Emma 3

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etero

Capitolo III – La doccia
Tornai a casa che era già buio. Mio marito era uscito, lasciando un biglietto frettoloso sul tavolo: Cena con i colleghi, non aspettarmi. Mi feci una risata amara. “Colleghi”, certo. Sapevo benissimo dove e con chi stava. Ma quella sera non mi importava. Il mio corpo puzzava ancora di sesso, la figa mi pulsava, le cosce appiccicate di sperma secco. Ogni passo era un promemoria sporco di quello che avevo fatto.
Andai dritta in bagno, mi tolsi i vestiti e mi guardai allo specchio. Le cosce graffiate, i segni viola sul collo, i capezzoli ancora induriti. Sembravo reduce da una guerra. Una guerra che avevo perso e vinto allo stesso tempo. Aprii l’acqua bollente e mi infilai sotto il getto.
Appoggiai la fronte alle piastrelle fredde e chiusi gli occhi. Le immagini mi piombarono addosso subito, più vive dell’acqua che mi scorreva sulla pelle. Ricordavo ogni dettaglio. Dopo la pasticca, dopo la scopata feroce che mi aveva ridotta a uno straccio, Kai era rimasto duro. Ancora duro, ancora pronto, come se il cazzo fosse diventato un’arma instancabile.
E io lo avevo chiesto. Sì, ero stata io a dirglielo, con la voce roca e il culo già spalancato: «Prendimi dietro. Sfondami.»
Non era la prima volta che lo facevo, ma con lui, col Loto Rosso che mi ribolliva nelle vene, era stato diverso. Osceno, animale, devastante. Mi ricordai il pop umido quando mi entrò, lento all’inizio, poi sempre più forte. La sensazione di essere aperta in due, lo stomaco che mi si rivoltava, e insieme quel piacere indicibile che mi faceva urlare.
Mi misi una mano tra le gambe, sotto l’acqua, e già ero bagnata di nuovo. Le dita scivolavano facili, il clitoride pulsava come impazzito. Mi vennero in mente i rumori di quella stanza: lo schiocco delle sue palle contro il mio culo, il suono viscido dei nostri corpi, il mio gemito strozzato mentre mi teneva i fianchi e mi sbatteva come un pezzo di carne.
«Sei mia» mi aveva detto. E io avevo ansimato: «Sì, scopami, sfondami ancora.»
Le mie dita accelerarono, strofinando forte, e l’acqua che scrosciava diventava il sottofondo perfetto al ricordo dei nostri gemiti. Sentivo ancora l’odore di sudore, di sperma, di figa bagnata. Era rimasto nelle narici, sotto le unghie, incrostato nella pelle. Più mi lavavo e più mi sembrava di sporcare ancora.
Mi piegai leggermente in avanti, con la mano che massacrava il clitoride. Con l’altra mi infilai un dito dentro, poi due. Ma non bastava. Non era mai abbastanza. Con Kai era stato diverso: lui mi aveva riempita tutta, fino in fondo, fino a farmi male. Io volevo quel dolore. Non bastava la mia mano, non bastavano le mie dita.
Mi ricordai il momento preciso: lui mi piegò tutta in avanti, mi strinse i fianchi e mi prese più forte, così forte che le pareti della stanza d’albergo tremarono. Ogni colpo era un tuono, ogni spinta uno schianto dentro di me. Urlavo, ansimavo, e sentivo lo sperma della scopata precedente colarmi lungo le gambe, mischiarsi al suo cazzo che mi entrava dietro. Era lurido, era bestiale, era tutto quello che avevo sempre voluto e mai avuto.
Venni come non avevo mai goduto prima. Ricordo il mio urlo, cavernoso, animalesco, che mi ruppe la gola. Mi sentii esplodere, come se il cervello mi fosse schizzato fuori dagli occhi. Tremavo tutta, con la figa che si stringeva a vuoto, eppure lui non smetteva. Continuava, instancabile, con i colpi secchi che facevano schioccare il culo come carne macellata.
Sotto la doccia mi morsi le labbra per non urlare. Le dita mi lavoravano forte, veloci, scivolose, il clitoride gonfio e dolorante. Pensavo a lui che veniva dentro di me, che mi riempiva di caldo, che lasciava colare lo sperma fuori, lungo il buco, sporco, umido. Pensavo a me che lo raccoglievo con le dita e me lo leccavo, ridendo come una pazza.
L’acqua bollente mi bruciava la pelle, ma non bastava a cancellare i brividi. Ogni rumore nella mia testa era amplificato: lo schiocco delle carni, il gorgoglio dei nostri umori, i suoi ringhi, i miei gemiti strozzati. Tutto mi tornava addosso, e più mi toccavo più lo rivivevo.
«Troia» mi aveva sussurrato, affondando ancora. «Ti piace così?»
«Sì, cazzo!» avevo urlato. «Sono la tua troia!»
E ora, sotto la doccia, me lo ripetevo tra i denti, con le dita che correvano veloci: «Sì, sono la tua troia, Kai, scopami ancora, dammi il tuo cazzo, dammi tutto.»
Venni di nuovo, sola, con un orgasmo che mi piegò in due. Mi appoggiai alla parete, le gambe molli, il cuore che scoppiava. L’acqua scrosciava, ma sentivo ancora l’odore acre del sesso, il sapore metallico della pasticca in gola. Non potevo più tornare indietro.
Quando mi ripresi, ansimando, mi accorsi che stavo piangendo. Lacrime calde, confuse, miste all’acqua. Piangevo e ridevo insieme, come una pazza. Perché sapevo che lo avrei rifatto. Lo avrei cercato ancora, a costo di bruciare tutto.
Mi massaggiai le cosce indolenzite, la figa dolorante. Sorrisi, un sorriso storto, sporco. Mio marito poteva andare a farsi fottere con le sue ragazzine profumate. Io avevo trovato altro. Io avevo trovato Kai. E il Loto Rosso.
Chiusi l’acqua, mi avvolsi nell’asciugamano, e mi guardai di nuovo allo specchio. Gli occhi rossi, i capelli incollati alla fronte, le labbra gonfie. Non ero più la donna che ero stamattina.
Ero una troia rinata.
Segue..
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2025-09-20
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