La Troia Della Porta Accanto
di
Kiray_8100
genere
dominazione
Aprivo la finestra al mattino. La tipica aria primaverile invadeva le mie narici, la bocca veniva saziata dai pollini che si muovevano nell'aria e i miei occhi venivano accecati vedendo le grosse e portentose tette della mia vicina di casa. Chissà se si accorgeva di essere spiata. Viveva affacciata a me, nella seconda struttura del condominio. Immobile, come una statua di bronzo, rimaneva a guardare il cortile sottostante e, di tanto in tanto, aspirava il fumo della sigaretta che aveva in mano. Ogni mattina ripeteva quella metodica e annoiata routine. Solo io ci trovavo qualcosa di affascinante nelle gesta di una donna di 30 anni all'apparenza già stanca della sua vita. Nelle sue movenze c'era quel qualcosa che mi ricordava un misto tra Zoë Kravitz e Taylor Russell. Il bacino stretto, gli zigomi carnosi e le tette che ballavano da parte a parte, creando sempre un effetto ipnotico ai miei occhi. Subito dopo, spegneva la sigaretta sul davanzale della finestra, chiudeva le ante e si girava dall'altra parte, dandomi ogni volta una breve ma appagante visione del suo culone.
La volevo: volevo unirmi a lei, volevo studiare ogni minimo particolare del suo corpo angelico color ebano e poi prafanarlo. Volevo cavalcarla, prenderla da dietro e farla gemere di piacere. Magari anche farmi dominare da lei, il suo sguardo disilluso sembrava celare un gusto di rivalsa sugli altri. Io volevo, volevo, volevo, volevo...
Avevo 40 anni, ero "felicemente" sposato con Margherita, una donna che mi tenni appresso sin dagli anni dell'università. Lei era tutto ciò che desideravo in passato. Già, in passato. Oramai qualcosa si era frantumato. Il caffè che mi preparava alla mattina non aveva più lo stesso sapore, i nostri abbracci avevano perso fervore, i nostri baci coinvolgimento, le nostre scopate solo un mero rituale da compiersi per combattere la noia quotidiana. Era tutto e ora non è più nulla.
Non era un sentimento vergognoso il mio, certo che no. Anche lei provava lo stesso. Spesso nella sua indifferenza potevo sentire una forma di umiliazione. Stava cercando di vendicarsi per averla costretta 13 anni fa a condurre una vita coniugale monotona e ripetitiva. Per altro con me, ossia la sua spina nel fianco.
Ricordai una sere di quelle quando finalmente decidemmo di provare qualcosa di nuovo a letto. La bendai e le feci assaggiare diversi cibi, e lei doveva indovinare quali tra questi fosse il mio sperma. Alla seconda portata, una torta al cioccolato del discount, si levò la benda incazzata e frustrata, ignorando il fatto che il bello del gioco stava proprio nello aspettare e, frattanto, la tensione sarebbe cresciuta.
"Non mi piacciono i tuoi giochi" Esclamò. "Se vuoi scoparmi fallo e basta, senza troppe paturnie."
Inutile a dire che la situazione sfociò nella solita scopata abitudinaria. Lei sotto, io sopra. Meglio di niente.
Ero sicuro di starci a provare veramente. Ravvivare il rapporto, riportare le cose com'erano un tempo. Mi rassegnai. Stavo invecchiando precocemente, i capelli bianchi al lato dell'orecchio erano la prova più evidente. Poi la mia continua stanchezza mentale, la mia rabbia verso tutto e tutti, la mia inettitudine in un qualsiasi contesto che non fosse quello lavorativo. Non potevo più risvegliare il me ragazzo, il sesso era diventato solo un sonnifero per dormire bene alla notte.
Ma quando venne lei, la nuova vicina di casa, tutto cambiò. Traslocò nel condominio due settimane prima. Consultai i registri degli abitanti dell'edificio e scoprì che si chiamava Malika H. Lei sarebbe stata la mia salvezza, il motto che ti ripeti in testa per continuare a vivere serenamente.
Venne il giorno in cui dovevamo fare quelle inutili e pallosissime riunioni di condominio. Pur di scampare a mia moglie, decisi di partecipare all'organizzazione. La faccia da culo dell'amministratore non si smentiva mai; con me ce l'aveva particolarmente dopo che avevo pagato in ritardo gli arretrati di 5 mesi, una di quelle stronzate che successe una roba come 6 anni fa. I perfidi figli di puttana non dimenticano mai. Ogni volta che lo vedevo cercai di trattenere un sorriso, conscio del fatto che sua moglie gli metteva spesso le corna e, spesso, con gli abitanti del condominio. Era l'unico in quel tugurio a non saperlo. Non di certo perché la moglie era brava a nascondere le cose, ma perché conclusi che lui era un cazzone atomico di serie A.
Sta di fatto che l'amministratore decise di dare a me e a quel paio di poveri stronzi che accettarano l'incarico il fardello di distribuire alcuni volantini di beneficenza per tutto il condominio. Non voleva lasciarli su un banco apposito nella sala riunioni, temendo che in pochi lo avrebbero preso. Andando di porta in porta gli altri coinquilini sarebbero stati costretti ad accettare.
Fortuna volle che mi capitò proprio il piano in cui si trovava Malika. Avrei potuto vedere il mio angelo custode da vicino. Ma anche la sfortuna voleva recitare la sua parte nella scena e, difatti, Malika non era in casa. Suonai il campanello tre volte: una per adempiere al mio compito da "promotore", le altre perché volevo costringerla a presentarsi di fronte al suo ammiratore numero uno. Nessuno si fece vivo. Feci come per andarmene, ma la porta attigua al suo appartamento che si stava proprio aprendo in quel momento mi placò sul posto. Era lei, che usciva malconcia e arrufata dall'abitazione del signor B. Si stava sistemando un orecchino mentre mi scrutava con i suoi occhi grigi.
"È per me?" Chiese.
Rimasi inebetito. 'Di' qualcosa, stupido coglione' mi canzonai da solo.
"Vuole per caso entrare a bere...uhm...un caffè?"
La mia bocca era serrata. Riuscì giusto in tempo ad annuire, prima che Malika si dileguò nell'atrio della porta.
Entrai. Il suo appartamento era decorato con uno strano assortimento floreale. L'ambiente trasudava d'estate, inverno e primavera tutte assieme.
"Mi scusi di averla fatta aspettare di fronte alla porta. Avevo degli...affari da compiere nella stanza accanto."
Mi preparò il caffè. I pantaloni sportivi che portava si infilavano dentro la crepa del suo culo, facendo vedere attraverso il tessuto sintentico le labbra della figa. Sopra aveva una felpa grigia su un crop top bianco ed era ornata di diversi bracciali e braccialetti. Mai avrei pensato che si vestisse in una maniera così giovanile.
"A lei" Nel servirmi il caffè aveva la stessa flemma di una barista. Forse era quello il suo lavoro. "Allora, di cosa voleva parlarmi?"
Pronunciai le mie prime parole.
"L'amministratore ha deciso di...avviare questa raccolta fondi per una causa...mhh...umanitaria."
Che cazzo stavo dicendo? Malika prese il volantino tra le mani, annuì con sguardo attento e interessato, facendomi credere che stava seguendo veramente il mio discorso. Lo fece solo per rispetto, non sapevo manco io cosa stavo dicendo. Ogni tanto mi lanciava qualche occhiata. Sguardi laconici certo, ma che riuscivano a catturare subito l'essenza del mio viso.
"Non l'ho mai vista in giro per il condomino" Interruppe il mio discorso. "È un parente dell'amministratore?"
"No, no, vivo nel locale accanto."
"Capisco, capisco. Che lavoro fa?"
"Perito informatico. E tu?"
"Barista" Ci avevo beccato "Senta signor..."
"M."
"Sì, signor M. Tutte queste cose sono cazzate. La beneficenza non serve a nulla. Si fidi, vengo da una famiglia africana, ho vissuto la mia prima infanzia nella povertà assoluta" Sfrontata, aspra, pungente. Mi piaceva. "Inoltre sono qui da due settimane e l'amministratore è un pezzo di merda. Questa causa non rammenderà la sua morale da stronzo colossale."
"Oh Cristo, qualcuno che la pensa come me" Confessai senza troppi peli sulla lingua "Tutti fanno buon viso a cattivo gioco, ma solo perché sua moglie..."
Mi interruppi bruscamente: stavo parlando troppo. Lei alzò un ciglio, ora era curiosa di sentirmi concludere la frase.
"Sua moglie...?"
Ma sì, perché non dirlo? Lo sapevano tutti d'altronde.
"Sua moglie gli mette le corna."
La sua bocca si inarcò a forma di "u" e poi si lasciò andare ad una ostentata risata.
"Ma davvero? Non mi dica!"
"Si sarà fatta come minimo tre quarti degli uomini del palazzo." Ridei assieme a lei.
Usammo la vita sentimentale dell'amministratore come trampolino di lancio per parlare di tanto altro. Scoprì che sapeva suonare il violino, che aveva sofferto di una fastidiosa ulcera prima di trasferirsi qui, che il suo cane era morto quando aveva 13 anni cadendo dalla finestra che dava sull'albero vicino alla sua casa d'infanzia, solo per cercare di catturare uno scoiattolo! Era poliglotta, parlava 9 lingue, era single, amava il gelato al mango, era una frequentatrice di circoli per alcolisti anonimi ed era una lettrice incallita di Mark Twain.
"Ti va di scopare?" Domandò spontanea, mentre io le parlavo di quella volta in cui causai un incendio in cucina.
"Cosa?" Me lo aveva chiesto veramente?
"Ti va o no?"
Certo che mi andava, certo. Ma il peso della fede che fino a lì avevo nascosto si faceva sentire.
"Tu mi piaci Malika, veramente tanto, ma io sono..."
"Gay."
"Cosa? No!"
"Non c'è nulla di male. Se vuoi usiamo lo strap-on."
"Non sono gay! Sono sposato."
Non ebbe nessuna reazione palpabile. Rimaneva con il mento appoggiato sul palmo della mano, statica con lo sguardo che scavava nell'innocenza di un povero uomo prossimo alla mezz'età.
Prese una sigaretta dal suo pacchetto e poi l'accendino da una tasca. L'accesse, inspirò e soffiò tutto il fumo sulla mia faccia. La spense subito dopo sul posacenere. Legò i capelli a coda di cavallo, si inchinò per stare sotto il tavolo e, in pochi attimi, aveva già la mano sul mio pacco.
Non potevo più fermarla. Mi slacciò la cintura, la zip e il bottone. Mi calò le mutande mentre alzavo lo sguardo in alto, arreso al fatto che non potevo resistere a cotanta bellezza.
Il mio cazzo si trovava disteso come un bozzolo di seta sulla sua faccia. Lo impugnò come l'elsa di una spada e lo sbatté un paio di volte sulla sua guancia, per poi morderlo e ingoiare.
La mia cappella si insinuava nella sua gola, la sua lingua stimolava l'asta del mio pisello. Mi guardava, gli occhi di un cucciolo che nascondeva un lato bestiale.
Era quello che cercavo da tempo. Passione, esplorazione, nuove cose da fare con la persona giusta. Ero perso, forse mi innamorai sul serio quando gli riempì la lingua di sborra.
"Tua moglie è a casa?" Stava spremendo il mio uccello per far uscire le ultime gocce di sperma.
"N-no... Sta lavorando."
"Allora non dobbiamo preoccuparci che ti venga a cercare."
Non lo avrebbe fatto anche se fosse stata nel condominio.
"Vieni."
Mi prese per mano e mi portò nella sua stanza.
"Ora giochiamo sul serio."
Prese dal cassetto delle manette fucsia pelose. Ci avevo beccato anche questa volta: a lei piaceva dominare.
"Posso?" L'ultima domanda che mi chiese con gentilezza prima di allungare le sue perfide grinfie sul mio corpo. Una volta che consentì rimanevo completamente in balia delle sue voglie.
Legato allo schienale del letto, Malika mi tolse prima le scarpe e poi i calzini, e con una piuma cominciò a farmi il solletico sulla pianta del piede.
"No! No! Smettila! Il solletico no!"
Non era piacevole, ma capì che si stava solo riscaldando.
Mi spogliò da cima a fondo, si tolse i vestiti per mettersi solo degli stivali di lattice e cominciò a calpestarmi sulle palle. Nella mano teneva un frustino, che passo dolcemente sulla mia faccia solo per colpire di seguito e con forza il mio capezzolo. Una, due, tre, quattro volte. Urlavo.
"Ora ti tappo la bocca con la mia figa."
Si sedette sopra di me, dandomi le spalle. Affondò il suo culo nel mio naso e, incapace di liberarmi, non potei far altro che leccarle la figa.
Mossi la lingua in ogni direzione e, più la facevo eccitare, più lei schiacciava la mia faccia nel suo culo. Alla fine ebbi la bocca ricolma di umori e liquidi femminili.
Si alzò a gattoni, mi sculettò di fronte alla faccia sputando la lingua di fuori. Prese di nuovo il frustino, mi liberò dalle catene solo per bloccarmi a quattro zampe, e poi mi frustò sul culo. Trenta vergate sul mio povero culo fino a lì rimasto immacolato.
"Allora, signor M., che ne dice di usare quel famoso strap-on di cui tanto le parlavo?"
Avere un cazzo di plastica nel culo? Avrei detto di no se fosse stato qualcun altro, ma era Malika a dirmelo, la mia dea, la mia padrona.
Prese dall'armadio il dildo. Era grosso 25 centimetri! Come avrei fatto a sopportarlo? Non potevo più controbattere oramai. Lo allacciò attorno alla vita e poi lo usò per schiaffeggiarmi il già dolorante culo.
"Sei pronto?" Avvicinò la faccia al mio orecchio e lo morse dolcemente.
Lo infilò dentro con una spinta sola. Il mio buchino prese a bruciare e ad allargarsi per adattarsi alla circonferenza di quel temibile serpente nero.
Mi distrusse il culo a furia di infilarlo sempre più dentro. Il mio cazzo dritto batteva in ritirata per paura di ricevere la stessa sorte.
Strillavo, stranamente in una maniera compiaciuta. Il volto mi era diventato completamente rosso, la vena della tempia pronta ad esplodere.
Soddisfatta dall'aver ridotto in mille pezzi la mia virilità, Malika scese dal letto e infilò lo strap-on nella mia bocca.
Aveva un sapore piacevole, nonostante fosse stato nel mio culo.
"Può bastare" La saliva colava sul dildo gigante. "Ora ti libero."
Mi slegò per un attimo. Pensavo che fosse finita lì ma mi stava solo sfottendo. Mi girò nuovamente sulla schiena, mi bloccò non solo con le braccia alla spalliera ma pure le gambe ai piedini del letto. E infilò nuovamente il suo enorme giocatolo nero nella mia bocca già martoriata.
"Stai venendo, non è vero?" Lo sapeva benissimo. "Non devi venire fino a quando non te lo dico io."
Si sedette sul mio cazzo, piegandolo così che ci poteva strusciare sopra con la figa. Mi stava masturbando con la sua vulva umidiccia. Non avrei potuto trattenermi ancora a lungo.
"Non venire...non venire..." Ansimava.
Si alzò a cavalcioni sul mio cazzo e lo prese in mano, così da mirarlo e infilarlo perfettamente nel lungo tunnel della sua figa. Era dentro! Finalmente tutte quelle sevizie avevano portato i loro frutti.
"Non venire, non ci pensare nemmeno, o ti ammazzo."
Si graffiò con le unghie lungo il collo, strizzò le sue tette per far uscire del latte immaginario. Orgasmava, il richiamo di un'ammazzone. Prese a sditalinarsi, faceva movimenti in senso orario. Stavo per implodere. Volevo e dovevo sborrare.
"Inondami la figa!" Disse finalmente.
Venimmo insieme. Lei squirtò talmente tanto da poter assaggiare di nuovo i suoi umori direttamente in bocca e io dispersi la retta via dentro la sua figa in un mare di sperma.
Si rimise in piedi, lo sperma le colava dalla figa al mio cazzo che si stava accasciando sulle palle per riposarsi. Era fatta. Ero riuscito nell'intento di provare nuovamente quelle tanto ricercate sensazioni forti, quelle che rendevano la vita valida da vivere. Tutto grazie a lei, il mio angelo dalle ali nere.
Come se il mio corpo non fosse stato torturato abbastanza, la mia mente prese a farlo da sola con sé stessa, colmandosi di domande. Sarei mai potuto ritornare a casa con la stessa faccia severa e spenta che possedevo normalmente? Avrei avuto coraggio a vedere nuovamente in volto Margherita? Oppure avrei rivelato tutto e lei mi avrebbe ucciso a suon di coltellate sullo sterno? Poco male, per me aveva già intenzione di farlo.
"Puoi slegarmi ora?"
Malika si stava rivestendo.
"Quando ritorna a casa tua moglie?"
"Tra 3 ore dovrebbe essere nell'atrio del condominio."
"Ancora 3 ore? Quanto basta per far riposare il tuo cazzo e ricominciare. È stato bravo l'uccello del signor M."
Si abbassò su di lui e gli diede un tenero bacio.
"Tu aspetta qui e non fare troppo rumore."
Ero suo prigioniero. Le manette mi stavano bruciando i polsi. Nudo e sudato su lenzuola di lana in piena primavera.
Forse andava bene così, sempre meglio di vedere mia moglie...
La volevo: volevo unirmi a lei, volevo studiare ogni minimo particolare del suo corpo angelico color ebano e poi prafanarlo. Volevo cavalcarla, prenderla da dietro e farla gemere di piacere. Magari anche farmi dominare da lei, il suo sguardo disilluso sembrava celare un gusto di rivalsa sugli altri. Io volevo, volevo, volevo, volevo...
Avevo 40 anni, ero "felicemente" sposato con Margherita, una donna che mi tenni appresso sin dagli anni dell'università. Lei era tutto ciò che desideravo in passato. Già, in passato. Oramai qualcosa si era frantumato. Il caffè che mi preparava alla mattina non aveva più lo stesso sapore, i nostri abbracci avevano perso fervore, i nostri baci coinvolgimento, le nostre scopate solo un mero rituale da compiersi per combattere la noia quotidiana. Era tutto e ora non è più nulla.
Non era un sentimento vergognoso il mio, certo che no. Anche lei provava lo stesso. Spesso nella sua indifferenza potevo sentire una forma di umiliazione. Stava cercando di vendicarsi per averla costretta 13 anni fa a condurre una vita coniugale monotona e ripetitiva. Per altro con me, ossia la sua spina nel fianco.
Ricordai una sere di quelle quando finalmente decidemmo di provare qualcosa di nuovo a letto. La bendai e le feci assaggiare diversi cibi, e lei doveva indovinare quali tra questi fosse il mio sperma. Alla seconda portata, una torta al cioccolato del discount, si levò la benda incazzata e frustrata, ignorando il fatto che il bello del gioco stava proprio nello aspettare e, frattanto, la tensione sarebbe cresciuta.
"Non mi piacciono i tuoi giochi" Esclamò. "Se vuoi scoparmi fallo e basta, senza troppe paturnie."
Inutile a dire che la situazione sfociò nella solita scopata abitudinaria. Lei sotto, io sopra. Meglio di niente.
Ero sicuro di starci a provare veramente. Ravvivare il rapporto, riportare le cose com'erano un tempo. Mi rassegnai. Stavo invecchiando precocemente, i capelli bianchi al lato dell'orecchio erano la prova più evidente. Poi la mia continua stanchezza mentale, la mia rabbia verso tutto e tutti, la mia inettitudine in un qualsiasi contesto che non fosse quello lavorativo. Non potevo più risvegliare il me ragazzo, il sesso era diventato solo un sonnifero per dormire bene alla notte.
Ma quando venne lei, la nuova vicina di casa, tutto cambiò. Traslocò nel condominio due settimane prima. Consultai i registri degli abitanti dell'edificio e scoprì che si chiamava Malika H. Lei sarebbe stata la mia salvezza, il motto che ti ripeti in testa per continuare a vivere serenamente.
Venne il giorno in cui dovevamo fare quelle inutili e pallosissime riunioni di condominio. Pur di scampare a mia moglie, decisi di partecipare all'organizzazione. La faccia da culo dell'amministratore non si smentiva mai; con me ce l'aveva particolarmente dopo che avevo pagato in ritardo gli arretrati di 5 mesi, una di quelle stronzate che successe una roba come 6 anni fa. I perfidi figli di puttana non dimenticano mai. Ogni volta che lo vedevo cercai di trattenere un sorriso, conscio del fatto che sua moglie gli metteva spesso le corna e, spesso, con gli abitanti del condominio. Era l'unico in quel tugurio a non saperlo. Non di certo perché la moglie era brava a nascondere le cose, ma perché conclusi che lui era un cazzone atomico di serie A.
Sta di fatto che l'amministratore decise di dare a me e a quel paio di poveri stronzi che accettarano l'incarico il fardello di distribuire alcuni volantini di beneficenza per tutto il condominio. Non voleva lasciarli su un banco apposito nella sala riunioni, temendo che in pochi lo avrebbero preso. Andando di porta in porta gli altri coinquilini sarebbero stati costretti ad accettare.
Fortuna volle che mi capitò proprio il piano in cui si trovava Malika. Avrei potuto vedere il mio angelo custode da vicino. Ma anche la sfortuna voleva recitare la sua parte nella scena e, difatti, Malika non era in casa. Suonai il campanello tre volte: una per adempiere al mio compito da "promotore", le altre perché volevo costringerla a presentarsi di fronte al suo ammiratore numero uno. Nessuno si fece vivo. Feci come per andarmene, ma la porta attigua al suo appartamento che si stava proprio aprendo in quel momento mi placò sul posto. Era lei, che usciva malconcia e arrufata dall'abitazione del signor B. Si stava sistemando un orecchino mentre mi scrutava con i suoi occhi grigi.
"È per me?" Chiese.
Rimasi inebetito. 'Di' qualcosa, stupido coglione' mi canzonai da solo.
"Vuole per caso entrare a bere...uhm...un caffè?"
La mia bocca era serrata. Riuscì giusto in tempo ad annuire, prima che Malika si dileguò nell'atrio della porta.
Entrai. Il suo appartamento era decorato con uno strano assortimento floreale. L'ambiente trasudava d'estate, inverno e primavera tutte assieme.
"Mi scusi di averla fatta aspettare di fronte alla porta. Avevo degli...affari da compiere nella stanza accanto."
Mi preparò il caffè. I pantaloni sportivi che portava si infilavano dentro la crepa del suo culo, facendo vedere attraverso il tessuto sintentico le labbra della figa. Sopra aveva una felpa grigia su un crop top bianco ed era ornata di diversi bracciali e braccialetti. Mai avrei pensato che si vestisse in una maniera così giovanile.
"A lei" Nel servirmi il caffè aveva la stessa flemma di una barista. Forse era quello il suo lavoro. "Allora, di cosa voleva parlarmi?"
Pronunciai le mie prime parole.
"L'amministratore ha deciso di...avviare questa raccolta fondi per una causa...mhh...umanitaria."
Che cazzo stavo dicendo? Malika prese il volantino tra le mani, annuì con sguardo attento e interessato, facendomi credere che stava seguendo veramente il mio discorso. Lo fece solo per rispetto, non sapevo manco io cosa stavo dicendo. Ogni tanto mi lanciava qualche occhiata. Sguardi laconici certo, ma che riuscivano a catturare subito l'essenza del mio viso.
"Non l'ho mai vista in giro per il condomino" Interruppe il mio discorso. "È un parente dell'amministratore?"
"No, no, vivo nel locale accanto."
"Capisco, capisco. Che lavoro fa?"
"Perito informatico. E tu?"
"Barista" Ci avevo beccato "Senta signor..."
"M."
"Sì, signor M. Tutte queste cose sono cazzate. La beneficenza non serve a nulla. Si fidi, vengo da una famiglia africana, ho vissuto la mia prima infanzia nella povertà assoluta" Sfrontata, aspra, pungente. Mi piaceva. "Inoltre sono qui da due settimane e l'amministratore è un pezzo di merda. Questa causa non rammenderà la sua morale da stronzo colossale."
"Oh Cristo, qualcuno che la pensa come me" Confessai senza troppi peli sulla lingua "Tutti fanno buon viso a cattivo gioco, ma solo perché sua moglie..."
Mi interruppi bruscamente: stavo parlando troppo. Lei alzò un ciglio, ora era curiosa di sentirmi concludere la frase.
"Sua moglie...?"
Ma sì, perché non dirlo? Lo sapevano tutti d'altronde.
"Sua moglie gli mette le corna."
La sua bocca si inarcò a forma di "u" e poi si lasciò andare ad una ostentata risata.
"Ma davvero? Non mi dica!"
"Si sarà fatta come minimo tre quarti degli uomini del palazzo." Ridei assieme a lei.
Usammo la vita sentimentale dell'amministratore come trampolino di lancio per parlare di tanto altro. Scoprì che sapeva suonare il violino, che aveva sofferto di una fastidiosa ulcera prima di trasferirsi qui, che il suo cane era morto quando aveva 13 anni cadendo dalla finestra che dava sull'albero vicino alla sua casa d'infanzia, solo per cercare di catturare uno scoiattolo! Era poliglotta, parlava 9 lingue, era single, amava il gelato al mango, era una frequentatrice di circoli per alcolisti anonimi ed era una lettrice incallita di Mark Twain.
"Ti va di scopare?" Domandò spontanea, mentre io le parlavo di quella volta in cui causai un incendio in cucina.
"Cosa?" Me lo aveva chiesto veramente?
"Ti va o no?"
Certo che mi andava, certo. Ma il peso della fede che fino a lì avevo nascosto si faceva sentire.
"Tu mi piaci Malika, veramente tanto, ma io sono..."
"Gay."
"Cosa? No!"
"Non c'è nulla di male. Se vuoi usiamo lo strap-on."
"Non sono gay! Sono sposato."
Non ebbe nessuna reazione palpabile. Rimaneva con il mento appoggiato sul palmo della mano, statica con lo sguardo che scavava nell'innocenza di un povero uomo prossimo alla mezz'età.
Prese una sigaretta dal suo pacchetto e poi l'accendino da una tasca. L'accesse, inspirò e soffiò tutto il fumo sulla mia faccia. La spense subito dopo sul posacenere. Legò i capelli a coda di cavallo, si inchinò per stare sotto il tavolo e, in pochi attimi, aveva già la mano sul mio pacco.
Non potevo più fermarla. Mi slacciò la cintura, la zip e il bottone. Mi calò le mutande mentre alzavo lo sguardo in alto, arreso al fatto che non potevo resistere a cotanta bellezza.
Il mio cazzo si trovava disteso come un bozzolo di seta sulla sua faccia. Lo impugnò come l'elsa di una spada e lo sbatté un paio di volte sulla sua guancia, per poi morderlo e ingoiare.
La mia cappella si insinuava nella sua gola, la sua lingua stimolava l'asta del mio pisello. Mi guardava, gli occhi di un cucciolo che nascondeva un lato bestiale.
Era quello che cercavo da tempo. Passione, esplorazione, nuove cose da fare con la persona giusta. Ero perso, forse mi innamorai sul serio quando gli riempì la lingua di sborra.
"Tua moglie è a casa?" Stava spremendo il mio uccello per far uscire le ultime gocce di sperma.
"N-no... Sta lavorando."
"Allora non dobbiamo preoccuparci che ti venga a cercare."
Non lo avrebbe fatto anche se fosse stata nel condominio.
"Vieni."
Mi prese per mano e mi portò nella sua stanza.
"Ora giochiamo sul serio."
Prese dal cassetto delle manette fucsia pelose. Ci avevo beccato anche questa volta: a lei piaceva dominare.
"Posso?" L'ultima domanda che mi chiese con gentilezza prima di allungare le sue perfide grinfie sul mio corpo. Una volta che consentì rimanevo completamente in balia delle sue voglie.
Legato allo schienale del letto, Malika mi tolse prima le scarpe e poi i calzini, e con una piuma cominciò a farmi il solletico sulla pianta del piede.
"No! No! Smettila! Il solletico no!"
Non era piacevole, ma capì che si stava solo riscaldando.
Mi spogliò da cima a fondo, si tolse i vestiti per mettersi solo degli stivali di lattice e cominciò a calpestarmi sulle palle. Nella mano teneva un frustino, che passo dolcemente sulla mia faccia solo per colpire di seguito e con forza il mio capezzolo. Una, due, tre, quattro volte. Urlavo.
"Ora ti tappo la bocca con la mia figa."
Si sedette sopra di me, dandomi le spalle. Affondò il suo culo nel mio naso e, incapace di liberarmi, non potei far altro che leccarle la figa.
Mossi la lingua in ogni direzione e, più la facevo eccitare, più lei schiacciava la mia faccia nel suo culo. Alla fine ebbi la bocca ricolma di umori e liquidi femminili.
Si alzò a gattoni, mi sculettò di fronte alla faccia sputando la lingua di fuori. Prese di nuovo il frustino, mi liberò dalle catene solo per bloccarmi a quattro zampe, e poi mi frustò sul culo. Trenta vergate sul mio povero culo fino a lì rimasto immacolato.
"Allora, signor M., che ne dice di usare quel famoso strap-on di cui tanto le parlavo?"
Avere un cazzo di plastica nel culo? Avrei detto di no se fosse stato qualcun altro, ma era Malika a dirmelo, la mia dea, la mia padrona.
Prese dall'armadio il dildo. Era grosso 25 centimetri! Come avrei fatto a sopportarlo? Non potevo più controbattere oramai. Lo allacciò attorno alla vita e poi lo usò per schiaffeggiarmi il già dolorante culo.
"Sei pronto?" Avvicinò la faccia al mio orecchio e lo morse dolcemente.
Lo infilò dentro con una spinta sola. Il mio buchino prese a bruciare e ad allargarsi per adattarsi alla circonferenza di quel temibile serpente nero.
Mi distrusse il culo a furia di infilarlo sempre più dentro. Il mio cazzo dritto batteva in ritirata per paura di ricevere la stessa sorte.
Strillavo, stranamente in una maniera compiaciuta. Il volto mi era diventato completamente rosso, la vena della tempia pronta ad esplodere.
Soddisfatta dall'aver ridotto in mille pezzi la mia virilità, Malika scese dal letto e infilò lo strap-on nella mia bocca.
Aveva un sapore piacevole, nonostante fosse stato nel mio culo.
"Può bastare" La saliva colava sul dildo gigante. "Ora ti libero."
Mi slegò per un attimo. Pensavo che fosse finita lì ma mi stava solo sfottendo. Mi girò nuovamente sulla schiena, mi bloccò non solo con le braccia alla spalliera ma pure le gambe ai piedini del letto. E infilò nuovamente il suo enorme giocatolo nero nella mia bocca già martoriata.
"Stai venendo, non è vero?" Lo sapeva benissimo. "Non devi venire fino a quando non te lo dico io."
Si sedette sul mio cazzo, piegandolo così che ci poteva strusciare sopra con la figa. Mi stava masturbando con la sua vulva umidiccia. Non avrei potuto trattenermi ancora a lungo.
"Non venire...non venire..." Ansimava.
Si alzò a cavalcioni sul mio cazzo e lo prese in mano, così da mirarlo e infilarlo perfettamente nel lungo tunnel della sua figa. Era dentro! Finalmente tutte quelle sevizie avevano portato i loro frutti.
"Non venire, non ci pensare nemmeno, o ti ammazzo."
Si graffiò con le unghie lungo il collo, strizzò le sue tette per far uscire del latte immaginario. Orgasmava, il richiamo di un'ammazzone. Prese a sditalinarsi, faceva movimenti in senso orario. Stavo per implodere. Volevo e dovevo sborrare.
"Inondami la figa!" Disse finalmente.
Venimmo insieme. Lei squirtò talmente tanto da poter assaggiare di nuovo i suoi umori direttamente in bocca e io dispersi la retta via dentro la sua figa in un mare di sperma.
Si rimise in piedi, lo sperma le colava dalla figa al mio cazzo che si stava accasciando sulle palle per riposarsi. Era fatta. Ero riuscito nell'intento di provare nuovamente quelle tanto ricercate sensazioni forti, quelle che rendevano la vita valida da vivere. Tutto grazie a lei, il mio angelo dalle ali nere.
Come se il mio corpo non fosse stato torturato abbastanza, la mia mente prese a farlo da sola con sé stessa, colmandosi di domande. Sarei mai potuto ritornare a casa con la stessa faccia severa e spenta che possedevo normalmente? Avrei avuto coraggio a vedere nuovamente in volto Margherita? Oppure avrei rivelato tutto e lei mi avrebbe ucciso a suon di coltellate sullo sterno? Poco male, per me aveva già intenzione di farlo.
"Puoi slegarmi ora?"
Malika si stava rivestendo.
"Quando ritorna a casa tua moglie?"
"Tra 3 ore dovrebbe essere nell'atrio del condominio."
"Ancora 3 ore? Quanto basta per far riposare il tuo cazzo e ricominciare. È stato bravo l'uccello del signor M."
Si abbassò su di lui e gli diede un tenero bacio.
"Tu aspetta qui e non fare troppo rumore."
Ero suo prigioniero. Le manette mi stavano bruciando i polsi. Nudo e sudato su lenzuola di lana in piena primavera.
Forse andava bene così, sempre meglio di vedere mia moglie...
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