Maledetta Tentazione

di
genere
tradimenti

L'aria di fine settembre è fresca e tagliente, ma l'eccitazione che mi scalda da dentro non ha nulla a che fare con il freddo. Stiamo camminando nel centro commerciale deserto, è martedí mattina, le luci fredde del centro commerciale che spargono bagliori sulle nostre facce. Ogni vetrina è una promessa, ma il desiderio di fuga arriva prima.
Stiamo procedendo veloci, le mani che si sfiorano con la falsa casualità di amanti clandestini. Poi, ti blocchi di colpo. La tua mano afferra la mia con una stretta improvvisa, magnetica, proprio davanti a un vetro che riflette un mondo proibito.
La vetrina del negozio di lingerie è una bocca aperta sull'eccesso: pizzi neri, rossi fiamma, drappeggi di seta che non lasciano spazio all’immaginazione. L'allestimento è osceno e sublime insieme. L'aria intorno a noi si è fatta più densa, elettrica.
"Aspetta!" dici, la voce abbassata, un ringhio sottile che fatico a sentire sopra il rumore di fondo. Il tuo sguardo è fisso, non sul cartellone dei saldi, ma sul manichino centrale, vestito di un completo di pizzo nero trasparente.
"Una cosa così ti starebbe benissimo!" e la frase non è un complimento, è una sfida, un ordine sussurrato.
Arrossisco, di colpo cosciente di ogni singolo sguardo che potremmo attrarre.
"Ti sembra il caso?" chiedo, sapendo già che la resistenza è inutile.
Tu vuoi questo, e il mio ruolo è cedere, ma solo dopo il giusto preludio.
Senza dire nulla, mi prendi la mano con decisione e spingi la porta. L’aria calda che ci avvolge non sa di negozio, ma di un camerino segreto: profumo di vaniglia e seta nuova, il tappeto attutisce i passi, la luce è così soffusa da accarezzare, invece che illuminare.
La commessa avanza con un sorriso professionale, ma tu la fermi con l’abilità da attore consumato.
"Stiamo celebrando il nostro primo anniversario di matrimonio!"
annunci con una solennità teatrale che mi fa sentire le guance in fiamme. La menzogna è il primo passo nel nostro gioco.
"Voglio che mia moglie provi qualcosa di speciale."
Annuisco, complice, mentre la commessa si ritira, incantata dalla tua recita impeccabile. Mi lasci senza respiro. Ti aggiri tra scaffali e appendini, sfiorando i tessuti come se stessi scegliendo armi segrete. Pizzi neri, rossi fiamma, trasparenze avorio.
I tuoi occhi ogni volta tornano su di me, come a immaginarmi già dentro quei frammenti di stoffa. Mi inviti a provarli.
Nel camerino, il mondo si restringe a un battito. Provo il primo completo e, d’istinto, lascio la tenda appena socchiusa. Uno spiraglio sottile, abbastanza perché il tuo sguardo possa insinuarsi.
Lo sento percorrermi come un tocco invisibile: indugia sulle curve, esplora, pretende. Il cuore mi martella, la pelle vibra sotto la carezza dei tessuti.
"Ti piace guardare, vero?"
la mia voce è un sussurro, rovente, destinato solo a te.
Le tue labbra si piegano in un sorriso famelico, e so che non stai solo guardando: stai già spogliandomi con gli occhi.
Un brivido mi attraversa mentre mi accorgo che non siamo soli. L’angolo aperto della tenda ha catturato anche altri sguardi, fugaci e colpevoli. Ma il rischio non è il nemico, è il condimento. So che basta un tuo passo, un solo sguardo, per farmi bruciare, e questa consapevolezza è più potente di qualsiasi pizzo.
La tenda si chiude alle mie spalle con un fruscio, e per un istante resto sola. Il mondo fuori si dissolve: il brusio del centro commerciale si allontana, come se qualcuno avesse abbassato il volume. Qui dentro, il tempo si piega.
Sento ancora il tuo sguardo oltre la stoffa, invisibile ma pesante come una mano posata sulla pelle. È questo a eccitarmi più di tutto: sapere che mi osservi senza toccarmi, che mi desideri mentre resto irraggiungibile.
Sfilo la felpa, il tessuto spesso scivola via con un fruscio leggero, liberando le spalle. La lascio cadere sul piccolo sgabello. Ogni movimento è un atto deliberato, un gesto che racconta chi sono davvero quando smetto di fingere. Le mie dita indugiano un istante sull'orlo del top, poi scivolano sotto il tessuto morbido. Lo sollevo piano, un centimetro dopo l'altro, sentendo l'aria fresca sulla pelle. Quando il top si libera e cade, il mio respiro si alza, i miei capezzoli si tendono immediatamente in risposta al freddo e al pensiero del tuo sguardo. So che stai trattenendo il respiro oltre la tenda, in attesa, proprio come me.
Mi fermo un istante, lasciando che quell’immagine viva, poi passo ai leggings. Li arrotolo giù lungo i fianchi, il tessuto scivola aderente. Più si abbassano, più sento la tua presenza. Li lascio cadere fino alle caviglie, abbandonandoli a terra. Sono rimasta solo con gli slip, il minuscolo tessuto tra le cosce. Con un movimento deciso, afferro il sottile bordo e li sfilo, lasciandoli cadere in un cumulo insignificante. Mi sollevo lentamente, nuda, con il corpo che pulsa di desiderio sotto la tua attenzione invisibile.
Quando resto nuda, sento il freddo dello specchio e il calore che pulsa dentro. È un contrasto violento, come la mia mente: metà vergogna, metà esaltazione.
Mi domando cosa penseresti se potessi leggermi ora. Se vedresti il desiderio, o la paura di quanto profondamente ti sto lasciando entrare — non solo nel corpo.
Indosso il primo completo: pizzo nero, spietato nella sua trasparenza. Mi muovo lentamente. Mi giro verso la tenda, la lascio socchiusa. Lo spiraglio è un invito, una confessione, una prova.
So che stai guardando. Lo sento come una scossa che mi attraversa.
E in quel momento, comprendo che non si tratta solo di piacere.
È potere. È fiducia. È la libertà di lasciarmi vedere per ciò che sono: fragile e impudica, desiderosa e sincera.
Sento il tuo respiro farsi più pesante, quasi graffiato.
"Cristo, Stella…" sussurri, e la tua voce è roca, incrinata.
Mi volto appena, lasciando che la luce mi colpisca in modo da farti vedere ogni dettaglio.
Non è solo desiderio: è fame, è appartenenza.
E dentro di me qualcosa risponde, un’eco profonda, primitiva.
Non sto solo offrendoti il mio corpo — ti sto consegnando la mia resa, la mia paura, la mia verità.
"Ti piace?" la mia voce è un filo, ma carica di sfida.
"Mi stai facendo impazzire.”
Stringi i pugni finché le nocche diventano bianche, e vedo una vena pulsare sulla tua tempia.
“Ho già un’erezione, cazzo… e siamo in mezzo a un centro commerciale."
Sorrido, lenta, e passo al secondo completo: seta rossa. Me la faccio scivolare addosso e muovo i fianchi in un gesto che so essere crudele per te.
"Fermati, o entro lì e ti scopo subito!"
sibili, la voce spezzata dalla tensione.
Il terzo è avorio trasparente. Quando lo indosso, esalta. Il tuo petto si alza e si abbassa più velocemente.
"Stella…" sussurri, "Se continui così, non resisto. Apro quella tenda e ti prendo davanti a tutti.”
"Forse è proprio quello che voglio!" rispondo, avvicinandomi allo specchio e piegandomi leggermente, in modo che il profilo del mio sedere si offra alla tua vista.
Un colpo secco contro la parete sottile: la tua mano che sfoga la tensione.
"Sei una maledetta tentazione!" ringhi piano,
"e non sai quanto sto lottando per non toccarmi qui davanti a tutti."
E non chiudo la tenda, anzi: la lascio ancora un po’ più aperta, pronta a cedere.
La tenda ondeggia appena. Tu non resisti più: un passo deciso, la stoffa si scosta, e sei dentro.
Mi afferri con forza per la nuca e le tue labbra si abbattono sulle mie, brucianti, affamate. Il bacio è un morso, una rivendicazione. Sento il tuo respiro che trema, il tuo corpo duro contro il mio.
Le tue mani non chiedono permesso: affondano nel pizzo, catturano il seno, tormentano i capezzoli già tesi fino a strapparmi un gemito soffocato nella tua bocca.
"Cristo, Stella… sei così bagnata che potrei scoparti qui, davanti a tutti."
La tua voce è roca.
l tuo sussurro mi attraversa come una lama.
Potrebbe farlo. Io lo lascerei.
Non per debolezza, ma per verità: perché in quell’istante la mia volontà coincide con la sua.
Non c’è paura, solo la lucidità di chi sa di stare precipitando — e sceglie di non opporsi.
Sorrido, ansimando, mentre muovi la mano più in basso. Le dita scivolano oltre la seta sottile. Quando mi tocchi, è come un incendio. Le tue dita trovano subito il punto sensibile, lo sfiorano, lo tormentano.
Chiudo gli occhi, lascio che le dita mi trovino, mi aprano, mi interroghino.
Ogni gesto è una domanda a cui il mio corpo risponde con una lingua antica.
Non esiste più tempo, né spazio. Solo l’urgenza di essere toccata, vista, presa.
"Oh Dio… non dovresti… non qui…" Tu ridi piano.
"È esattamente qui che voglio. Voglio che tu goda sapendo che chiunque può entrare da un momento all’altro."
Mi spingi contro lo specchio, il vetro freddo sulla schiena nuda. Le dita affondano più decise, mi penetrano con urgenza.
"Senti come mi stringi?" sussurri all’orecchio.
"Sei fatta per me. Solo per me."
Mi muovo contro la tua mano, cercando più contatto. La tua erezione preme dura attraverso i jeans.
Le sue dita mi afferrano, scivolano tra le cosce, affondano senza pietà. Sono già bagnata. Geme contro il mio collo, e io chiudo gli occhi, arrendendomi.
Le sento, calde e tese. Le sfrega sulle mie labbra intime, le batte contro il clitoride.
"Vuoi che ti scopi qui?" ringhia piano.
"Scopami, adesso!" sibilo tra i denti, implorante.
"Non me ne frega nulla se ci beccano."
Mi giri, il rumore netto della cerniera abbassata è un suono osceno. Sento il tuo sesso liberarsi. Le tue mani mi scostano la seta sottile.
Affonda in me con un colpo secco, e un urlo mi muore in gola. Mi riempie tutta, fino in fondo. Non c’è delicatezza: mi prende con rabbia, con urgenza. Ogni spinta fa vibrare lo specchio.
È un gesto profondo, definitivo, che cancella ogni distanza.
Mi riempie, mi scava, mi riscrive.
La pelle che si scontra, il fiato che si fonde, il cuore che non distingue più tra piacere e dolore.
"Sei mia!" ringhi basso, affondando più forte.
"Mia, anche qui, anche ora."
Io mi muovo contro di te, spingendo il bacino all’indietro.
"Dio, sì… più forte… non fermarti…"
La tua mano mi afferra i capelli, mi costringe a guardare ancora.
“Così… guardati. Guarda come tremi. Guarda chi sei quando smetti di fingere di essere una brava moglie.”
E io mi guardo.
Mi vedo cedere, muovermi contro di lui, cercarlo con fame.
Mi vedo viva.
E in quella vita nuova non c’è vergogna, solo un senso feroce di libertà.
"Guardati!" ordini, la voce intrisa di potere.
"Guardati mentre ti scopo come se fossi solo mia puttana."
Mi vedo nello specchio: le guance arrossate, i seni che rimbalzano contro il vetro. E dietro di me, tu che mi possiedi con furia controllata.
"Ti sto scopando come ti meriti e chiunque là fuori può sentirti!" mi sussurra.
Il ritmo aumenta. Le tue labbra mordono, succhiano il mio collo.
“Vieni per me!" comanda piano, e la voce è miele e ferro insieme.
Lo faccio.
Sento l’onda nascere, crescere, travolgermi.
È un’onda scura, totale, che mi piega e mi libera nello stesso istante.
Il mio corpo urla, la mente si dissolve.
Resto sospesa tra il piacere e la resa, tra il peccato e la grazia. I miei muscoli si stringono su di lui.
Poi sento lui irrigidirsi, il tuo respiro farsi più corto, il tuo calore che mi invade.
È un sigillo, un atto senza ritorno.
Restiamo immobili, ancora uniti, mentre il mondo fuori continua ignaro.
Il tuo sussurro mi sfiora l’orecchio:
“Sei mia.”
Chiudo gli occhi.
E in quell’attimo lo sono davvero.
Ma sotto quella appartenenza sento nascere una forza nuova, sottile, luminosa:
la consapevolezza che ciò che gli ho dato, l’ho scelto io.
Che anche nella resa più profonda, resto padrona del mio desiderio.
Resto così, con la fronte sul vetro, la pelle che vibra, il cuore che batte forte.
Il silenzio ci avvolge, dolce e carico di echi.
Lui resta dentro di me, la mano sulla mia schiena, un gesto lieve, quasi tenero.
Rimaniamo uniti, ansimanti, finché non si ritrae da me. Un rivolo denso mi scivola tra le gambe e gocciola sul pavimento.
"Guarda cosa mi hai fatto…" gli sussurro.
Lui raccoglie un dito sporco del nostro piacere e se lo succhia. Io glielo strappo e me lo porto in bocca, assaggiandomi insieme a lui.
Un rumore di tacchi fuori. Ci immobilizziamo. La commessa si ferma proprio davanti.
"Va tutto bene, signori?"
"Sì… sto solo finendo di provare…" rispondo con voce spezzata, confinta calma.
Quando si allontana, ci rivestiamo di fretta. Mi infilo il top, la felpa e i leggins, senza mutandine. Il seme continua a colarmi dentro.
Quando ci stacchiamo, la tenda si richiude dietro di noi.
"Questo non è finito, Stella." mi bisbigli.
Usciamo dal camerino mano nella mano. La commessa ci sorride, forse con un briciolo di consapevolezza in più.
"È stato un piacere!" le dico con un tono mieloso.
"Questo è perfetto per il nostro anniversario."
Ma sotto la calma apparente, io sento ancora il fuoco.
Ogni passo è un segreto che pulsa, ogni respiro un residuo di ciò che è accaduto là dentro.
Sotto i vestiti, la stoffa aderisce alla pelle umida, e il tuo piacere mi cola piano, lento, come una promessa che non si può cancellare.
Sorrido alla commessa, con una dolcezza che è quasi una bugia. Lei ricambia, forse intuendo qualcosa, ma resta in silenzio. Non sa che tra le mie cosce scorre ancora la prova della nostra follia.
Mi sento viva, scandalosamente viva, e insieme nuda — anche se vestita.
Appena fuori, l’aria di fine settembre mi graffia la pelle.
Il freddo mi attraversa, ma non riesce a spegnere il calore che porto dentro.
Ogni passo è un promemoria: la stoffa che sfrega, la carezza segreta del fluido caldo che scivola lento tra le gambe.
Sento il battito del mio corpo, la memoria del tuo dentro di me.
Non è solo desiderio: è una forma di appartenenza che mi spaventa e mi esalta.
Ti guardo. Cammini accanto a me, la stessa calma controllata, ma negli occhi hai ancora quella fame, quell’ombra di dominio che mi incendia.
Vorrei dirti che ciò che abbiamo fatto è troppo, che abbiamo superato un limite.
Ma in fondo, so che era necessario.
Abbiamo scritto un nuovo confine — e lo abbiamo violato insieme.
Alla fermata del bus ci sediamo vicini. La panchina è gelida, metallica.
Mi siedo piano, e il contatto mi strappa un brivido: tra le cosce, il calore si mescola al freddo, creando una vertigine.
Infilo una mano nella tasca del cappotto, come per tenermi ferma, per non tremare troppo.
Mi volto verso di te.
Ti cerco lo sguardo, e quando lo trovo, mi ci perdo.
Dentro quegli occhi non c’è solo desiderio: c’è qualcosa di più profondo, di antico — un patto non detto, una promessa carnale.
Mi avvicino al tuo orecchio.
La mia voce è un soffio, un peccato pronunciato piano:
“Sto camminando portando dentro di me la tua impronta. Ogni passo è un ricordo del tuo corpo nel mio.”
Tu chiudi gli occhi, come se la frase ti attraversasse.
Ti vedo trattenere il respiro, la mascella serrata.
Capisci che non è solo erotismo: è legame, è potere reciproco, è il segreto che ci definisce.
L’autobus non è ancora arrivato.
Il mondo intorno continua la sua corsa distratta — voci, passi, clacson.
Ma io sono altrove: nel riflesso di uno specchio, in un camerino che ora vive solo nella mia memoria.
E capisco che niente sarà più esattamente come prima.
Non per il gesto, ma per la consapevolezza che ho provato — quella di essere capace di perdermi e ritrovarmi nello stesso istante.
Di essere viva, scandalosamente viva.
Mi stringi la mano, e in quel tocco sento tutto: il possesso, la tenerezza, la complicità colpevole.
Non diciamo nulla.
Non serve.
Mentre l’autobus si avvicina, so che lo sporco che porto dentro non è una macchia — è un sigillo.
E io, segnata, cammino nel freddo come una donna che ha scelto di appartenersi, anche nel peccato.


scritto il
2025-09-29
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