Ritrovarsi

di
genere
saffico


Il mio occhio.
Una prima immagine.
Un dettaglio.
Mi arriva come un flash.
Il mio occhio.
Verde.
Chi dice marrone sbaglia e vede solo il contorno della pupilla.
Ma è verde, con striature marroni intorno alla pupilla.
Ora è fisso su un numero: 108.
Stanza 108.
E io sono ferma. Davanti la porta. In una mano ho la chiave elettronica, mentre l’altra è a mezz’aria.
“Entro? Ora o mai più. Scegli Giulia. Ora o mai più.”
Mi sembra di pensare ad alta voce, ma nel corridoio è silenzio. Solo qualche rumore soffuso, lontano, indistinto.
Mi guardo intorno, mentre la mano cerca la maniglia per aprire la porta della camera. Non trovandola, mi rigiro stupita: di fronte a me, un muro.
Un’orribile carta da parati con foglie di banano verdi su sfondo giallo fluo.
Un passo indietro e trovo intorno a me una stanza. Senza porte. Senza finestre.
Un vecchio grammofono in un angolo da cui proviene il gracchiare di un vecchio disco.
Il fumo di una sigaretta che muore in un posacenere lì vicino.
Chet Baker.
La tromba, il piano, un jazz antico: “Everything happens to me”
Un passo verso quell’angolo e da davanti arriva una forte luce bianca. Un proiettore apparso da chissà dove.
Coprendomi gli occhi, mi volto.
La mia ombra si allunga sulla parete, ad aggiungersi alle immagini che scorrono veloci: foto strappate, volti e sorrisi separati, lettere scritte a mano che volano. E poi il correre in auto con i capelli al vento.
Chet Baker continua nel suo canto lucido, su un dolce piano che chiude la sua armonia.
D’altri tempi.
D’altri luoghi.
“Everything happens to me”
Immobile, osservo.
Corpi nudi.
Baci e desideri.
Sessi eretti e turgidi.
Probabilmente non respiro, mentre sento il mio corpo nudo.
Sessi aperti e umidi.
Osservo, cullata dalla musica e dai volti proiettati che mi fissano e ridono.
Da altri tempi.
Da altri luoghi.
Mani intorno a me.
Altre immagini ipnotiche: una bambina, che diventa ragazza, che diventa donna. Che diventa me.
“Everything happens to me”
Mani su di me.
“Everything happens to me”
Lo sfumare della canzone.
Mani che mi stringono.
Una voce metallica.
- Giulia…

Nero.

Silenzio.

E poi la luce.

Il mio occhio.
Stretto a fessura per proteggermi dalla stanza illuminata d’improvviso.
Un leggero battito di palpebre, mentre mi sveglio con mia madre che mi scuote delicatamente.
- Giulia…tutto bene? Stavi tremando tutta, mi sono preoccupata.
Impiego qualche secondo per ricollegarmi con la realtà. La luce debole proveniente dalla finestra mi conferma che il maltempo non è ancora passato, ma non sento più piovere. La tv è spenta. Mamma si è cambiata dopo pranzo e ora ha anche già in mano il cappotto. Devo essermi appisolata sul divano.
Mentre mi tiro su, mia madre si siede al mio fianco accarezzandomi il braccio.
- Nonostante tutto, non doveva essere un brutto sogno: sorridevi.
- Non lo so, non ricordo molto. Solo che c’era una musica di quelle che ascoltava tanto papà. Il vostro amato Chet Baker,ma il resto è molto confuso. Solo qualche immagine, nulla di più.- le sorrido e le faccio una carezza sul viso - Tutto bene? Stai uscendo?
- Si, vado da Maria, oggi è il suo compleanno. La raggiungo a casa e poi andiamo al cinema.
- Wow! Tutta vita eh?- ridiamo - Fai attenzione in macchina.
Ci diamo un piccolo bacio sulla guancia, prima che si alzi mentre io mi stiracchio.
- Ah, mentre dormivi il postino ti ha portato un pacco. Avevi ordinato qualcosa on line? Non è grande, sembra un libro…
Sono dubbiosa.
- Direi di no…
- Vabbè, comunque te l’ho lasciato sul tavolo in cucina…ora esco prima che esploda!
È bello vederla ridere di nuovo. Se lo merita. Penso che non dovrò restare ancora tanto a farle compagnia e che finalmente potrei anche tornare a casa mia.
La guardo finire di vestirsi e uscire e poi mi alzo per andare in cucina.
Una busta gialla mi attende.
La prendo in mano: non è pesante, spessa pochi millimetri ed è leggermente gonfia in un angolo.
“No, direi che sicuramente non è qualcosa ordinato on-line.”
La giro.
Si ferma il tempo, il respiro e le tempie iniziano a pulsare.
Il ghirigoro con cui è scritta la G del mio nome mi porta a memorie lontane, a tempi passati, a canzoni mai più ascoltate e sorrisi mai più condivisi. Una scrittura familiare fa breccia nei miei ricordi.
Devo sedermi perché sono passati anni e vite dall’ultima volta, mentre sussurro un nome.
- Emma…

Sento il mio respiro, il ticchettio della pendola nella stanza vicino, i signori del piano di sotto litigare in una qualche sconosciuta lingua balcanica. Mentre chiudo gli occhi e lentamente strappo il bordo della busta e ne rovescio il contenuto sul tavolo.
Un respiro più profondo e riapro gli occhi, guardando quanto arrivato.
Una moleskine nera.
Una foto.
Un anello di legno.
Gioco con l’anello fra le dita e poi apro l’agendina.
“Alla piccola Giulia…” è la dedica sulla prima pagina. Mi strappa un sorriso.
Giro la pagina. La sua scrittura rotonda e chiara riempie le righe. È rimasto quell’ordine da cui sempre, da piccole, mi dicevano di prendere esempio e a cui io non sono mai arrivata, cedendo un poco alla volta alla facilità dello stampatello.
Con la mano sfioro quelle righe, non ha lasciato solchi, ha scritto leggera, con una biro nero.
“Ciao Giulia.
Stavo per aggiungere “mia” ma davvero avrebbe senso? Dopo tutto questo tempo e questo silenzio? Non lo so. Non lo so davvero.
Ma so anche che mi importa poco.
Ormai hanno davvero poco valore quello che sono apparenza e realtà e quindi vado oltre e riscrivo.

Ciao Giulia mia.
Ti scrivo a questo indirizzo, l’unico che ricordavo, sperando di trovare qualcuno che ti conoscesse (siamo pur sempre state vicine di casa per quasi vent'anni!) e sperando che tu riceva tutto il prima possibile.
Ho un buio intorno e dentro che non puoi capire. Mi sta inghiottendo. E nel farlo mi sta togliendo forze e speranze. Ho deciso di viaggiare nei posti dove in questi quarant’anni ho lasciato il cuore. Ma ho anche deciso di darmi un'ultima speranza. E sei tu, come se fosse un nostro ultimo gioco.
Ti ricordi? Eravamo piccole quando cominciammo a fare le vacanze estive insieme. La passione per il camper delle nostre famiglie aveva creato quella coppia di mezzi che viaggiavano per l'Europa.
Una nazione ogni estate. Andammo avanti così per tanti anni e noi sempre insieme. Inseparabili.”
Sorrido leggendo le parole di Emma, al ricordo di un'età ormai passata. Nella mente sento anche lei sorridere, mentre scrive queste righe.
“Alcune sere abbiamo dormito insieme e io vedevo il tuo desiderio. E ti nascondevo il mio. Il desiderio di due adolescenti che non ne sanno molto. Quello ingenuo che solo due amiche del cuore possono confidarsi anche solo con una piccola frase. O con uno sguardo.”
Brividi sulla pelle, pensando ad Emma quasi maggiorenne ed io di quattro anni più piccola. Lei con già qualche esperienza e io con la curiosità di chi, ad inizio liceo, iniziava a scoprire i primi approcci.
Era stata la persona a cui avevo confidato i miei primi piaceri.
Era l’amica con cui ridevo ingenuamente di alcuni sogni che avevo in notti lontane.
“Voglio rivivere quelle notti. Voglio rivivere quei brividi. Anche ora mentre ti scrivo li sto rivivendo. E andare oltre, verso quello che ci siamo sempre lette negli occhi e che non abbiamo mai avuto il coraggio di affrontare.
Ora sono in questa camera di hotel, il vento sbatte sulle finestre. Affacciandomi vedo il mare invernale che mangia la spiaggia con le sue onde. Un mare e una vista che già abbiamo ammirato insieme.”
Prendo la foto e la guardo finalmente con attenzione, perché dentro di me so che Emma si sta riferendo a quello.
È una vecchia stampa che inizia a scolorirsi: una palma, il lungomare, la fine di un'insegna in alto a destra “RE”, due ragazzine che fanno la linguaccia al centro della scena.
Fu mio padre a scattarla.
(Lo vedi papà? Sei ancora presente, anche nei modi più impensabili e improvvisi)
“Eravamo piccole, ma già provavamo a fare le donne.
Ora vorrei tornare a quella spensieratezza, a quella intimità.
Potrei dirti che ti ho sempre desiderata o che ho voglia di baciarti, Giulia. La mia solita sincerità e schiettezza che ti spiazzava e ti lasciava senza parole, prima di scoppiare insieme a ridere.
Chissà…forse ti stupisco, ma allo stesso tempo, secondo me, dentro di te l’aspettavi.”
La vedo, come se fosse qui: i capelli biondi, lunghi sulle spalle, liberi dalla coda che portavi solitamente.
Gli occhi azzurri, luccicanti e tremanti.
La pelle giovane e chiara, imperlata da un paio di nei sulla guancia e da leggerissime lentiggini.
La mente mi fa quasi sentire la sua mano leggera che mi sfiora i capelli e il viso, dopo avermi sistemato il colletto della camicia.
È un deja-vu? È un sogno che si materializza? È una fantasia che prende corpo?
“Tutti guardavano il mio biondo, ma io ho sempre sognato il tuo nero.
Non hai idea della scarica emotiva che mi procura il ricordo. E il sogno di un primo, nuovo, contatto con il tuo corpo! È un’onda che mi riporta indietro nel tempo. A quando per gioco passavo le mie dita sulle tue labbra.
Il mio indice che giocava con la delicata piega del labbro superiore.
Il tuo ridere e tentare di mordermi.
Il mio fuggire via e ridere al tuo avvicinarti di più.
Un bacio per scherzo, fatto schioccando il più forte possibile e il riderne di nuovo.”
Mentre anche io sto vivendo quest’onda emotiva fortissima, il ricordo va ad una sdraio al mare (forse proprio la vacanza di quella foto?), ad un asciugamano steso sopra le nostre teste e alle nostre madri che ci prendevano in giro.
Il caldo che sto provando è forte.
L’eccitazione di una fantasia e di un ricordo.
Cosa può fare una sorpresa dal passato…cosa possono fare le parole…sono questi i miei pensieri mentre le mani si fanno strada sulla mia pelle, sotto la stoffa, e verso il mio sesso.
Il trovarlo umido e desideroso non è una sorpresa.
Iniziare a toccarmi senza freni inibitori è una conseguenza naturale e che, forse, anche lei sapeva sarebbe successo.
La cucina intorno a me diventa nuovamente la nostra bolla senza tempo.
Sono con Emma in quella stanza di hotel, come su quella sdraio più di venti anni fa, come in qualsiasi posto da cui mi stia pensando ora.
Tremo e leggo a fatica le righe decisive.
“Trovami Giulia.
Io ti sto aspettando.
Gioca con me.
Saremo nuovamente insieme e finalmente daremo realtà a quanto stiamo sognando da anni.
Se invece non dovessimo più vederci, che questo mio orgasmo resti il nostro ultimo momento insieme.
Un ultimo atto di amore.
Solo nostro.”
Vengo, sussurrando il suo nome.
Ancora, dopo anni, è artefice del mio piacere a cui concedo ogni energia, appoggiandomi completamente al tavolo e lasciandomi andare a lacrime che bagnano le sue parole sotto il mio volto.




di
scritto il
2025-03-24
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