Il patto del silenzio capitolo 2

di
genere
dominazione

La sabbia era bollente sotto i piedi, gli ombrelloni tutti occupati, famiglie, coppie, ragazzi che giocavano a pallavolo. Una confusione di voci, musica dalle casse portatili e bambini che correvano verso il mare.
Un normale pomeriggio d’estate.

Solo che per lei non era affatto normale.

L’amica aveva insistito per andare proprio lì, in quella spiaggia affollata. E quando, tra la calca, era spuntato anche lui, il cliente dagli occhi troppo insistenti, aveva capito che nulla era casuale.

“Penitenza,” disse l’amica con tono leggero, come se fosse ancora un gioco innocente. Il telefonino era già in mano, la videocamera pronta.
“Via il pezzo sopra del costume. Subito. E resti così, tra tutta questa gente. Voglio che ti lasci guardare, da lui e da chiunque altro ti noti.”

“Qui? Davvero? Ci sono centinaia di persone!” sussurrò, con la voce rotta.
“Appunto,” ribatté l’amica, sorridendo. “È questo che la rende eccitante. E ricorda… se non lo fai, il video vola.”

Il cliente non disse nulla. Se ne stava lì, sdraiato a pochi passi, gli occhi fissi su di lei. Non si guardava nemmeno attorno: la fissava e basta, come se tutto il resto della spiaggia fosse sparito.

Le mani le tremavano mentre si toccava le spalline del costume. Il rumore del mare e delle risate intorno sembrava lontano, ovattato.
Un nodo tirato, un respiro trattenuto… e il tessuto cadde.

L’aria calda e gli sguardi immediati la investirono come un’onda. Alcuni notarono subito, altri no, ma lei si sentiva comunque nuda davanti a tutti.
L’amica rise piano, inquadrandola da vicino. “Perfetta. Non ti coprire. Stai così.”

Il cliente non distoglieva lo sguardo. Non lo aveva mai fatto, nemmeno al fast food. Solo che ora non c’erano divise né banconi a proteggerla: c’era la sua pelle, il suo imbarazzo e quella folla intorno che poteva voltarsi in ogni momento.

Lei chiuse gli occhi un attimo, cercando di respirare.
Ma sapeva che non poteva nascondersi: non dal telefono dell’amica, non dagli occhi del cliente, e non da quella marea di sconosciuti che, da un momento all’altro, avrebbero potuto accorgersi di lei.
“Così è già bellissimo,” disse l’amica dietro la videocamera, inquadrandola da ogni angolazione. “Ma manca l’ultima penitenza.”

Lei la guardò terrorizzata, le braccia strette istintivamente sul petto.
“Abbassale,” ordinò l’altra con un sorriso crudele. “Ti ho detto che non devi coprirti. E adesso… alzati. Vai in giro per la spiaggia, mano nella mano con lui. Così tutti ti vedranno.”

Il cuore le si fermò. “Non puoi chiedermi questo!”
“Non te lo chiedo,” ribatté l’amica, mostrando lo schermo del telefono. L’icona della registrazione lampeggiava. “Te lo ordino. O preferisci che il video giri?”

Il cliente si alzò lentamente, senza dire una parola. Le tese la mano, lo stesso sguardo fisso e insistente che al fast food la faceva impazzire, ma ora più sicuro, più padrone della scena.

Lei rimase immobile un istante, ma sapeva che non aveva scelta. Tremando, lasciò che le dita si intrecciassero con le sue.
E così, nuda davanti al sole, senza più il costume a coprirla, fu costretta a camminare.

Ogni passo sulla sabbia era un colpo al cuore.
Sentiva gli occhi addosso: sguardi curiosi, distratti, qualcuno che rideva sottovoce, altri che fingevano di non notare. Ogni volto era un giudizio, ogni risata un’eco che la faceva arrossire di più.

Lui la stringeva forte, guidandola tra gli ombrelloni come se fosse la sua conquista, mentre lei fissava il vuoto per non incrociare nessuno.
Dietro, l’amica li seguiva col telefono, commentando a bassa voce: “Bravissima… guarda come ti guardano tutti. Sei splendida. E adesso nessuno potrà dimenticarti.”

La pelle le bruciava, non solo per il sole.
Era la consapevolezza che quella passerella forzata non l’avrebbe mai dimenticata, e che ogni sguardo rubato della folla si sarebbe inciso per sempre nella sua memoria, insieme al potere del cliente che la stringeva e del video che continuava a registrare ogni suo gesto.
Ogni passo sulla sabbia era un colpo di tamburo nel petto.
Si teneva dritta, mano nella mano con il cliente, senza poter coprirsi. La spiaggia intera era una gabbia di occhi: risate, mormorii, qualche fischio che le faceva vibrare le orecchie.

“Fermatevi lì.”
La voce dell’amica li raggiunse alle spalle, più ferma che mai. Con il cellulare puntato, li inseguiva come una regista.
“In mezzo al passaggio. Davanti a tutti.”

Il cliente obbedì subito, bloccandola accanto a sé, nel punto più affollato tra gli ombrelloni. Una coppia li osservò incuriosita, un gruppo di ragazzi si fermò a metà partita di pallavolo. Lei abbassò lo sguardo, le guance roventi, ma non poteva più sfuggire.

“Adesso penitenza nuova,” annunciò l’amica, con un sorriso che sapeva di vittoria. “Alza le braccia sopra la testa. Così, senza difese. Devi lasciarti guardare, tutta.”

Il cuore le crollò nello stomaco. “Ti prego…” sussurrò, ma la risposta fu solo il bagliore minaccioso del telefono.

Con un gesto lento, disperato, sollevò le braccia.
La pelle nuda si tese sotto il sole, e la sensazione di essere completamente esposta la travolse. Sentì gli sguardi moltiplicarsi: curiosi, divertiti, maliziosi.
Qualcuno rise, qualcun altro fischiò, e il sangue le pulsò alle tempie.

Il cliente la teneva per mano con forza, quasi orgoglioso di esibirla, come se fosse sua.
L’amica la riprendeva, ridendo piano: “Bravissima… guarda come ti osservano tutti. Ogni sguardo è un applauso.”

E in quel momento lei capì che non stava più subendo solo una penitenza privata, ma un rito pubblico, sotto gli occhi di una folla inconsapevole e di due complici che la tenevano intrappolata.
Le risate e i mormorii della spiaggia rimasero alle spalle, ma non il battito del cuore.
Guidata dalla mano del cliente e incalzata dallo sguardo vigile dell’amica col telefonino, fu spinta verso il chiostro della spiaggia: un angolo d’ombra tra cabine, docce e il piccolo bar dove la gente passava a prendere granite e bibite fredde.

Il contrasto era feroce: dalla folla rumorosa al semi-isolamento, ma non davvero nascosto. Bastava che qualcuno passasse troppo vicino per vedere tutto….
Continua



Racconto puramente di fantasia
Scrivetemi a delodo@outolook.com
scritto il
2025-09-11
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