Emma 2
di
Emmaw
genere
prime esperienze
Capitolo II – Il Loto Rosso
Ero ancora sudata, col cuore che batteva come un tamburo, le cosce appiccicate di sperma e dei miei umori, quando Kai tirò fuori una scatoletta di metallo lucido dalla tasca della giacca. La aprì con calma, come se stesse per offrirmi una caramella. Dentro c’erano delle pastiglie rosse, piccole, brillanti, come chicchi di melograno.
«Cos’è?» gli chiesi, ancora con la gola arsa e la figa che pulsava.
Lui sorrise, quel sorriso che mi faceva sentire già sua preda. «Un regalo. Si chiama Loto Rosso. Fidati di me.»
«Una droga?»
«Chiamala come vuoi. Non fa male. Una goccia, una pillola, e tutto quello che hai sentito finora ti sembrerà niente.»
Non avrei dovuto accettare. Non sapevo niente di quella roba, poteva anche ammazzarmi. Ma ero già morta dentro da anni, e adesso volevo solo sentirmi viva. Allungai la mano. «Dammi una.»
Me la posò sul palmo: un piccolo chicco rosso che sembrava innocuo. La ingoiai senza pensarci, con un sorso d’acqua. Era amara, lasciava un retrogusto metallico sulla lingua. Mi bruciò lo stomaco per qualche secondo, poi una vampata mi salì su per il petto, fino al cervello.
In meno di un minuto sentii la pelle diventare elettrica. Ogni poro vibrava. Il sudore sul collo odorava più forte, acre, quasi dolce. Ogni respiro mi portava dentro un mondo intero: il tanfo della moquette, l’umido stantio delle tende chiuse, il sapore del cazzo di Kai ancora in gola. Tutto era moltiplicato.
«Cristo…» sussurrai, portandomi le mani al petto. «Che cazzo è questa roba?»
Kai rise e ingoiò una pillola anche lui. «Adesso vedrai.»
E lo vidi. Il suo cazzo, che poco prima si era afflosciato, tornò duro in pochi secondi. Non duro: mostruoso. Grosso, teso, le vene gonfie come serpenti sotto la pelle. Sembrava battere da solo, vivo.
Mi prese per i capelli e mi spinse la testa verso il basso. «Succhialo» disse, con la voce roca.
Lo feci senza esitazione. E fu come se non l’avessi mai fatto in vita mia. Ogni centimetro del suo cazzo sulla lingua era un’esplosione. Il gusto salato, il sapore di pelle mista a sperma secco, il calore che mi riempiva la bocca: era tutto dieci volte più intenso. Sentivo il rumore della saliva che gorgogliava, lo schiocco delle mie labbra, il suono umido della mia gola che si apriva per inghiottirlo fino al fondo. Mi sembrava di affogare e insieme di rinascere.
«Brava puttana» ringhiò lui, tenendomi la testa ferma e scopandomi la bocca. Le sue palle sbattevano contro il mio mento, facevano un rumore osceno, e io gemevo con il cazzo in gola.
Quando mi lasciò andare, tossii, con i fili di bava che mi colavano sul petto. Ero uno straccio, ma un desiderio feroce mi divorava.
«Ancora» sussurrai. «Ti prego, ancora.»
Lui mi piegò sul letto, a quattro zampe, e mi entrò dentro senza preavviso. Gridai, un urlo animalesco, perché lo sentivo come mai prima. Il suo cazzo mi lacerava, mi riempiva tutta, fino a farmi male. E quel dolore era piacere. Ogni colpo era uno schianto dentro di me, un boato che rimbombava nella testa. Le lenzuola bagnate facevano un rumore viscido sotto le mie mani, e io affondavo le unghie nella stoffa sporca.
Il mio odore mi esplose nelle narici: il tanfo della mia figa bagnata, mescolato allo sperma che mi colava ancora, e al sudore di entrambi. Un odore animale, che mi faceva impazzire. Mi sembrava di annusare il sesso stesso, nudo e crudo, più vero di qualsiasi altra cosa.
Kai mi scopava forte, con colpi secchi, le sue palle che sbattevano contro il mio clitoride facendolo pulsare. Sentivo i miei umori schizzare fuori a ogni spinta, colare lungo le cosce, sporcare il letto. Il rumore era osceno: slap, squelch, schlick, una sinfonia sporca che mi faceva gemere senza freni.
«Guarda come ti riduco» ringhiò, afferrandomi i fianchi. «Un marito che non ti sfiora e tu qui a sgocciolare come una troia in calore.»
«Sì!» urlai, con la voce spezzata. «Sono una troia! Scopami più forte!»
Venni di nuovo, un orgasmo che mi squassò tutta, così violento che mi mancò il respiro. Sentii la figa stringergli il cazzo come una morsa, succhiarglielo dentro, mentre il mio corpo si contorceva. Urlai fino a farmi male alla gola.
Ma il Loto Rosso non lasciava tregua. Non era mai abbastanza. Anche mentre tremavo, sentivo la figa ancora pulsare, bramare, chiedere altro. E lui non si fermava. Continuava, instancabile, ogni colpo più duro del precedente.
Mi tirò su per i capelli, costringendomi ad alzare la testa, mentre continuava a scoparmi da dietro. Mi morse l’orecchio, succhiando forte, lasciandomi un livido.
«Non ti lascio finché non mi supplichi di fermarmi» sibilò.
«Non fermarti mai» ansimai.
E venni ancora. E ancora. Una serie di orgasmi che si rincorrevano, sovrapposti, senza respiro. Il mondo sparì: c’erano solo i rumori osceni delle nostre carni, l’odore aspro del sudore, il sapore metallico che mi era rimasto sulla lingua dopo la pasticca. Tutto amplificato, distorto, come se fossi intrappolata in un delirio.
Quando lui finalmente venne di nuovo, sentii lo sperma caldo schizzare dentro di me con una forza che quasi mi fece svenire. Gocciolava subito fuori, colando sulle cosce, bagnando le lenzuola già fradicie. Il rumore viscido del seme che scivolava era un suono osceno, che mi fece gemere ancora, come se stessi godendo solo a sentirlo colarmi addosso.
Caddi sul letto, esausta, il corpo che tremava convulso. Respiravo a fatica, la gola arsa, le cosce appiccicate, la figa che ancora pulsava come se chiedesse altro.
Kai si sdraiò accanto a me, il petto che si alzava e si abbassava, il sorriso di chi sapeva esattamente quello che aveva fatto.
«Benvenuta» disse piano. «Adesso non potrai più farne a meno.»
Aveva ragione. Lo sentivo già. Il Loto Rosso mi aveva marchiata. E io lo volevo ancora.
Ero ancora sudata, col cuore che batteva come un tamburo, le cosce appiccicate di sperma e dei miei umori, quando Kai tirò fuori una scatoletta di metallo lucido dalla tasca della giacca. La aprì con calma, come se stesse per offrirmi una caramella. Dentro c’erano delle pastiglie rosse, piccole, brillanti, come chicchi di melograno.
«Cos’è?» gli chiesi, ancora con la gola arsa e la figa che pulsava.
Lui sorrise, quel sorriso che mi faceva sentire già sua preda. «Un regalo. Si chiama Loto Rosso. Fidati di me.»
«Una droga?»
«Chiamala come vuoi. Non fa male. Una goccia, una pillola, e tutto quello che hai sentito finora ti sembrerà niente.»
Non avrei dovuto accettare. Non sapevo niente di quella roba, poteva anche ammazzarmi. Ma ero già morta dentro da anni, e adesso volevo solo sentirmi viva. Allungai la mano. «Dammi una.»
Me la posò sul palmo: un piccolo chicco rosso che sembrava innocuo. La ingoiai senza pensarci, con un sorso d’acqua. Era amara, lasciava un retrogusto metallico sulla lingua. Mi bruciò lo stomaco per qualche secondo, poi una vampata mi salì su per il petto, fino al cervello.
In meno di un minuto sentii la pelle diventare elettrica. Ogni poro vibrava. Il sudore sul collo odorava più forte, acre, quasi dolce. Ogni respiro mi portava dentro un mondo intero: il tanfo della moquette, l’umido stantio delle tende chiuse, il sapore del cazzo di Kai ancora in gola. Tutto era moltiplicato.
«Cristo…» sussurrai, portandomi le mani al petto. «Che cazzo è questa roba?»
Kai rise e ingoiò una pillola anche lui. «Adesso vedrai.»
E lo vidi. Il suo cazzo, che poco prima si era afflosciato, tornò duro in pochi secondi. Non duro: mostruoso. Grosso, teso, le vene gonfie come serpenti sotto la pelle. Sembrava battere da solo, vivo.
Mi prese per i capelli e mi spinse la testa verso il basso. «Succhialo» disse, con la voce roca.
Lo feci senza esitazione. E fu come se non l’avessi mai fatto in vita mia. Ogni centimetro del suo cazzo sulla lingua era un’esplosione. Il gusto salato, il sapore di pelle mista a sperma secco, il calore che mi riempiva la bocca: era tutto dieci volte più intenso. Sentivo il rumore della saliva che gorgogliava, lo schiocco delle mie labbra, il suono umido della mia gola che si apriva per inghiottirlo fino al fondo. Mi sembrava di affogare e insieme di rinascere.
«Brava puttana» ringhiò lui, tenendomi la testa ferma e scopandomi la bocca. Le sue palle sbattevano contro il mio mento, facevano un rumore osceno, e io gemevo con il cazzo in gola.
Quando mi lasciò andare, tossii, con i fili di bava che mi colavano sul petto. Ero uno straccio, ma un desiderio feroce mi divorava.
«Ancora» sussurrai. «Ti prego, ancora.»
Lui mi piegò sul letto, a quattro zampe, e mi entrò dentro senza preavviso. Gridai, un urlo animalesco, perché lo sentivo come mai prima. Il suo cazzo mi lacerava, mi riempiva tutta, fino a farmi male. E quel dolore era piacere. Ogni colpo era uno schianto dentro di me, un boato che rimbombava nella testa. Le lenzuola bagnate facevano un rumore viscido sotto le mie mani, e io affondavo le unghie nella stoffa sporca.
Il mio odore mi esplose nelle narici: il tanfo della mia figa bagnata, mescolato allo sperma che mi colava ancora, e al sudore di entrambi. Un odore animale, che mi faceva impazzire. Mi sembrava di annusare il sesso stesso, nudo e crudo, più vero di qualsiasi altra cosa.
Kai mi scopava forte, con colpi secchi, le sue palle che sbattevano contro il mio clitoride facendolo pulsare. Sentivo i miei umori schizzare fuori a ogni spinta, colare lungo le cosce, sporcare il letto. Il rumore era osceno: slap, squelch, schlick, una sinfonia sporca che mi faceva gemere senza freni.
«Guarda come ti riduco» ringhiò, afferrandomi i fianchi. «Un marito che non ti sfiora e tu qui a sgocciolare come una troia in calore.»
«Sì!» urlai, con la voce spezzata. «Sono una troia! Scopami più forte!»
Venni di nuovo, un orgasmo che mi squassò tutta, così violento che mi mancò il respiro. Sentii la figa stringergli il cazzo come una morsa, succhiarglielo dentro, mentre il mio corpo si contorceva. Urlai fino a farmi male alla gola.
Ma il Loto Rosso non lasciava tregua. Non era mai abbastanza. Anche mentre tremavo, sentivo la figa ancora pulsare, bramare, chiedere altro. E lui non si fermava. Continuava, instancabile, ogni colpo più duro del precedente.
Mi tirò su per i capelli, costringendomi ad alzare la testa, mentre continuava a scoparmi da dietro. Mi morse l’orecchio, succhiando forte, lasciandomi un livido.
«Non ti lascio finché non mi supplichi di fermarmi» sibilò.
«Non fermarti mai» ansimai.
E venni ancora. E ancora. Una serie di orgasmi che si rincorrevano, sovrapposti, senza respiro. Il mondo sparì: c’erano solo i rumori osceni delle nostre carni, l’odore aspro del sudore, il sapore metallico che mi era rimasto sulla lingua dopo la pasticca. Tutto amplificato, distorto, come se fossi intrappolata in un delirio.
Quando lui finalmente venne di nuovo, sentii lo sperma caldo schizzare dentro di me con una forza che quasi mi fece svenire. Gocciolava subito fuori, colando sulle cosce, bagnando le lenzuola già fradicie. Il rumore viscido del seme che scivolava era un suono osceno, che mi fece gemere ancora, come se stessi godendo solo a sentirlo colarmi addosso.
Caddi sul letto, esausta, il corpo che tremava convulso. Respiravo a fatica, la gola arsa, le cosce appiccicate, la figa che ancora pulsava come se chiedesse altro.
Kai si sdraiò accanto a me, il petto che si alzava e si abbassava, il sorriso di chi sapeva esattamente quello che aveva fatto.
«Benvenuta» disse piano. «Adesso non potrai più farne a meno.»
Aveva ragione. Lo sentivo già. Il Loto Rosso mi aveva marchiata. E io lo volevo ancora.
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