La prima volta (prima parte)
di
Paolatrav
genere
gay
Avevo da poco compiuto 18 anni ed ero ancora un ragazzino imberbe, capelli mori a caschetto, lineamenti dolci e aggraziati. Ero molto diverso dai miei compagni di scuola, che ostentavano i segni della loro conquistata virilità: barbe incolte ma evidenti, spalle robuste, voci sempre più profonde e baritonali. Al contrario la mia voce non era affatto cambiata, le mie spalle erano normali e i miei fianchi modellavano un sedere che sporgeva naturalmente all’indietro. Mi sentivo a disagio per questo ma, per fortuna, non ero oggetto di scherno o di derisione: i miei modi dolci e il mio aspetto quasi efebico, anzi, sembravano incontrare il gradimento della componente femminile della classe. Durante la gita scolastica della quinta classe avevo addirittura conquistato la più carina, con la quale mi ero scambiato, in autobus, alcuni baci che non erano sfuggiti ai miei compagni.
Da parte mia, però, quei baci conquistati, così come quelli precedentemente scambiati con altre ragazze, non mi avevano affatto emozionato. Ne andavo orgoglioso, perché avevo dimostrato a me ed agli altri il mio essere “normale”, a dispetto del mio aspetto così poco virile. Tuttavia dentro di me sentivo che non era quello, in realtà, ciò che desideravo. Non che avessi mai provato attrazione per il mondo maschile, ma durante quella limonata in autobus non avevo avuto neppure un accenno di erezione, che pur regolarmente avevo quando, di nascosto dai miei, guardavo in rete foto e filmati erotici. I miei video preferiti erano quelli in cui veniva praticato sesso orale: ne ero profondamente attratto e a volte mi chiedevo cosa si dovesse provare in quei momenti. Con il passare del tempo, la mia immaginazione mi portava, sempre più spesso, ad immaginare le sensazioni che provava la femmina nel provocare un così grande piacere al maschio che la sovrastava e la usava esclusivamente per il proprio godimento.
Dopo l’Estate, mi iscrissi all’Università e, causa le comuni difficoltà in matematica, mi trovavo sempre più spesso nel pomeriggio a casa del mio collega di studi Luca, a studiare e ripassare assieme le lezioni.
Non so bene quando abbia cominciato a guardarlo in quel modo. Forse era successo piano, senza che me ne accorgessi davvero. All’inizio Marco era semplicemente "il fratello grande di Luca", quello che passava in corridoio mentre noi studiavamo, quello che a volte ci portava un bicchiere d’acqua o buttava lì una battuta. Ma col tempo il suo corpo, la sua voce, perfino il suo modo di sorridere hanno cominciato a restarmi addosso più del dovuto.
Ogni volta che lo vedevo, mi sentivo osservato dentro. Bastava che i suoi occhi incrociassero i miei e un calore imprevisto mi saliva fino al volto. Mi dicevo che era un caso, che non poteva essersene accorto… eppure a volte il suo sguardo indugiava appena un po’ di più, come se stesse aspettando qualcosa da me.
Quel pomeriggio pioveva a dirotto. Luca era stanco e si era chiuso in camera con la musica alta, e io mi ritrovai con Marco che, con naturalezza, mi propose di riaccompagnarmi a casa in macchina. Avrei potuto dire di no, aspettare che smettesse di piovere. Ma non l’ho fatto.
Seduto accanto a lui nell’abitacolo, sentivo il battito del cuore sopra il rumore della pioggia. L’odore di tessuto bagnato e del suo profumo mi stordiva. Ogni suo gesto, anche il più banale — una mano che spostava la leva del cambio, un braccio appoggiato al volante — mi sembrava carico di significati nascosti.
A un certo punto, senza distogliere lo sguardo dalla strada, disse: “sai che ti ho visto spesso guardarmi?”
Le parole mi scossero come una scarica. Avrei voluto negare, ridere, dire che era un malinteso. Ma la voce mi si bloccò in gola. Mi limitai a deglutire, fissando il vetro appannato.
Lui sorrise, con un tono che non aveva nulla di accusatorio, anzi: “non c’è niente di male. Gli sguardi raccontano molto più delle parole”.
Mi voltai verso di lui, e per la prima volta non ebbi la forza di abbassare lo sguardo. In quell’istante capii che non era un gioco della mia immaginazione: lui sapeva, e stava lasciando che fossi io a decidere se resistere o abbandonarmi.
Marco accostò in un punto isolato. Il rumore della pioggia era più forte, quasi un sipario che ci separava dal mondo. Nell’abitacolo il silenzio si riempì di tensione: io respiravo corto, lui sembrava calmo, ma lo percepivo presente, vicino. Quando la sua mano sfiorò il mio ginocchio, un brivido mi attraversò. Non era un gesto invadente, era un invito. Un modo per chiedermi se volevo restare nel conosciuto o se ero pronto a varcare quella soglia che da settimane sognavo e temevo insieme.
Mi accorsi che stavo tremando. Dentro di me una voce urlava che non era giusto, che non ero pronto, che non sapevo chi ero. Ma ce n’era un’altra, più profonda, che mi sussurrava che sì, era proprio lì che volevo stare. Che quell’ignoto mi chiamava da tempo. Lo guardai negli occhi, e senza dire nulla lasciai che il mio silenzio fosse il consenso. Lui non ebbe bisogno di altro. Si avvicinò, lentamente, con una calma che faceva sembrare naturale quello che stava per accadere. Mise la mano destra dietro la mia nuca e avvicinò le sue labbra alle mie. Appena le labbra si unirono la sua lingua entrò profondamente nella mia bocca, ad invaderla, quasi a stabilire i ruoli: lui era sicuramente il maschio che imponeva la sua virilità e la sua fisicità.
Sentire quella lingua che mi penetrava la bocca e si attorcigliava con la mia fu la sensazione che cambiò il mio modo di essere: quello si che era un bacio passionale, non come quelli che avevo scambiato, timidamente e quasi scolasticamente nell’autobus della gita!
Tenevo gli occhi chiusi ma partecipavo al bacio restandone rapito; era comunque sempre lui a guidare, a decidere quando spingere con la lingua, fin quasi in fondo alla gola, o quando cercare la mia per intrecciarsi con essa o quando mordermi dolcemente le labbra.
Ad un tratto mi disse: “sai che sei davvero carina?“
Mi aveva chiamata al femminile……ne rimasi profondamente turbato! Lui proseguì: “sei molto più carina di tante ragazzine che conosco, anzi sei irresistibile, senti che effetto mi fai!”
E detto questo prese la mia mano e se la portò in mezzo alle sue gambe a farmi sentire il cazzo duro e apparentemente grosso che era ancora rinchiuso dentro ai suoi jeans. Sentendolo così eccitato e duro per me, mentre ancora fronteggiavo la sua lingua impertinente che tentava di arrivarmi in gola, mi vennero in mente i video che avevo visto e mi sembrò di capire perché quelle femmine si prodigavano per dare piacere con la bocca al loro maschio.
Da parte mia, però, quei baci conquistati, così come quelli precedentemente scambiati con altre ragazze, non mi avevano affatto emozionato. Ne andavo orgoglioso, perché avevo dimostrato a me ed agli altri il mio essere “normale”, a dispetto del mio aspetto così poco virile. Tuttavia dentro di me sentivo che non era quello, in realtà, ciò che desideravo. Non che avessi mai provato attrazione per il mondo maschile, ma durante quella limonata in autobus non avevo avuto neppure un accenno di erezione, che pur regolarmente avevo quando, di nascosto dai miei, guardavo in rete foto e filmati erotici. I miei video preferiti erano quelli in cui veniva praticato sesso orale: ne ero profondamente attratto e a volte mi chiedevo cosa si dovesse provare in quei momenti. Con il passare del tempo, la mia immaginazione mi portava, sempre più spesso, ad immaginare le sensazioni che provava la femmina nel provocare un così grande piacere al maschio che la sovrastava e la usava esclusivamente per il proprio godimento.
Dopo l’Estate, mi iscrissi all’Università e, causa le comuni difficoltà in matematica, mi trovavo sempre più spesso nel pomeriggio a casa del mio collega di studi Luca, a studiare e ripassare assieme le lezioni.
Non so bene quando abbia cominciato a guardarlo in quel modo. Forse era successo piano, senza che me ne accorgessi davvero. All’inizio Marco era semplicemente "il fratello grande di Luca", quello che passava in corridoio mentre noi studiavamo, quello che a volte ci portava un bicchiere d’acqua o buttava lì una battuta. Ma col tempo il suo corpo, la sua voce, perfino il suo modo di sorridere hanno cominciato a restarmi addosso più del dovuto.
Ogni volta che lo vedevo, mi sentivo osservato dentro. Bastava che i suoi occhi incrociassero i miei e un calore imprevisto mi saliva fino al volto. Mi dicevo che era un caso, che non poteva essersene accorto… eppure a volte il suo sguardo indugiava appena un po’ di più, come se stesse aspettando qualcosa da me.
Quel pomeriggio pioveva a dirotto. Luca era stanco e si era chiuso in camera con la musica alta, e io mi ritrovai con Marco che, con naturalezza, mi propose di riaccompagnarmi a casa in macchina. Avrei potuto dire di no, aspettare che smettesse di piovere. Ma non l’ho fatto.
Seduto accanto a lui nell’abitacolo, sentivo il battito del cuore sopra il rumore della pioggia. L’odore di tessuto bagnato e del suo profumo mi stordiva. Ogni suo gesto, anche il più banale — una mano che spostava la leva del cambio, un braccio appoggiato al volante — mi sembrava carico di significati nascosti.
A un certo punto, senza distogliere lo sguardo dalla strada, disse: “sai che ti ho visto spesso guardarmi?”
Le parole mi scossero come una scarica. Avrei voluto negare, ridere, dire che era un malinteso. Ma la voce mi si bloccò in gola. Mi limitai a deglutire, fissando il vetro appannato.
Lui sorrise, con un tono che non aveva nulla di accusatorio, anzi: “non c’è niente di male. Gli sguardi raccontano molto più delle parole”.
Mi voltai verso di lui, e per la prima volta non ebbi la forza di abbassare lo sguardo. In quell’istante capii che non era un gioco della mia immaginazione: lui sapeva, e stava lasciando che fossi io a decidere se resistere o abbandonarmi.
Marco accostò in un punto isolato. Il rumore della pioggia era più forte, quasi un sipario che ci separava dal mondo. Nell’abitacolo il silenzio si riempì di tensione: io respiravo corto, lui sembrava calmo, ma lo percepivo presente, vicino. Quando la sua mano sfiorò il mio ginocchio, un brivido mi attraversò. Non era un gesto invadente, era un invito. Un modo per chiedermi se volevo restare nel conosciuto o se ero pronto a varcare quella soglia che da settimane sognavo e temevo insieme.
Mi accorsi che stavo tremando. Dentro di me una voce urlava che non era giusto, che non ero pronto, che non sapevo chi ero. Ma ce n’era un’altra, più profonda, che mi sussurrava che sì, era proprio lì che volevo stare. Che quell’ignoto mi chiamava da tempo. Lo guardai negli occhi, e senza dire nulla lasciai che il mio silenzio fosse il consenso. Lui non ebbe bisogno di altro. Si avvicinò, lentamente, con una calma che faceva sembrare naturale quello che stava per accadere. Mise la mano destra dietro la mia nuca e avvicinò le sue labbra alle mie. Appena le labbra si unirono la sua lingua entrò profondamente nella mia bocca, ad invaderla, quasi a stabilire i ruoli: lui era sicuramente il maschio che imponeva la sua virilità e la sua fisicità.
Sentire quella lingua che mi penetrava la bocca e si attorcigliava con la mia fu la sensazione che cambiò il mio modo di essere: quello si che era un bacio passionale, non come quelli che avevo scambiato, timidamente e quasi scolasticamente nell’autobus della gita!
Tenevo gli occhi chiusi ma partecipavo al bacio restandone rapito; era comunque sempre lui a guidare, a decidere quando spingere con la lingua, fin quasi in fondo alla gola, o quando cercare la mia per intrecciarsi con essa o quando mordermi dolcemente le labbra.
Ad un tratto mi disse: “sai che sei davvero carina?“
Mi aveva chiamata al femminile……ne rimasi profondamente turbato! Lui proseguì: “sei molto più carina di tante ragazzine che conosco, anzi sei irresistibile, senti che effetto mi fai!”
E detto questo prese la mia mano e se la portò in mezzo alle sue gambe a farmi sentire il cazzo duro e apparentemente grosso che era ancora rinchiuso dentro ai suoi jeans. Sentendolo così eccitato e duro per me, mentre ancora fronteggiavo la sua lingua impertinente che tentava di arrivarmi in gola, mi vennero in mente i video che avevo visto e mi sembrò di capire perché quelle femmine si prodigavano per dare piacere con la bocca al loro maschio.
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