Non chiamatelo amore

di
genere
confessioni

(È in questa categoria perché dentro c'è di tutto, a voi decidere cosa pensarne e farne. Buona lettura e grazie a tutti.)

Un’immagine, di ritorno alla realtà.
È ancora notte (o è già notte) e, pochi minuti prima, con fatica avevo aperto gli occhi, senza nemmeno ricordare di essermi addormentata.

Un fotogramma, stampato sulla retina a coprire il soffitto.
La luce dell’abat jour sul mio comodino, la pioggia sui vetri, i rumori indistinti che venivano dalla strada, i silenzi della casa, i corpi sempre più vicini.
Solo che non ricordavo di aver chiuso gli occhi o di aver sognato.

Lentamente mi metto a sedere e mi allungo a prendere il telefono: due messaggi che non voglio leggere e le 4:15 come ora per non addormentarsi più.
Mi alzo.
Pochi passi leggeri, con la mano prendo l’ampia maglietta di Snoopy per coprirmi il corpo, prima di voltarmi, appoggiandomi allo stipite della porta.

La luce filtrata dalle tende; le lenzuola disfatte, più a terra che sul letto; un corpo nudo nel letto che guardo da lontano; un tatuaggio nero che in spirali sempre più larghe corre lungo la schiena fino al collo, perdendosi fra lunghi capelli biondi.
Mi perdo in quelle spirali.
L’occhio segue l’inchiostro.
L’inchiostro segue le onde di muscoli, tendini e pelle.
Il corpo segue il respiro, dolcemente e silenziosamente.

Una nuova immagine, un nuovo fotogramma.
E ora un profumo.
Il suo, che inspiro profondamente dal tessuto.
Sorrido pensando a quanto successo ieri sera. Un sorriso che mi fa pensare a quanto la dolcezza e l’orrore possano entrambi arrivare inaspettati.
Poche settimane fa non l’avrei mai detto.
Poche settimane fa c’era ancora un “lui” a cui pensavo e a cui davo importanza.
“Poi…”
Sbatto le palpebre per staccarmi da certe immagini che tagliano il sorriso a mezz'aria.

Ho bisogno di bere.
Apro il frigo in cerca dell’acqua.
Un bicchiere mi disseta, il secondo lo lascio a metà mentre l’occhio cade sul foglietto sul tavolo e su quell’accendino che non riesco ad usare.
“Già l’hai tolto dalla porta del frigo…hai già fatto un passo avanti…”
Poso il bicchiere e vado alla finestra.
“Piove ancora…”
Gli alberi del giardino dall’altro lato della strada si muovono sinuosi al ritmo di improvvise raffiche e di altrettanti improvvisi momenti di calma. Due lampioni illuminano di tenue giallo il prato intorno e le panchine vicine.
Ho un flash dell’ultimo incontro con lui. Chiudo gli occhi, scuotendo la testa. D’istinto mi stringo il polso.
I segni non sono ancora andati via.
Li sento sotto le dita. Li sento dentro. Li sento nella testa. Piccole scariche di nervi a fior di pelle.
(- Non me ne frega un cazzo se ti fa male.)
“Vattene dalla mia testa.”
Voglio scacciare la sua voce da dentro me.
(- Non puoi. Non puoi. Sei mia, puttana. Ancora non l’hai capito?)

*

Le sue mani mi stringono le braccia. Le dita fanno bianca la mia pelle per quanto forte è la sua presa.
- Allora? Hai capito che non devi rompermi i coglioni?
Annuisco con forza. Spaventata.
- Mi fai male, lasciami. Io…io vado.- mi viene da piangere - Sono stata una stupida - sussurro.
Ride.
- Mi sa di si. Ma non avevo dubbi che alla passeggiata romantica notturna per riappacificarsi non avresti detto di no.- faccio per alzarmi, mi blocca - Però non te ne vai da nessuna parte.
Con violenza, stizzito, mi libera le braccia, ma mi tiene seduta con la mano su una gamba.
Ha ragione. Mi ero illusa che questi giorni ci avrebbero avvicinato di nuovo. E che quello appena successo in auto fosse sia la passione del momento, sia un inizio, un piccolo ritorno dei sentimenti che tanto ci avevano legati negli anni passati.
Inizio a massaggiarmi i polsi, quando sento dei passi dietro di noi. Mi giro, seguendo il suo sguardo.
Sono in tre. Riconosco due suoi colleghi.
- Che…che succede Claudio?
Si gira verso di me, con un lampo negli occhi.
- Succede che i miei amici volevano ringraziarti dello spettacolo che gli hai offerto prima.
Sbarro gli occhi.
- Vedi, Sara…a me, di tornare con te, non me ne frega un cazzo. Però volevo ricordarmi quanto fossi diventata brava in questi anni. E non solo a scrivere cazzate su quel sito. Con loro ne abbiamo parlato così tanto che…beh, che alla fine prima, nel parcheggio, lo hai dimostrato.- e poi, rivolto ai quattro ormai alle mie spalle - Disinibita l'ex mogliettina, vero?
Tutti e quattro ridono di me e della loro complicità.
Io sono di ghiaccio.
Li sento alle spalle.
Sento anche il respiro di uno di loro che si abbassa ad annusarmi i capelli. Mi allontano di scatto, ma Claudio mi tiene ferma.
Ho paura.
Piango.
Tremo.
Mentre sento le mani che si muovono sulla schiena e sulle spalle. E poi davanti. E poi sento i loro respiri sempre più vicini. Mentre con la coda dell’occhio vedo Claudio che si sogghigna soddisfatto.
Si muovono intorno a me.
Tutti a toccarsi vistosamente attraverso la stoffa dei pantaloni.
Io non riesco ad alzare lo sguardo e sparisco con la testa e i pensieri, prima di trovare il coraggio di alzarmi e correre via.
Dietro di me solo risate e battute stronze, prima che dei passi comincino ad avvicinarsi velocemente.
Claudio mi blocca.
Sento il suo alito sul volto.
Vedo i suoi occhi dilatati da eccitazione e rabbia.
- Dove cazzo pensi di andare? Ora torniamo in auto e andiamo a fare un giro…tutti quanti.

La macchina corre veloce.
Claudio ha preso l'autostrada, seguito dall'auto degli altri tre, e ora vedo i lampioni a bordo strada che passano.
Sono fissa con lo sguardo al ritmo della luce e del buio.
Un’ipnotica sensazione di vuoto nella testa, sperando che tutto finisca in fretta.
Sono sul sedile del passeggero e le sue mani non hanno perso tempo nel toccarmi, nel prendere ciò che pensa sia suo, nel continuare ad umiliarmi con le sue parole.
Ero uscita da casa pensando ad un appuntamento riappacificatore.
Ho sorriso guardandomi allo specchio. Il trucco appena accennato, i capelli castani freschi di messa in piega, la delicata camicetta azzurra che dava risalto al seno abbinata alla leggera gonna che arrivava sotto il ginocchio: da quanto tempo non mi ammiravo così, soddisfatta, contenta, speranzosa.
La verità è che ero semplicemente stata una stupida che aveva voluto credere alla favola del marito che torna sui suoi passi.
La verità è che in auto, dopo la cena al ristorante, avevo ceduto alle prime lusinghe e alle prime carezze, per poi cadere nelle sue braccia, riscoprire il suo corpo, la sua eccitazione, le sue parole sussurrate e piene di desiderio: per il breve tempo di qualche ora ho rivissuto il bello di stare con l’uomo che mi aveva fatto innamorare e scoprire quanto i tabù siano solo ostacoli.
“Povera scema, Sara. Non cambierai mai.”
Chiudo gli occhi, mentre le sue dita entrano in me insistendo nel masturbarmi velocemente.
- Lo sapevo che alla fine non avresti fatto troppe storie…amore…
- Non chiamarmi così…- rispondo, ma mi toglie il fiato penetrandomi violentemente con le dita.
- Preferisci puttana? Io ti chiamo come voglio. Tanto per quello che vale…e che vali…

*

- Vaffanculo Claudio…vaffanculo…
Lo sguardo è fisso su quella panchina illuminata nella pioggia. Non riesco a trattenere le lacrime e l’insulto esce in un sussurro non trattenuto.
Non avevo fatto storie durante quel viaggio.
Non avevo fatto storie mentre entravamo in un hotel lungo la statale vicino il casello.
Non avevo fatto storie mentre mi prendeva nuovamente nella stanza, davanti ai suoi amici.
Non avevo fatto storie quando, chiusa nel mio guscio una volta lasciata sola, avevo preso sonno nel cuore della notte o quando sotto la doccia pensavo solo alle parole giuste per farla finita.

“Non chiamatelo amore. Non chiamatemi amore. Mai più. Non vorrò più avere nulla a che fare con altri sentimenti. Insieme alle passioni sono solo stupide sfide alla normalità e alla vita. E io, di vita, non voglio più sentir parlare.”

Stordita e in lacrime, la rassegnazione e la delusione avevano vinto, ma le ferite nascoste sarebbero tornate dopo poco e non avrei voluto altro che farle uscire, come ogni traccia di lui dal mio corpo e dai miei pensieri.
Ancora mi massaggio i polsi.
I segni fuori che forse passeranno, quelli dentro che ancora restano.
Speravo che con il passare del tempo la rabbia sarebbe svanita, ma è ormai forza latente. Non va via. E forse non voglio mandarla via nemmeno io stessa.
Appoggio la fronte al vetro freddo e mi stringo forte le braccia intorno al corpo. Sospiro e provo a riprendere il controllo del respiro, anche se non smetto di piangere in silenzio.
- Esatto. Vaffanculo Claudio.
Il respiro mi si ferma all’improvviso, prima per lo spavento, poi per la sorpresa.
Mi giro.
Ero talmente presa dal ricordo che non mi ero accorta di Anna e che si fosse alzata.
Ora la vedo nella penombra, non si era vestita e il profilo del suo corpo nudo risaltava nel vano della porta, in controluce rispetto alla debole luce che veniva dalla camera da letto.
- Non volevo spaventarti, Sara.
Abbozzo un sorriso, asciugandomi le lacrime con il dorso della mano.
- Anna, scusami, ti ho svegliata.
Sussurra qualcosa che non capisco e vedo il diniego che fa con la testa.
Fa un paio di passi verso il centro della stanza e si appoggia al tavolo, quasi sedendosi, sul bordo.
Mi fa cenno di avvicinarmi. Vedo nuovamente le sue labbra muoversi, ma fatico a comprendere le sue parole. Vado verso di lei, sfregandomi il viso per mandare via gli ultimi momenti di tristezza e gli ultimi brutti ricordi.
- Anna, non…non ho sentito cosa hai detto…
Devo sembrare una bambina che non ha ricevuto il regalo sperato, in una t-shirt più grande di lei con gli occhi ancora rossi e gonfi di pianto e le mani che giocano fra loro nervosamente.
- Eccomi. Dimmi.
- Non fare la bambina. Il regalo giusto è arrivato. Baciami e poi lo facciamo insieme.
Dolcemente ci baciamo.
Sento le sue labbra sorridenti che cercano le mie tremanti, sento la sua lingua curiosa che sfugge alla mia e che scherza con il bordo della mia bocca.
- Il mio dolce angelo biondo…
- Si Sara, il tuo dolce…angelo…biondo…che ora ti darà piacere e amore…e ti aiuterà a fare quello che sai…

Un’immagine, oltre la realtà.
Le prime luci dell'alba danno nuove ombre alla stanza, riflessi di una notte che ha consolato e travolto allo stesso modo.

Un fotogramma, nella mia mente.
Fuori da me, ci vedo baciarci, sfiorarci, amarci.
Io seduta, sul tavolo. Anna fra le mie gambe prima per baciarmi avvolta dalle mie braccia e poi, sempre più giù, per amarmi.

Un profumo, che porta alla memoria momenti di passione e amore.
Il tuo piacere. Il mio.

Un gesto, la tua guida, la mia vita.
Mi baci i polsi, mettendomi in mano l’accendino.
Mi passi quel foglietto che tanto ho fissato in queste settimane. E mi baci il seno,
scendendo poi con la lingua fra le mie cosce.
- Fallo…- sussurri ripetutamente mentre regali piacere al mio sesso nuovamente aperto per te.

Leggo quelle righe.
Sospiro sempre più forte.
Ansimo il tuo nome.
- Fallo…
La fiamma fissa nei miei occhi.
La paura, il desiderio, la speranza.
Tremante. Per i tuoi baci. E per quello che sto facendo.
La carta si contorce. Cenere di parole e di odio.
La lascio cadere nel posacenere, mentre mi aggrappo ai tuoi capelli per non farti andare via.

Un ultimo sguardo. Rimane un'ultima mezza frase.
“Non chiamatelo…”
Un ultimo sussurro, prima di esplodere, non capire più nulla ed essere tua.
- Amore…


(Dedicato a Sara. E a tutte le Sara che soffrono, resistono e a volte crollano.)
di
scritto il
2025-08-22
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