Il patto del silenzio capitolo 1

di
genere
dominazione

Quattro donne, un segreto inconfessabile.
Una vacanza di lavoro che si trasforma in un vortice di sfide, umiliazioni e piaceri proibiti.
Sguardi che non si dimenticano, gesti che non si possono più cancellare.

Ciò che è iniziato come un gioco diventa presto un vincolo invisibile: un patto che le lega per sempre, dove ogni silenzio vale più di mille parole.
Sotto il peso del ricatto e dell’eccitazione, tra vendetta e desiderio, impareranno che la vera prigionia non è fatta di catene… ma del piacere che non sanno più rifiutare.

“Il Patto del Silenzio” è un viaggio nel lato oscuro dell’erotismo, dove l’imbarazzo diventa eccitazione, la vergogna si trasforma in ossessione, e nessun confine rimane intatto.
La benda calava sugli occhi, lasciando solo il buio e il battito accelerato.
“Adesso tocca a te,” rise l’amica, spingendola appena in avanti. Sentì una presenza maschile di fronte a sé: un respiro caldo, il profumo leggero di pelle e legno.
La prima penitenza era semplice: sfiorargli la mano. Ma il contatto si prolungò più del previsto, le dita di lui intrecciate alle sue, come se non volesse lasciarla andare.
“Indovina chi è,” sussurrò l’amica.
Lei scosse la testa, sorridendo nervosa: “Non lo so, ma… è caldo.”

La seconda prova fu peggio. Doveva “baciare lo sconosciuto come se fosse il suo amante”. Il cuore martellava, le guance bruciavano. Avanzò a tentoni, trovò il contorno delle labbra con la punta delle dita e, senza darsi il tempo di pensare, posò un bacio rapido. Ma lui rispose con un tocco più profondo, un istante di fuoco che la fece arrossire anche sotto la benda.

Risero, ma era una risata spezzata dall’imbarazzo e dal desiderio.
“Vuoi rilanciare?” chiese l’amica, divertita.
Sentiva il suo respiro, vicino, quasi a sfiorarle le labbra.

“Adesso… bacialo come se fosse il tuo amante.”
La voce dell’amica era divertita, ma anche un po’ incrinata, come se stesse aspettando con ansia il momento.

Si mosse a tentoni, trovò con la punta delle dita la mascella dello sconosciuto, ruvida di barba appena accennata. Si lasciò guidare da quel contorno, finché le labbra incontrarono le sue. Un bacio esitante, poi più profondo, come se lui avesse deciso che il gioco non era più soltanto uno scherzo.
La risata imbarazzata le morì in gola.
Il calore delle sue mani la raggiunse: prima le braccia, poi le spalle, e piano scivolò verso il fianco. Non la stringeva forte, solo abbastanza da farle capire che poteva toccarla, che poteva andare oltre se voleva.

“Via un capo di vestiti,” ordinò l’amica.
Le dita tremanti corsero al bottone della camicetta. Un click, poi un altro. L’aria fresca le sfiorò la pelle scoperta, e subito dopo una mano maschile. Non invadente, solo un tocco lento, quasi rispettoso, che percorse la curva della clavicola, indugiando abbastanza a lungo da incendiare l’immaginazione.
Non poteva vederlo, ma lo sentiva sorridere.
E in quel buio bendato, ogni carezza diventava più viva, più proibita, più reale di quanto avrebbe mai osato immaginare.
La benda restava ben stretta sugli occhi, e proprio quel buio rendeva tutto più pericoloso.
Non sapeva chi fosse davvero quell’uomo, ma sapeva che stava respirando accanto a lei, così vicino che ogni movimento faceva vibrare l’aria.
“Adesso lascia che lui ti tocchi…” la voce dell’amica aveva perso la leggerezza del gioco, suonava più bassa, quasi emozionata.

Le mani maschili tornarono su di lei, questa volta senza esitazioni. Dapprima sulle braccia, poi lungo la schiena nuda, dove la camicetta ormai aperta non faceva più da barriera. Il contatto era lento, attento, come se assaporasse il diritto di esplorare.
“Non dire nulla… resisti un minuto intero,” aggiunse l’amica.

Un minuto.
Sessanta secondi che sembrarono eterni.
Le dita di lui scivolavano sulla sua pelle con una calma che la faceva impazzire: il fianco, la curva della vita, il respiro che si alzava e si abbassava sempre più veloce.
Un brivido la attraversò tutta, e l’istinto le diceva che ormai non si trattava più di una penitenza.
Era un passo oltre, un passo che nessuna delle due amiche aveva previsto quando avevano iniziato a ridere di quelle sfide.

E in quell’istante sospeso, tra il silenzio, il buio e la pelle che bruciava, seppe che il prossimo respiro avrebbe cambiato tutto.
La benda scivolò via.
Il cuore le batteva così forte che quasi copriva le risate dell’amica.
Ci mise un istante a mettere a fuoco, ma quando vide chi aveva davanti, il respiro le si bloccò in gola.

Non era uno sconosciuto qualunque.
Era lui.
Il cliente del fast food che passava quasi ogni sera, sempre lo stesso ordine, sempre lo stesso sguardo insistente. Quello che lei non sopportava proprio perché la fissava troppo a lungo, con quell’aria che la faceva sentire a disagio dietro al bancone.
E adesso lo stesso uomo, quello che avrebbe voluto evitare a tutti i costi, le sorrideva soddisfatto: non più l’avventore fastidioso, ma il protagonista delle sue penitenze bendate, di quel bacio troppo lungo, delle carezze che non avrebbe mai permesso se avesse saputo chi fosse.

Alle sue spalle, l’amica rideva a crepapelle, con il telefonino acceso tra le mani. “Oddio, ho ripreso tutto! Devi vedere la tua faccia!”

Lei sentì il calore salirle alle guance: vergogna, rabbia, eccitazione. Un vortice che non riusciva a distinguere.
Lui, invece, non distoglieva lo sguardo. La fissava esattamente come faceva al fast food, ma stavolta lei non poteva fingere di non notarlo.
E il pensiero che tutto fosse stato filmato, che esistesse una prova di quel gioco proibito con l’uomo che più detestava vedere tra i clienti, la fece tremare ancora più delle sue mani.
“Oddio, ma non ti rendi conto?” rise l’amica agitando il telefonino. Sullo schermo lampeggiava l’anteprima della registrazione: il bacio, le mani, il respiro spezzato.
“Se solo qualcuno vedesse questo…” aggiunse con un sorriso malizioso.

Lei sbiancò. “Non osare.”
Ma l’amica inclinò la testa, divertita: “Allora fammi un favore. Ribacialo. Stavolta senza benda. Guardalo dritto negli occhi, così so che non stai fingendo.”

Il cuore le schizzò in gola. Lo sguardo del cliente era già su di lei: fisso, insistente, esattamente come quando lo serviva al fast food, ma moltiplicato cento volte adesso che non c’era più il bancone a proteggerla.

“Se non lo fai, il video vola…” sussurrò l’amica, alzando il cellulare come un trofeo.
Un brivido le percorse la schiena.
Non c’era via d’uscita: tra la vergogna di un video che poteva finire ovunque e l’imbarazzo di un nuovo contatto con quell’uomo che non aveva mai sopportato, scelse la seconda opzione.

Avanzò piano, ogni passo un colpo al cuore.
Lo fissò negli occhi: scuri, avidi, fermi. Non poteva più fingere di non notarli.
E quando le loro bocche si incontrarono di nuovo, senza più il velo della benda, fu diverso: non c’era più la scusa del gioco, ma la consapevolezza chiara, netta, che stava cedendo davanti a entrambi — all’uomo che la fissava da sempre e all’amica che adesso teneva le redini del gioco.
Il bacio si spezzò lentamente, ma lui non si staccò da lei. Rimase vicino, troppo vicino, i suoi occhi fissi nei suoi come se volesse scavare dentro.

“Così va bene…” mormorò l’amica, ridendo piano. Il bagliore dello schermo del telefono illuminava i loro volti. “Adesso continua, non fermarti… altrimenti questo video vola.”
La protagonista sentì il cuore impazzire. Non era più un gioco, era un vicolo cieco.
Ogni fibra del suo corpo gridava di ribellarsi, eppure c’era qualcosa — la pressione dello sguardo di lui, la risata complice dell’amica, l’ombra minacciosa della registrazione — che la teneva ferma, sospesa.

Le mani di lui scivolarono ancora lungo i suoi fianchi, stringendola con più decisione. Non poteva fingere di non sentirlo. Non poteva fingere di non reagire: il corpo tradiva ogni pensiero, tremava, arrossiva, respirava troppo forte.

E più lui osava, più cresceva il conflitto dentro di lei:

il disgusto per quell’uomo che aveva sempre detestato,
la rabbia verso l’amica che trasformava il loro legame in un’arma,
e, nascosta sotto la cenere, una scintilla che la faceva bruciare di vergogna perché non riusciva a spegnerla.
Lo guardò negli occhi, obbedendo ancora all’ordine.
Quello sguardo insistente che al fast food l’aveva sempre infastidita ora era diventato un’ancora, una catena. Non riusciva a staccarsi.
Si sentì catturata, inchiodata a quel momento: un misto di prigionia e vertigine, come se il filo sottile tra umiliazione ed eccitazione si fosse spezzato e non potesse più tornare indietro.

E l’amica, dietro la videocamera, sapeva perfettamente cosa stava succedendo dentro di lei.
“Non male…” commentò l’amica, zoomando con il telefono. “Ma non basta. Se vuoi che questo resti tra noi, ci vuole qualcosa di più.”

Il cuore della protagonista saltò un battito. “Cosa intendi?”
“Penitenza nuova,” rispose lei, sorridendo come se stesse ancora giocando. “Adesso lascialo toccarti… e tu non ti devi muovere. Resta ferma, guardalo negli occhi mentre lo fa.”
Il respiro le si bloccò.
L’uomo non si fece ripetere l’invito: la strinse più forte, le mani che risalivano lentamente lungo i fianchi, poi più in alto, i seni presi con forza ,con una sicurezza che la fece rabbrividire.
Avrebbe voluto scostarsi, ribellarsi, ma lo sguardo dell’amica dietro lo schermo era un cappio invisibile. Ogni suo gesto era filmato, ogni esitazione registrata.
Se avesse rifiutato, il video sarebbe potuto finire ovunque.
Se avesse ceduto, sarebbe rimasto comunque nelle mani sbagliate.

Il cliente la fissava negli occhi, compiaciuto, mentre le sue mani esploravano centimetro dopo centimetro. Non era più il tipo fastidioso che fissava al fast food: adesso aveva il potere, e lei lo sentiva addosso come una catena.
Il volto le ardeva, le gambe tremavano, eppure restava immobile, obbediente al ricatto, schiacciata tra due realtà insostenibili: la vergogna di ciò che stava accadendo e il brivido proibito di non poter più fermarlo.

L’amica rise piano. “Perfetto. Così ti voglio. Continua a guardarlo… e lascia che sia lui a decidere fin dove arrivare.”
“Bene, bene…” la voce dell’amica si fece più bassa, quasi ipnotica. Il telefonino restava puntato su di loro, come un occhio che non concedeva vie di fuga
Immobile, intrappolata tra la videocamera e quegli occhi maschili che la divoravano, capì che la linea era stata superata: non era più una penitenza, era un segreto incancellabile.
“Non male…” mormorò l’amica, stringendo ancora più forte il telefono tra le mani. L’obiettivo brillava, catturando ogni dettaglio.
“Ma per il gran finale voglio che tu faccia qualcosa di davvero indimenticabile.”

La protagonista la guardò con occhi spalancati, rossi di vergogna. “Ti prego, basta…”
L’amica scosse la testa, sorridendo: “No, adesso viene il bello. La penitenza finale è questa: voglio che ti lasci andare del tutto, senza più nasconderti. Voglio che tu lo faccia come se nessuno stesse guardando… tranne me.”
Il cliente trattenne a stento un ghigno, già pronto a muoversi.
Lei restò immobile, con il cuore che batteva all’impazzata. L’idea era insostenibile: non solo cedere a quell’uomo che aveva sempre detestato, ma farlo sotto lo sguardo vigile dell’amica e del telefono che registrava tutto.

“Non posso…” sussurrò, tremando.
“Puoi,” ribatté l’amica. Il suo tono era dolce e crudele insieme. “E lo farai. Altrimenti questo video vola. E fidati… non vuoi che voli.”

Le mani dell’uomo tornarono a stringerla, più sicure, più spinte.
Ogni carezza era un passo oltre, ogni secondo un punto di non ritorno.
Lei si ritrovò schiacciata tra due forze: la pressione dell’amica, che non abbassava il telefono nemmeno per un attimo, e lo sguardo scuro del cliente, che non aveva mai smesso di fissarla con quell’insistenza che la faceva arrossire anche dietro al bancone del fast food.

Ora però non c’era più nessun bancone, nessuna barriera.
E la penitenza finale era chiara: cedere completamente, lasciarsi spogliare non solo dei vestiti, ma di ogni ultima difesa, sapendo che ogni attimo sarebbe rimasto inciso in quel maledetto video.
Il respiro di tutti e tre era pesante, come se l’aria fosse diventata densa.
Lei si scostò appena, ancora scossa, incapace di credere a ciò che aveva fatto. Le guance in fiamme, gli occhi lucidi, le mani che tremavano.
Il cliente trattenne a stento un ghigno, già pronto a muoversi.
Lei restò immobile, con il cuore che batteva all’impazzata. L’idea era insostenibile: non solo cedere a quell’uomo che aveva sempre detestato, ma farlo sotto lo sguardo vigile dell’amica e del telefono che registrava tutto.

“Non posso…” sussurrò, tremando.
“Puoi,” ribatté l’amica. Il suo tono era dolce e crudele insieme. “E lo farai. Altrimenti questo video vola. E fidati… non vuoi che voli.”

Le mani dell’uomo tornarono a stringerla, più sicure, più spinte.
Ogni carezza era un passo oltre, ogni secondo un punto di non ritorno.
Lei si ritrovò schiacciata tra due forze: la pressione dell’amica, che non abbassava il telefono nemmeno per un attimo, e lo sguardo scuro del cliente, che non aveva mai smesso di fissarla con quell’insistenza che la faceva arrossire anche dietro al bancone del fast food.

Ora però non c’era più nessun bancone, nessuna barriera.
E la penitenza finale era chiara: cedere completamente, lasciarsi spogliare non solo dei vestiti, ma di ogni ultima difesa, sapendo che ogni attimo sarebbe rimasto inciso in quel maledetto video.
Il respiro di tutti e tre era pesante, come se l’aria fosse diventata densa.
Lei si scostò appena, ancora scossa, incapace di credere a ciò che aveva fatto. Le guance in fiamme, gli occhi lucidi, le mani che tremavano.
Il cliente rise appena, un suono basso, compiaciuto. “Allora… ci vediamo al prossimo turno, no?”
La frase, detta con naturalezza, le fece gelare il sangue.
Al fast food, alla luce del neon, lui si sarebbe presentato come sempre, con lo stesso ordine di sempre… ma nulla sarebbe mai stato come prima.

E l’amica, seduta accanto a lei, avrebbe avuto il telefono in tasca.
Un segreto proibito, inciso per sempre.

Scrivetemi delodo@outlook.com

scritto il
2025-09-10
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