colmare il vuoto di Eva e sarebbe impazzito. Eva, che ovviamente non era a Claudio, si accovacciò con una semplicità disarmante. Spostò gli slip neri di lato e mosse lentamente il suo pube nudo verso il vertice lucido e svettante della zucchina mantenendosi in equilibrio con le braccia stese e le mani aggrappate al tavolino adiacente. Con stupore e meraviglia la zucchina si tese verso l’alto facilitando l’affondo nella cavità vaginale di Eva. In pochi attimi Eva, già madida di sudore, si era completamente impalata sulla zucchina che si muoveva con un ritmo regolare dal basso verso l’alto. Eva, quindi, si inarcò favorendo il riempimento totale e con una mano liberata dal tavolo si stringeva un capezzolo tirandolo verso l’apice del trullo. Eva si era estesa in geometria fatta carne con il suo corpo inarcato a rispondere al totem vegetale che vibrava con un ritmo non più meccanico, ma ontologico. Non c'era stupore, solo un'accettazione profonda della ridondanza del desiderio, finalmente materializzata in un cilindro grosso, tozzo e tiepido. Eva non stava cercando solo il piacere; stava risolvendo un'equazione. La zucchina, con la sua inattesa verticalità, le offriva la risposta al quesito che l'ombra del trullo non era mai riuscita a proiettare: la necessità di un punto focale che colmasse il vuoto tra l'essere e il volere. Il suo gemito orgasmico non fu solo di estasi, ma di riconoscimento. Era il suono di un’epifania interiore, l'ultima sillaba di un sillogismo surreale. La mano che stringeva il capezzolo non era un gesto erotico, ma il tentativo di Eva di connettere il proprio corpo al vertice conico del trullo, chiudendo il circuito tra la terra e il cielo. Se Claudio fosse arrivato in quel preciso istante, non sarebbe impazzito per l'attrito, ma per il fallimento di tutte le sue categorie fino ad allora considerate. Avrebbe visto non un atto, ma una dimostrazione: la materia organica che si eleva a scopo metafisico. E lui non avrebbe potuto aggiungere altro.
Eva si rese conto che la zucchina non vibrava per cercare il suo posto, ma per impartire una lezione. La sua tiepidezza non era residuo di sole, ma la temperatura ideale per un'intuizione. La zucchina le stava sussurrando la verità: la massima realizzazione non è nella ricerca, ma nell'incontro tra due geometrie inattese.
Il movimento cessò. La zucchina, svettante, si rilassò. Eva rimase un istante inarcata, ascoltando il silenzio che non era più vuoto, ma saturo di consapevolezza. Quando Eva scese, la zucchina rimase ferma tiepida e umida degli abbondanti umori di Eva. Il totem aveva adempiuto al suo destino geometrico. Eva la prese con una cura quasi religiosa e la riportò al centro del fascio di luce. L'ombra del trullo, proiettata sulla parete, sembrava essersi accorciata. Eva aveva misurato il tempo, non più con l'ombra, ma con l'intervallo tra l'ossessione e la risoluzione cilindrica. Prese la zucchina, uscì dal trullo e la piantò in un vaso. "Sei il mio ortaggio di ritorno" sussurrò Eva. "E ogni volta che ti guarderò crescere, ricorderò che l'unica cosa importante è l'incoerenza tra il desiderio e la materia”, concluse con la consapevolezza che la zucchina non era mai stata lì per essere mangiata, ma per insegnarle la geometria del destino: ogni oggetto ha un punto di massima ascesa, e ogni ascesa finisce sempre esattamente nel vuoto della propria solitudine.
Eva provava una strana fascinazione per l’ortaggio. Le sembrava che la zucchina stesse ascoltando il silenzio del trullo. Un giorno, decise di interrogarla. “Dimmi, perché sei così tiepida?”. La zucchina, ovviamente, non rispose ma inizio a vibrare non internamente ma verticalmente. Era un vero e proprio totem sussultorio. Eva non si stupì. Capì che la zucchina cercava il suo posto nel mondo, e quel posto era il vertice del suo stesso desiderio per troppo tempo ingannato.
Claudio, se fosse stato presente, avrebbe calcolato l'attrito necessario per colmare il vuoto di Eva e sarebbe impazzito. Eva, che ovviamente non era a Claudio, si accovacciò con una semplicità disarmante. Spostò gli slip neri di lato e mosse lentamente il suo pube nudo verso il vertice lucido e svettante della zucchina mantenendosi in equilibrio con le braccia stese e le mani aggrappate al tavolino adiacente. Con stupore e meraviglia la zucchina si tese verso l’alto facilitando l’affondo nella cavità vaginale di Eva. In pochi attimi Eva, già madida di sudore, si era completamente impalata sulla zucchina che si muoveva con un ritmo regolare dal basso verso l’alto. Eva, quindi, si inarcò favorendo il riempimento totale e con una mano liberata dal tavolo si stringeva un capezzolo tirandolo verso l’apice del trullo. Eva si era estesa in geometria fatta carne con il suo corpo inarcato a rispondere al totem vegetale che vibrava con un ritmo non più meccanico, ma ontologico. Non c'era stupore, solo un'accettazione profonda della ridondanza del desiderio, finalmente materializzata in un cilindro grosso, tozzo e tiepido. Eva non stava cercando solo il piacere; stava risolvendo un'equazione. La zucchina, con la sua inattesa verticalità, le offriva la risposta al quesito che l'ombra del trullo non era mai riuscita a proiettare: la necessità di un punto focale che colmasse il vuoto tra l'essere e il volere. Il suo gemito orgasmico non fu solo di estasi, ma di riconoscimento. Era il suono di un’epifania interiore, l'ultima sillaba di un sillogismo surreale. La mano che stringeva il capezzolo non era un gesto erotico, ma il tentativo di Eva di connettere il proprio corpo al vertice conico del trullo, chiudendo il circuito tra la terra e il cielo. Se Claudio fosse arrivato in quel preciso istante, non sarebbe impazzito per l'attrito, ma per il fallimento di tutte le sue categorie fino ad allora considerate. Avrebbe visto non un atto, ma una dimostrazione: la materia organica che si eleva a scopo metafisico. E lui non avrebbe potuto aggiungere altro.
Eva si rese conto che la zucchina non vibrava per cercare il suo posto, ma per impartire una lezione. La sua tiepidezza non era residuo di sole, ma la temperatura ideale per un'intuizione. La zucchina le stava sussurrando la verità: la massima realizzazione non è nella ricerca, ma nell'incontro tra due geometrie inattese.
Il movimento cessò. La zucchina, svettante, si rilassò. Eva rimase un istante inarcata, ascoltando il silenzio che non era più vuoto, ma saturo di consapevolezza. Quando Eva scese, la zucchina rimase ferma tiepida e umida degli abbondanti umori di Eva. Il totem aveva adempiuto al suo destino geometrico. Eva la prese con una cura quasi religiosa e la riportò al centro del fascio di luce. L'ombra del trullo, proiettata sulla parete, sembrava essersi accorciata. Eva aveva misurato il tempo, non più con l'ombra, ma con l'intervallo tra l'ossessione e la risoluzione cilindrica. Prese la zucchina, uscì dal trullo e la piantò in un vaso. "Sei il mio ortaggio di ritorno" sussurrò Eva. "E ogni volta che ti guarderò crescere, ricorderò che l'unica cosa importante è l'incoerenza tra il desiderio e la materia”, concluse con la consapevolezza che la zucchina non era mai stata lì per essere mangiata, ma per insegnarle la geometria del destino: ogni oggetto ha un punto di massima ascesa, e ogni ascesa finisce sempre esattamente nel vuoto della propria solitudine.
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Commenti dei lettori al racconto erotico