Riccardino - 3: Nell'armadio
di
epsilon
genere
gay
Genere: Gay (questa volta particolarmente bisex), Dominazione (raccontata dal sub)
CW: sesso non consensuale, ingiurie pesanti (fr***o e simili)
Racconto con descrizioni lunghe e dettagliate.
Tutto quello che segue è frutto della fantasia e dell'immaginazione.
Tutti i personaggi sono maggiorenni.
---
Sento il cuore che inizia a battermi forte dall'agitazione. Era andato in palpitazione già leggendo il nome del mittente, figuriamoci ora che ho ricevuto questo invito. Fisso lo schermo, finché non sento il mio compagno di banco chiamarmi:
"Oh, Ricky, ma che c'hai? Guarda che mo' la prof ti sgama se non stai attento"
Mi risveglio, lo fisso e gli dico che ha ragione. Metto via il telefono e cerco di tornare a concentrarmi su sta cazzo di letteratura italiana, ma la mia mente è completamente altrove. Ripenso a questi ultimi giorni, a come sono stato preso a sberle, sculacciato, scopato in bocca, umiliato, deriso. A come mi sono prestato a queste cose, al fatto che non ne ho parlato con nessuno.
Non c'è niente che mi obblighi ad andare da lui, questo pomeriggio. Potrei ignorare tranquillamente messaggio, far finta di non averlo visto, rispondergli stasera scusandomi. Scusandomi? Scusandomi per cosa? Per non essere sempre disponibile, per non essere al suo servizio, per non avergli ancora dato il culo?
È lui il frocio che mi vuole scopare, che mi viene in bocca, che mi insulta e mi picchia. Di che cazzo mi devo scusare? Non gli risponderò neanche: che se ne vada a fanculo. Vuole stuprarmi? Che almeno faccia la fatica di venirmi a prendere, cazzo.
---
Suono il campanello di casa sua. Ho già il groppo in gola all'idea di cosa mi farà fare.
"Riccardino? Quinto piano."
Mentre aspetto che l'ascensore arrivi al piano giusto, mi rimetto in bocca le sue mutande, quelle che mi ha lasciato dopo il nostro ultimo "incontro". Non ho osato buttarle via, e neanche lavarle: le ho messe in un sacchetto chiuso e nascoste sotto il materasso. Faccio sogni strani, da allora, ma non mi dispiacciono.
Spero che mostrandomi già così sottomesso abbia pietà e non mi prenda il culo. Spero tanto anche che non mi sculacci: ho ancora i segni dall'ultima volta, dalla vergogna non posso neanche farmi la doccia a fine allenamento. Ogni volta devo sgattaiolare via subito, e ogni volta sento il suo sguardo su di me, vedo il suo sorrisino che sa il perché debba fuggire così.
Mi viene in mente troppo tardi che forse rischio che l'ascensore si fermi ad un piano ed entri qualcuno che mi veda così, con delle mutande in bocca. Ormai sono quasi arrivato: non posso fare altro che incrociare le dita e sperare.
"Ding!"
Le porte si aprono, ma non c'è nessuno, per fortuna. Esco sul pianerottolo e lo vedo sull'uscio, che mi aspetta. Appena nota le mutande in bocca sorride, compiaciuto, e io non possono non provare soddisfazione per aver avuto una buona idea.
Mi avvicino alla porta e mi fermo davanti a lui. Lui non si sposta per farmi entrare e io non posso parlare, quindi lascio che mi ispezioni con lo sguardo. Mi fa segno di girarmi, ed io ubbidisco. Percepisco il suo sguardo sul mio culo, che tanto gli piace.
"Mi fa molto piacere quest'idea delle mutande, molto bravo. Se posso permettermi, è proprio indice della tua propensione."
Mentre mi parla, mi gratta dietro ad un orecchio, come ad un cagnolino che ha fatto un trick. Sento un moto di orgoglio, anche se le sue parole mi lasciano un dubbio: propensione? A cosa?
"Devo però metterti una nuova regola: in casa mia non puoi entrare vestito e non puoi neanche entrare su due zampe."
Sento l'ormai familiare sensazione del cuore che mi sprofonda nello stomaco. Una nuova umiliazione. Neanche entrare in casa sua può essere una cosa semplice. Non basta aver obbedito all'ordine di presentarmi qua a casa sua perché possa convincermi a dargli il culo, non basta che di mia spontanea volontà sia arrivato con le sue mutande sporche già nella mia bocca. Devo anche spogliarmi e mettermi a quattro zampe, come un cane.
La mia parte razionale torna a dirmi che non c'è nessuna costrizione, che potrei andarmene e basta. È vero, probabilmente mi strattonerebbe dentro e mi picchierebbe fino a farsi ubbidire, ma almeno conserverei quel poco di orgoglio che mi è rimasto: è più onorevole farsi spezzare, che piegarsi di propria sponte.
Il mio corpo, però, ha già iniziato a spogliarsi. Non mi giro neanche, rimango a dargli le spalle. Forse per la vergogna, forse perché non ho ricevuto ordine di girarmi, e non voglio rischiare punizioni. Mi tolgo giacca, felpa e maglia, facendole cadere a terra. Rimango così a torso nudo, esponendo il mio petto glabro, il mio addome magro. Abbasso i pantaloni e le mutande, mi tolgo i calzini, raccogliendo i vestiti in un mucchietto a fianco dello zerbino.
Sento l'aria fredda del pianerotto che sbatte contro il mio cazzetto moscio, con troppi pochi peli a proteggerlo dalle temperature, mentre il calore casalingo scalda il mio culetto "carnoso", come lo definisce lui. Mi abbasso a terra, mettendomi a quattro zampe, e solo a questo punto mi giro. Tengo lo sguardo basso, verso le sue pantofole.
Lui toglie un piede dalla ciabatta, e me lo porge. Sento un forte odore maschio provenire dal calzino e storco il naso, ma capisco cosa devo fare: mi piego in avanti e glielo bacio. Solo ora si fa in parte, e mi permette di entrare in casa sua. Entro, percependo il freddo delle mattonelle sotto le mie mani e le mie ginocchia, mentre sento lui che raccoglie i miei vestiti e richiude la porta di casa dietro di me, isolandoci.
---
Casa sua è molto modesta: un piccolo salotto, una cucina con un tavolo da pranzo e poi un breve corridoio su cui aprono due camere e l'unico bagno. Da dietro mi dice di andare verso il corridoio, ma appena faccio due passi sento il suo piede sul mio culo che mi spinge in basso. All'inizio faccio un po' di resistenza, ma poi cedo e mi sdraio a terra, con la pancia sul freddo pavimento.
Mi palpa il culo con il piede, sento il suo pollicione che percorre il mio solco, indugiando sul mio buchetto vergine. Dalla vergogna chiudo gli occhi: come ho fatto a ritrovarmi in questa situazione, nudo come un verme e letteralmente ai suoi piedi?
Mi calcia lievemente il bacino, indicatomi di rialzarmi. Non mi muovo, aspetto un suo ordine. E penso che apprezzi, perché sento che ne approfitta per palparmi il culo con la mano. Fa anche una cosa nuova: mi tocca il cazzo, sentendolo moscio. È la prima volta che qualcuno mi tocca lì, essendo io vergine non solo di culo. In questa situazione, però, non è qualcosa che mi piace: la percepisco come un invasione, una mano che si fa strada attraverso le mie difese per toccarmi nel luogo più intimo.
Non che abbia alzato grandi difese: rimango lì, nudo a quattro zampe in casa sua, con la testa bassa, a farmi toccare. Stringo forte le sue mutande fra i denti, sentendo il suo puzzo da uomo in bocca. Mi sento come un animale da fattoria che viene esaminato dal padrone che deve capire se può tornargli ancora utile o se lo deve mandare al macello.
Il suo, peraltro, non è un tocco gentile: palpeggia, stringe, percorre, pizzica, soppesa. Coinvolge non solo l'asta, ma anche la cappella, le palle, perfino frenulo e perineo vengono analizzati. Mormora una battuta di derisione per le dimensioni, facendomi arrossire: il suo ormai lo conosco bene, e ha ragione a umiliarmi.
Penso però di aver superato questo esame: mi dà uno schiaffo sul culo e mi dice di proseguire, aggiungendo però che devo sculettare maggiormente. L'ennesima umiliazione: non basta denudarmi, strisciare e farmi molestare, devo anche mostrarmi sensuale e disponibile, se non addirittura entusiasta. Ma nonostante questo, ubbidisco, e inizio ad ancheggiare mentre vado in avanti.
Lo sento ridacchiare dietro di me. Questo mi ferirebbe l'orgoglio, se ne avessi ancora.
Entro in camera sua mentre lui, dietro di me, accende la luce. La cameretta è piccola: un letto a castello con armadio, una scrivania con libreria, un cassettone. Mi viene in mente una delle poche cose che so su di lui: ha una sorella più grande, che va all'Università. Lo so perché lei ha frequentato il mio stesso liceo, con ottimi risultati. Lui ci ha provato, ma è stato segato al primo anno e si è spostato ad un tecnico.
I due letti non sono esattamente uno sopra l'altro, ma quello in basso è spostato un po' in avanti, in modo da lasciare spazio per un armadio incassato dietro. Lui apre questo sportello e ci lancia dentro i miei vestiti. Poi mi ordina di mettermi "in posizione". Per un attimo lo guardo senza capire, poi mi ricordo ed eseguo: in ginocchio, con la bocca aperta, mostrandogli le sue mutande. Spero che si stufi e me le tolga - anche se ho paura che le sostituirebbe con il suo cazzo. Invece non fa nulla di tutto questo, e inizia a parlarmi.
"Come ti dicevo per messaggio, penso di aver capito perché non vuoi darmi il culo, e so anche come convincerti."
Mi prende per il mento, dolcemente. Inizio ad aver paura di cosa vuole farmi.
"Hai paura che io non sappia come soddisfarti! Temi che io ti inculi e inculi e inculi e che te non ne godrai. Effettivamente con te sono stato un amante un po' egoista, ma d'altra parte, finché il cazzo ti rimane moscio non c'è neanche molto che possa fare..."
Sorride divertito. Come se lo stronzo si preocupasse per davvero dei miei orgasmi, come se non le considerasse cose da checca.
"Ma non ti preoccupare, avrai una dimostrazione pratica! Devi sapere che il giovedì pomeriggio i miei genitori sono entrambi al lavoro, quindi è il momento in cui io e Vero ne approfittiamo per scopare. Purtroppo non posso farti assistere, Vero non capirebbe, però ti do un'occasione unica: potrai ascoltare tutto ciò che succede!"
Indica l'armadio dove ha lanciato i miei vestiti. È uno spazio stretto, ma abbastanza lungo, ed effettivamente gli scaffali sono solo in fondo. Una persona ci può stare dentro, anche se sicuramente né in piedi né seduta, al massimo rannicchiata.
E quando capisco che quella persona sarò io, sbarro gli occhi, mentre il cuore inizia a battermi forte. Lo guardo in faccia, cercando di trasmettergli il mio terrore e di chiedergli pietà con gli occhi. E se riesco a trasmettere questo messaggio, la sua risposta non è comunque quella in cui speravo, anche se me la dice accarezzandomi il viso.
"Oh non ti preoccupare, non starai lì per troppo tempo! Al massimo un paio d'ore... Come ben sai, non sono uno molto veloce. In più non sarai del tutto solo, potrai ascoltarti un bello spettacolo!"
Io inizio a scuotere la testa dal terrore, ma questo gli fa scomparire il sorriso dal volto. Smette di accarezzarmi e torna a stringermi il mento, questa volta però in modo duro.
"O ci vai tu, o ti ci metto dentro io. A te la scelta."
Mi fissa con occhi cattivi. È molto serio, e io non ho scampo. Abbasso gli occhi, incapace di reggere lo sguardo. Accetto di sottomettermi a lui, che lo capisce subito e mi lascia il mento. Mi rimetto a quattro zampe ed entro in questo piccolo armadietto. A fatica mi giro per sedermi, cerco di abbracciarmi le ginocchia ma non c'è spazio neanche per questo: rimango quindi con le gambe piegate e le braccia in grembo, la schiena appoggiata agli scaffali in fondo. Ho il culo sopra i miei stessi vestiti, umiliante ma almeno me lo tengono un minimo al caldo.
Lui mi osserva da fuori mentre mi sistemo. Gli è tornato il sorriso, e non posso non sopprimere una punta di felicità per essere riuscito a farglielo tornare.
"Mi raccomando: concentrati soprattutto sui gemiti di Veronica. Mettiti nei suoi panni, pensa che il suo piacere potrebbe essere il tuo. E anche se non lo vedrai, fidati che la scoperò solo nel culo oggi."
Mi fa l'occhiolino ed inizia a chiudere la porta. Vedendo la luce diminuire il cuore riparte a battere all'impazzata, il respiro si accorcia. Lui si ferma, e per un attimo provo un briciolo di speranza.
"Ah, e mi raccomando: nessun tipo di rumore, altrimenti hai finito di vivere."
Mi guarda torvo mentre mi lancia quest'ultima minaccia, e anche quel briciolo di speranza viene spazzato via. Mentre chiude la porta, aggiunge un'ultima cosa.
"Però, non ti far problemi a segarti se ti ecciti. Ti concedo volentieri questo orgasmo."
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Non so quanto tempo passi prima di sentire il campanello suonare. L'unica cosa che mi tiene compagnia sono il mio respiro e una sottile lama di luce che proviene dal bordo inferiore dello sportello di questo piccolo armadio dove sono stato costretto a rannicchiarmi, nudo e deriso. In tutto questo tempo non mi viene neanche in mente né di mettermi addosso dei vestiti, né di togliermi le sue mutande dalla bocca. Rimango qui, al freddo e con in bocca il sapore del suo sudore e dei suoi liquidi, al quale ormai - è terrificante dirlo - sono abituato.
Sento in lontananza delle voci: una maschile, la sua, e una femminile, quella di sua morosa. L'ho già sentita diverse volte durante le partite, a fare il tifo per il suo ragazzo e per la squadra. A volte l'ho anche sentita fare il tifo per me: d'altra parte, non ha molte occasioni di festeggiare suo moroso. Non nego che in quelle poche occasioni un certo effetto me lo ha fatto.
La casa non è grande, quindi riesco a distinguere abbastanza tranquillamente i dialoghi: lui le chiede se vuole qualcosa da bere, le offre un bicchiere d'acqua, si raccontano la giornata. Poi iniziano a flirtare, a farsi dei complimenti a vicenda. Smettono temporaneamente di parlare, poi sento qualche piccola risata da parte di lei, infine lui che le propone di andare in camera.
Lei grida di sorpresa, poi sento solo i passi di lui, appesantiti, che si avvicinano a me, mentre lei ridacchia e gli dice di metterla giù. Lui esegue, mettendola sul letto, poi sento che anche il suo corpo la raggiunge. Mi immagino che la stia sovrastando, come sovrasta anche me.
Non parlano più, si sentono solo rumori di baci, al massimo qualche parola d'amore detta sotto voce. Poi dei bottoni che vengono aperti e lei che inizia a emettere dolci mugolii: mi immagino lui che le bacia il collo e scende verso i seni.
Rumore di vestiti che vengono tolti, piccole e dolci risatine, qualcosa di soffice cade per terra. I corpi rimbalzano sul letto e questa volta lei geme più rumorosamente, gli chiede di succhiarla proprio lì: mi appare in testa l'immagine di lui che si mette in bocca i suoi capezzoli, e il mio cazzo inizia ad indurirsi.
Ancora baci, ancora vestiti che vengono tolti. I suoi gemiti si fanno meno dolci e più sensuali. Ad un certo punto grida di sorpresa - ma una piacevole sorpresa. Gli dice di continuare, che è bellissimo, che la fa volare di piacere quando fa così, quando la lecca proprio lì, proprio in quel modo, così. Ho le mani troppo vicino al mio pene perché non lo prenda in mano e inizi a massaggiarmelo.
Vanno avanti così per un po' - di nuovo, è difficile quantificare il tempo quando la tua realtà consiste nei gemiti di una ragazza a cui viene leccata la figa e il tuo cazzo che pulsa fra le mani, mentre in bocca hai le mutande del moroso di lei che è anche quello che ti sta facendo ascoltare come scopa per umiliarti. Ad un certo punto, però, un corpo si rialza, con un rumoroso lamento da parte di lei, a cui lui risponde dicendo che non è ancora giunto per lei il momento di venire.
Lei ridacchia e si ristema sul letto. Poi sento una cintura che si slaccia - e per un attimo ho un flashback dell'ultimo nostro incontro e sento le frustrate sulla schiena irritarsi - e dei pantaloni che vengono abbassati. Sento molti complimenti rivolti verso il cazzo, complimenti che ricalcano quelli che dovetti fare io in doccia, costretto. Veronica deve aver subito un allenamento simile al mio.
Lei però è più collaborativa e più assertiva di me, giustamente, e gli intima di togliersi anche la maglia. Ma mentre lui esegue, lei deve aver iniziato a leccargli il cazzo, perché si sente un mugolio di piacere maschile smorzato dalla maglia che passava sulla testa. Quando anche questa cade per terra, lui ridacchia e le dà della zoccola, ma le dice anche quanto è brava a prenderlo in bocca. Lei gongola, e riprende a leccarlo o a succhiarlo - sento solo rumori umidi, ma vengono presto sovrastati dai gemiti di piacere di lui. Gemiti decisamente più forti e passionali di quelli che gli ho fatto emettere io.
A questo pensiero non riesco a sopprimere un moto di insoddisfazione. Senza accorgermene, inizio a masturbarmi, lentamente.
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Va avanti a spompinarlo per un po', facendo molto rumore con la bocca. Lui deve apprezzare particolarmente, perché i suoi versi di piacere sono forti e sinceri. La riempie anche di complimenti, facendomi provare una punta d'invidia che mi umilia ancora di più. Ad un certo punto però le dice di fermarsi, che è giunto il momento di prendersi ciò che è suo. Lei ridacchia, e sento che si ributta sul letto, ma lui le dice di rialzarsi: rischia di sbattere la testa.
Sento che lei esegue e che si appoggia proprio sullo sportello del mio armadio. Mi blocco completamente, smetto di respirare, la mano rimane a metà sega. Sono terrorizzato all'idea che lei possa scoprirmi lì, nudo, con il cazzo in mano e le mutande di suo moroso in bocca mentre li ascolto scopare. Anche lui si avvicina: le loro ombre bloccano in parte quel poco di luce che entrava dagli spiragli della porta.
"Girati."
Lei ribatte che vorrebbe guardarlo mentre scopano.
"Non voglio la tua figa, oggi."
Lei non è d'accordo, le dice che le fa male quando la prende lì, che è troppo grosso.
"Non mi interessa: girati."
Lei gli dice di no.
C'è il suono di una piccola colluttazione, le ombre si muovono velocemente, poi sento un corpo che sbatte contro la porta, facendomi sobbalzare il cuore in gola. Deve averla girata con la forza.
"Te l'ho già detto mille volte: tu sei mia e fai quello che ti dico io."
Lei cede, con voce sottomessa gli dice che va bene, ma che deve fare piano. Piano piano riprendo a segarmi, cercando di respirare il più silenziosamente possibile.
"Guarda, visto che hai ceduto subito, questa volta metto il lubrificante, va bene?"
Lei ringrazia mentre lui si allontana, apre un cassetto, poi ritorna.
"Pronta?"
Lei non risponde neanche prima di lanciare un urletto di sorpresa - almeno spero sia sorpresa, e non dolore. I primi minuti passano così: lui che le dice di rilassarsi, lei che gli dice di andare piano. Li sento aggiustare la posizione, alla ricerca dell'angolazione giusta. Alle istruzioni lei alterna lamenti di dolore, mentre lui mugolii di piacere. Poi c'è un urlo, di lei, e il suo corpo che sbatte contro la porta, facendola tremare.
"Così è tutto dentro."
Lei respira forte, poi un altro urlo, e ancora, e ancora. Il suo corpo sbatte contro la porta, il mio respiro si fa affannoso, la mia mano aumenta il ritmo. Lui inizia a gemere, a dirle quanto è brava e quanto è bella. Si sente che inizia a schiaffeggiarle il culo, con conseguenti urla di lei, e le dice che è bello carnoso.
Quando usa questa parola, la stessa che ha usato per il mio, di culo, per un istante mi ritrovo scambiato di posto con Veronica: sono io quello schiacciato contro la porta dell'armadio mentre lui mi ficca il suo grosso cazzo nel culo, con violenza. Le urla di Veronica diventano le mie, e non sono più urla di dolore, ma di piacere, di piacere animale e profondo. Sbatto gli occhi, e mi ritrovo nell'armadio, nudo e raggomitolato, con le mani e l'addome sporche di sperma.
Fuori le urla di lei sono effettivamente diventate di piacere, lui le chiede se le piace essere sgrillettata mentre la incula, lei grida di sì, di farlo più forte, più veloce. I colpi sulla porta si fanno più potenti e mentre lei urla tutto il suo godimento anche lui geme e grida il suo piacere animale. Posso solo immaginare che lui le abbia sborrato dentro il culo mentre lei veniva in questo modo.
Io però sono perso dentro alla mia vergogna: sono appena venuto nell'armadio del mio aguzzino mentre mi immaginavo di sostituirmi a sua morosa che veniva scopata nel culo. Non c'è neanche nulla che posso fare per nascondere questa onta. Posso solo lasciare che questo piccolo spazio si riempia dell'odore del mio sperma. Inizio a piangere, cercando di silenziare i singhiozzi stringendo in bocca le mutande.
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Sono talmente impegnato ad autocommiserarmi che non faccio neanche caso ai suoni che provengono da fuori. Non che siano importanti: si puliscono, vanno in bagno, si rivestono, poi si buttano sul letto a coccolarsi e a guardare una serie TV. Io sono solo a 10 cm dalle loro teste, probabilmente, ma è come se fossi a chilometri di distanza. O forse no: forse sono molto più vicino ad entrambi di quello che vorrei.
Ad un certo punto lui le dice che è meglio che vada, che i suoi saranno a casa fra poco. Lei gli chiede se può rimanere a cena, lui le risponde che è meglio di no, per questa volta. Recupereranno. Si salutano, si riempiono di parole d'amore, si baciano, poi la porta di casa si chiude.
Aspetto che lui venga a liberarmi. Non arriva neanche subito: se la prende comoda, va in bagno, manda un paio di audio dal telefono. Ma io non oso alzarmi, uscire di mia iniziativa. Non solo so che è una trappola, ma non ho neanche la forza di ammettere in che situazione sono.
Alla fine, però, lui apre la porta. La luce entra, e io mi copro gli occhi con la mano. Lo sento ridere, e posso immaginare il perché. Sono ridicolo, cazzo. Mentre gli occhi si riabituano alla luce, lui si allontana, poi ritorna e mi lancia un pacchetto di fazzoletti.
"Toh, stavolta ti sei meritato di pulirti, zoccola!"
L'ennesimo insulto, l'ennesima umiliazione, ma è diverso, questa volta, perché questa volta ha ragione: sono una zoccola. Cerco di pulirmi al meglio con un paio di fazzoletti. Mi sento però ancora sporco ed appiccicaticcio, oltre che puzzolente.
Quando finisco, mi guardo attorno cercando di capire dove posso mettere i fazzoletti prima di rimettermi a quattro zampe. Anche in questa situazione, il primo pensiero è quello di non infastidirlo sporcandogli il pavimento.
Lui mi guarda, sorride capendo la questione, e mi dice di lanciargli le sue mutande e i fazzoletti. Io eseguo, ringraziandolo pure, da brava zoccola che sono, pensando che volesse farmi un favore. Ed invece racchiude i fazzoletti con le mutande e poi me le rificca in bocca, dandomi anche un paio di schiaffetti giocosi sulla guancia. Ritrovarmi in bocca non solo i suoi sapori, ma anche quello del mio stesso sperma mi fa avere un conato di vomito. Ma ormai ho capito che questo è il mio posto, e lo controllo al meglio delle mie forze.
Lui continua a ridere mentre esco dall'armadio e mi rimetto in posizione, senza neanche aspettare un suo ordine.
"Ti è proprio piaciuto quindi, eh? Lo sapevo che sei solo una gran zoccola... Vero o no che sei una zoccola?"
Svergognato e umiliato, lo guardo torvo ma annuisco. Lui sorride e mi accarezza il viso.
"E dimmi... ti è venuta voglia o no di darmi il culo, ora? Hai sentito quanto ha goduto Vero, no? Ci è voluto un po' di convincimento, ma poi che urla, eh?"
Lo guardo, silenzioso. L'odore del mio sperma secco sul mio corpo sale fino alle mie narici e, ne sono sicuro, fino alle sue. Ripenso a ciò che ho sentito, ripenso alle scelte che ho fatto oggi. Ripenso a quel momento in cui ho sentito il mio corpo sostituirsi a quello di Veronica.
Lui fa un passo avanti, sovrastandomi, praticamente mettendomi il pacco in faccia. Mi prende il mento e mi forza a guardare in alto, verso di lui. Mi rivolge uno sguardo di ghiaccio: pretende una risposta, e può essere solo una.
"Ho detto: ora vuoi darmelo il culo o no?"
Lo guardo, in silenzio.
Poi annuisco, strusciando il viso sul suo pacco.
CW: sesso non consensuale, ingiurie pesanti (fr***o e simili)
Racconto con descrizioni lunghe e dettagliate.
Tutto quello che segue è frutto della fantasia e dell'immaginazione.
Tutti i personaggi sono maggiorenni.
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Sento il cuore che inizia a battermi forte dall'agitazione. Era andato in palpitazione già leggendo il nome del mittente, figuriamoci ora che ho ricevuto questo invito. Fisso lo schermo, finché non sento il mio compagno di banco chiamarmi:
"Oh, Ricky, ma che c'hai? Guarda che mo' la prof ti sgama se non stai attento"
Mi risveglio, lo fisso e gli dico che ha ragione. Metto via il telefono e cerco di tornare a concentrarmi su sta cazzo di letteratura italiana, ma la mia mente è completamente altrove. Ripenso a questi ultimi giorni, a come sono stato preso a sberle, sculacciato, scopato in bocca, umiliato, deriso. A come mi sono prestato a queste cose, al fatto che non ne ho parlato con nessuno.
Non c'è niente che mi obblighi ad andare da lui, questo pomeriggio. Potrei ignorare tranquillamente messaggio, far finta di non averlo visto, rispondergli stasera scusandomi. Scusandomi? Scusandomi per cosa? Per non essere sempre disponibile, per non essere al suo servizio, per non avergli ancora dato il culo?
È lui il frocio che mi vuole scopare, che mi viene in bocca, che mi insulta e mi picchia. Di che cazzo mi devo scusare? Non gli risponderò neanche: che se ne vada a fanculo. Vuole stuprarmi? Che almeno faccia la fatica di venirmi a prendere, cazzo.
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Suono il campanello di casa sua. Ho già il groppo in gola all'idea di cosa mi farà fare.
"Riccardino? Quinto piano."
Mentre aspetto che l'ascensore arrivi al piano giusto, mi rimetto in bocca le sue mutande, quelle che mi ha lasciato dopo il nostro ultimo "incontro". Non ho osato buttarle via, e neanche lavarle: le ho messe in un sacchetto chiuso e nascoste sotto il materasso. Faccio sogni strani, da allora, ma non mi dispiacciono.
Spero che mostrandomi già così sottomesso abbia pietà e non mi prenda il culo. Spero tanto anche che non mi sculacci: ho ancora i segni dall'ultima volta, dalla vergogna non posso neanche farmi la doccia a fine allenamento. Ogni volta devo sgattaiolare via subito, e ogni volta sento il suo sguardo su di me, vedo il suo sorrisino che sa il perché debba fuggire così.
Mi viene in mente troppo tardi che forse rischio che l'ascensore si fermi ad un piano ed entri qualcuno che mi veda così, con delle mutande in bocca. Ormai sono quasi arrivato: non posso fare altro che incrociare le dita e sperare.
"Ding!"
Le porte si aprono, ma non c'è nessuno, per fortuna. Esco sul pianerottolo e lo vedo sull'uscio, che mi aspetta. Appena nota le mutande in bocca sorride, compiaciuto, e io non possono non provare soddisfazione per aver avuto una buona idea.
Mi avvicino alla porta e mi fermo davanti a lui. Lui non si sposta per farmi entrare e io non posso parlare, quindi lascio che mi ispezioni con lo sguardo. Mi fa segno di girarmi, ed io ubbidisco. Percepisco il suo sguardo sul mio culo, che tanto gli piace.
"Mi fa molto piacere quest'idea delle mutande, molto bravo. Se posso permettermi, è proprio indice della tua propensione."
Mentre mi parla, mi gratta dietro ad un orecchio, come ad un cagnolino che ha fatto un trick. Sento un moto di orgoglio, anche se le sue parole mi lasciano un dubbio: propensione? A cosa?
"Devo però metterti una nuova regola: in casa mia non puoi entrare vestito e non puoi neanche entrare su due zampe."
Sento l'ormai familiare sensazione del cuore che mi sprofonda nello stomaco. Una nuova umiliazione. Neanche entrare in casa sua può essere una cosa semplice. Non basta aver obbedito all'ordine di presentarmi qua a casa sua perché possa convincermi a dargli il culo, non basta che di mia spontanea volontà sia arrivato con le sue mutande sporche già nella mia bocca. Devo anche spogliarmi e mettermi a quattro zampe, come un cane.
La mia parte razionale torna a dirmi che non c'è nessuna costrizione, che potrei andarmene e basta. È vero, probabilmente mi strattonerebbe dentro e mi picchierebbe fino a farsi ubbidire, ma almeno conserverei quel poco di orgoglio che mi è rimasto: è più onorevole farsi spezzare, che piegarsi di propria sponte.
Il mio corpo, però, ha già iniziato a spogliarsi. Non mi giro neanche, rimango a dargli le spalle. Forse per la vergogna, forse perché non ho ricevuto ordine di girarmi, e non voglio rischiare punizioni. Mi tolgo giacca, felpa e maglia, facendole cadere a terra. Rimango così a torso nudo, esponendo il mio petto glabro, il mio addome magro. Abbasso i pantaloni e le mutande, mi tolgo i calzini, raccogliendo i vestiti in un mucchietto a fianco dello zerbino.
Sento l'aria fredda del pianerotto che sbatte contro il mio cazzetto moscio, con troppi pochi peli a proteggerlo dalle temperature, mentre il calore casalingo scalda il mio culetto "carnoso", come lo definisce lui. Mi abbasso a terra, mettendomi a quattro zampe, e solo a questo punto mi giro. Tengo lo sguardo basso, verso le sue pantofole.
Lui toglie un piede dalla ciabatta, e me lo porge. Sento un forte odore maschio provenire dal calzino e storco il naso, ma capisco cosa devo fare: mi piego in avanti e glielo bacio. Solo ora si fa in parte, e mi permette di entrare in casa sua. Entro, percependo il freddo delle mattonelle sotto le mie mani e le mie ginocchia, mentre sento lui che raccoglie i miei vestiti e richiude la porta di casa dietro di me, isolandoci.
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Casa sua è molto modesta: un piccolo salotto, una cucina con un tavolo da pranzo e poi un breve corridoio su cui aprono due camere e l'unico bagno. Da dietro mi dice di andare verso il corridoio, ma appena faccio due passi sento il suo piede sul mio culo che mi spinge in basso. All'inizio faccio un po' di resistenza, ma poi cedo e mi sdraio a terra, con la pancia sul freddo pavimento.
Mi palpa il culo con il piede, sento il suo pollicione che percorre il mio solco, indugiando sul mio buchetto vergine. Dalla vergogna chiudo gli occhi: come ho fatto a ritrovarmi in questa situazione, nudo come un verme e letteralmente ai suoi piedi?
Mi calcia lievemente il bacino, indicatomi di rialzarmi. Non mi muovo, aspetto un suo ordine. E penso che apprezzi, perché sento che ne approfitta per palparmi il culo con la mano. Fa anche una cosa nuova: mi tocca il cazzo, sentendolo moscio. È la prima volta che qualcuno mi tocca lì, essendo io vergine non solo di culo. In questa situazione, però, non è qualcosa che mi piace: la percepisco come un invasione, una mano che si fa strada attraverso le mie difese per toccarmi nel luogo più intimo.
Non che abbia alzato grandi difese: rimango lì, nudo a quattro zampe in casa sua, con la testa bassa, a farmi toccare. Stringo forte le sue mutande fra i denti, sentendo il suo puzzo da uomo in bocca. Mi sento come un animale da fattoria che viene esaminato dal padrone che deve capire se può tornargli ancora utile o se lo deve mandare al macello.
Il suo, peraltro, non è un tocco gentile: palpeggia, stringe, percorre, pizzica, soppesa. Coinvolge non solo l'asta, ma anche la cappella, le palle, perfino frenulo e perineo vengono analizzati. Mormora una battuta di derisione per le dimensioni, facendomi arrossire: il suo ormai lo conosco bene, e ha ragione a umiliarmi.
Penso però di aver superato questo esame: mi dà uno schiaffo sul culo e mi dice di proseguire, aggiungendo però che devo sculettare maggiormente. L'ennesima umiliazione: non basta denudarmi, strisciare e farmi molestare, devo anche mostrarmi sensuale e disponibile, se non addirittura entusiasta. Ma nonostante questo, ubbidisco, e inizio ad ancheggiare mentre vado in avanti.
Lo sento ridacchiare dietro di me. Questo mi ferirebbe l'orgoglio, se ne avessi ancora.
Entro in camera sua mentre lui, dietro di me, accende la luce. La cameretta è piccola: un letto a castello con armadio, una scrivania con libreria, un cassettone. Mi viene in mente una delle poche cose che so su di lui: ha una sorella più grande, che va all'Università. Lo so perché lei ha frequentato il mio stesso liceo, con ottimi risultati. Lui ci ha provato, ma è stato segato al primo anno e si è spostato ad un tecnico.
I due letti non sono esattamente uno sopra l'altro, ma quello in basso è spostato un po' in avanti, in modo da lasciare spazio per un armadio incassato dietro. Lui apre questo sportello e ci lancia dentro i miei vestiti. Poi mi ordina di mettermi "in posizione". Per un attimo lo guardo senza capire, poi mi ricordo ed eseguo: in ginocchio, con la bocca aperta, mostrandogli le sue mutande. Spero che si stufi e me le tolga - anche se ho paura che le sostituirebbe con il suo cazzo. Invece non fa nulla di tutto questo, e inizia a parlarmi.
"Come ti dicevo per messaggio, penso di aver capito perché non vuoi darmi il culo, e so anche come convincerti."
Mi prende per il mento, dolcemente. Inizio ad aver paura di cosa vuole farmi.
"Hai paura che io non sappia come soddisfarti! Temi che io ti inculi e inculi e inculi e che te non ne godrai. Effettivamente con te sono stato un amante un po' egoista, ma d'altra parte, finché il cazzo ti rimane moscio non c'è neanche molto che possa fare..."
Sorride divertito. Come se lo stronzo si preocupasse per davvero dei miei orgasmi, come se non le considerasse cose da checca.
"Ma non ti preoccupare, avrai una dimostrazione pratica! Devi sapere che il giovedì pomeriggio i miei genitori sono entrambi al lavoro, quindi è il momento in cui io e Vero ne approfittiamo per scopare. Purtroppo non posso farti assistere, Vero non capirebbe, però ti do un'occasione unica: potrai ascoltare tutto ciò che succede!"
Indica l'armadio dove ha lanciato i miei vestiti. È uno spazio stretto, ma abbastanza lungo, ed effettivamente gli scaffali sono solo in fondo. Una persona ci può stare dentro, anche se sicuramente né in piedi né seduta, al massimo rannicchiata.
E quando capisco che quella persona sarò io, sbarro gli occhi, mentre il cuore inizia a battermi forte. Lo guardo in faccia, cercando di trasmettergli il mio terrore e di chiedergli pietà con gli occhi. E se riesco a trasmettere questo messaggio, la sua risposta non è comunque quella in cui speravo, anche se me la dice accarezzandomi il viso.
"Oh non ti preoccupare, non starai lì per troppo tempo! Al massimo un paio d'ore... Come ben sai, non sono uno molto veloce. In più non sarai del tutto solo, potrai ascoltarti un bello spettacolo!"
Io inizio a scuotere la testa dal terrore, ma questo gli fa scomparire il sorriso dal volto. Smette di accarezzarmi e torna a stringermi il mento, questa volta però in modo duro.
"O ci vai tu, o ti ci metto dentro io. A te la scelta."
Mi fissa con occhi cattivi. È molto serio, e io non ho scampo. Abbasso gli occhi, incapace di reggere lo sguardo. Accetto di sottomettermi a lui, che lo capisce subito e mi lascia il mento. Mi rimetto a quattro zampe ed entro in questo piccolo armadietto. A fatica mi giro per sedermi, cerco di abbracciarmi le ginocchia ma non c'è spazio neanche per questo: rimango quindi con le gambe piegate e le braccia in grembo, la schiena appoggiata agli scaffali in fondo. Ho il culo sopra i miei stessi vestiti, umiliante ma almeno me lo tengono un minimo al caldo.
Lui mi osserva da fuori mentre mi sistemo. Gli è tornato il sorriso, e non posso non sopprimere una punta di felicità per essere riuscito a farglielo tornare.
"Mi raccomando: concentrati soprattutto sui gemiti di Veronica. Mettiti nei suoi panni, pensa che il suo piacere potrebbe essere il tuo. E anche se non lo vedrai, fidati che la scoperò solo nel culo oggi."
Mi fa l'occhiolino ed inizia a chiudere la porta. Vedendo la luce diminuire il cuore riparte a battere all'impazzata, il respiro si accorcia. Lui si ferma, e per un attimo provo un briciolo di speranza.
"Ah, e mi raccomando: nessun tipo di rumore, altrimenti hai finito di vivere."
Mi guarda torvo mentre mi lancia quest'ultima minaccia, e anche quel briciolo di speranza viene spazzato via. Mentre chiude la porta, aggiunge un'ultima cosa.
"Però, non ti far problemi a segarti se ti ecciti. Ti concedo volentieri questo orgasmo."
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Non so quanto tempo passi prima di sentire il campanello suonare. L'unica cosa che mi tiene compagnia sono il mio respiro e una sottile lama di luce che proviene dal bordo inferiore dello sportello di questo piccolo armadio dove sono stato costretto a rannicchiarmi, nudo e deriso. In tutto questo tempo non mi viene neanche in mente né di mettermi addosso dei vestiti, né di togliermi le sue mutande dalla bocca. Rimango qui, al freddo e con in bocca il sapore del suo sudore e dei suoi liquidi, al quale ormai - è terrificante dirlo - sono abituato.
Sento in lontananza delle voci: una maschile, la sua, e una femminile, quella di sua morosa. L'ho già sentita diverse volte durante le partite, a fare il tifo per il suo ragazzo e per la squadra. A volte l'ho anche sentita fare il tifo per me: d'altra parte, non ha molte occasioni di festeggiare suo moroso. Non nego che in quelle poche occasioni un certo effetto me lo ha fatto.
La casa non è grande, quindi riesco a distinguere abbastanza tranquillamente i dialoghi: lui le chiede se vuole qualcosa da bere, le offre un bicchiere d'acqua, si raccontano la giornata. Poi iniziano a flirtare, a farsi dei complimenti a vicenda. Smettono temporaneamente di parlare, poi sento qualche piccola risata da parte di lei, infine lui che le propone di andare in camera.
Lei grida di sorpresa, poi sento solo i passi di lui, appesantiti, che si avvicinano a me, mentre lei ridacchia e gli dice di metterla giù. Lui esegue, mettendola sul letto, poi sento che anche il suo corpo la raggiunge. Mi immagino che la stia sovrastando, come sovrasta anche me.
Non parlano più, si sentono solo rumori di baci, al massimo qualche parola d'amore detta sotto voce. Poi dei bottoni che vengono aperti e lei che inizia a emettere dolci mugolii: mi immagino lui che le bacia il collo e scende verso i seni.
Rumore di vestiti che vengono tolti, piccole e dolci risatine, qualcosa di soffice cade per terra. I corpi rimbalzano sul letto e questa volta lei geme più rumorosamente, gli chiede di succhiarla proprio lì: mi appare in testa l'immagine di lui che si mette in bocca i suoi capezzoli, e il mio cazzo inizia ad indurirsi.
Ancora baci, ancora vestiti che vengono tolti. I suoi gemiti si fanno meno dolci e più sensuali. Ad un certo punto grida di sorpresa - ma una piacevole sorpresa. Gli dice di continuare, che è bellissimo, che la fa volare di piacere quando fa così, quando la lecca proprio lì, proprio in quel modo, così. Ho le mani troppo vicino al mio pene perché non lo prenda in mano e inizi a massaggiarmelo.
Vanno avanti così per un po' - di nuovo, è difficile quantificare il tempo quando la tua realtà consiste nei gemiti di una ragazza a cui viene leccata la figa e il tuo cazzo che pulsa fra le mani, mentre in bocca hai le mutande del moroso di lei che è anche quello che ti sta facendo ascoltare come scopa per umiliarti. Ad un certo punto, però, un corpo si rialza, con un rumoroso lamento da parte di lei, a cui lui risponde dicendo che non è ancora giunto per lei il momento di venire.
Lei ridacchia e si ristema sul letto. Poi sento una cintura che si slaccia - e per un attimo ho un flashback dell'ultimo nostro incontro e sento le frustrate sulla schiena irritarsi - e dei pantaloni che vengono abbassati. Sento molti complimenti rivolti verso il cazzo, complimenti che ricalcano quelli che dovetti fare io in doccia, costretto. Veronica deve aver subito un allenamento simile al mio.
Lei però è più collaborativa e più assertiva di me, giustamente, e gli intima di togliersi anche la maglia. Ma mentre lui esegue, lei deve aver iniziato a leccargli il cazzo, perché si sente un mugolio di piacere maschile smorzato dalla maglia che passava sulla testa. Quando anche questa cade per terra, lui ridacchia e le dà della zoccola, ma le dice anche quanto è brava a prenderlo in bocca. Lei gongola, e riprende a leccarlo o a succhiarlo - sento solo rumori umidi, ma vengono presto sovrastati dai gemiti di piacere di lui. Gemiti decisamente più forti e passionali di quelli che gli ho fatto emettere io.
A questo pensiero non riesco a sopprimere un moto di insoddisfazione. Senza accorgermene, inizio a masturbarmi, lentamente.
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Va avanti a spompinarlo per un po', facendo molto rumore con la bocca. Lui deve apprezzare particolarmente, perché i suoi versi di piacere sono forti e sinceri. La riempie anche di complimenti, facendomi provare una punta d'invidia che mi umilia ancora di più. Ad un certo punto però le dice di fermarsi, che è giunto il momento di prendersi ciò che è suo. Lei ridacchia, e sento che si ributta sul letto, ma lui le dice di rialzarsi: rischia di sbattere la testa.
Sento che lei esegue e che si appoggia proprio sullo sportello del mio armadio. Mi blocco completamente, smetto di respirare, la mano rimane a metà sega. Sono terrorizzato all'idea che lei possa scoprirmi lì, nudo, con il cazzo in mano e le mutande di suo moroso in bocca mentre li ascolto scopare. Anche lui si avvicina: le loro ombre bloccano in parte quel poco di luce che entrava dagli spiragli della porta.
"Girati."
Lei ribatte che vorrebbe guardarlo mentre scopano.
"Non voglio la tua figa, oggi."
Lei non è d'accordo, le dice che le fa male quando la prende lì, che è troppo grosso.
"Non mi interessa: girati."
Lei gli dice di no.
C'è il suono di una piccola colluttazione, le ombre si muovono velocemente, poi sento un corpo che sbatte contro la porta, facendomi sobbalzare il cuore in gola. Deve averla girata con la forza.
"Te l'ho già detto mille volte: tu sei mia e fai quello che ti dico io."
Lei cede, con voce sottomessa gli dice che va bene, ma che deve fare piano. Piano piano riprendo a segarmi, cercando di respirare il più silenziosamente possibile.
"Guarda, visto che hai ceduto subito, questa volta metto il lubrificante, va bene?"
Lei ringrazia mentre lui si allontana, apre un cassetto, poi ritorna.
"Pronta?"
Lei non risponde neanche prima di lanciare un urletto di sorpresa - almeno spero sia sorpresa, e non dolore. I primi minuti passano così: lui che le dice di rilassarsi, lei che gli dice di andare piano. Li sento aggiustare la posizione, alla ricerca dell'angolazione giusta. Alle istruzioni lei alterna lamenti di dolore, mentre lui mugolii di piacere. Poi c'è un urlo, di lei, e il suo corpo che sbatte contro la porta, facendola tremare.
"Così è tutto dentro."
Lei respira forte, poi un altro urlo, e ancora, e ancora. Il suo corpo sbatte contro la porta, il mio respiro si fa affannoso, la mia mano aumenta il ritmo. Lui inizia a gemere, a dirle quanto è brava e quanto è bella. Si sente che inizia a schiaffeggiarle il culo, con conseguenti urla di lei, e le dice che è bello carnoso.
Quando usa questa parola, la stessa che ha usato per il mio, di culo, per un istante mi ritrovo scambiato di posto con Veronica: sono io quello schiacciato contro la porta dell'armadio mentre lui mi ficca il suo grosso cazzo nel culo, con violenza. Le urla di Veronica diventano le mie, e non sono più urla di dolore, ma di piacere, di piacere animale e profondo. Sbatto gli occhi, e mi ritrovo nell'armadio, nudo e raggomitolato, con le mani e l'addome sporche di sperma.
Fuori le urla di lei sono effettivamente diventate di piacere, lui le chiede se le piace essere sgrillettata mentre la incula, lei grida di sì, di farlo più forte, più veloce. I colpi sulla porta si fanno più potenti e mentre lei urla tutto il suo godimento anche lui geme e grida il suo piacere animale. Posso solo immaginare che lui le abbia sborrato dentro il culo mentre lei veniva in questo modo.
Io però sono perso dentro alla mia vergogna: sono appena venuto nell'armadio del mio aguzzino mentre mi immaginavo di sostituirmi a sua morosa che veniva scopata nel culo. Non c'è neanche nulla che posso fare per nascondere questa onta. Posso solo lasciare che questo piccolo spazio si riempia dell'odore del mio sperma. Inizio a piangere, cercando di silenziare i singhiozzi stringendo in bocca le mutande.
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Sono talmente impegnato ad autocommiserarmi che non faccio neanche caso ai suoni che provengono da fuori. Non che siano importanti: si puliscono, vanno in bagno, si rivestono, poi si buttano sul letto a coccolarsi e a guardare una serie TV. Io sono solo a 10 cm dalle loro teste, probabilmente, ma è come se fossi a chilometri di distanza. O forse no: forse sono molto più vicino ad entrambi di quello che vorrei.
Ad un certo punto lui le dice che è meglio che vada, che i suoi saranno a casa fra poco. Lei gli chiede se può rimanere a cena, lui le risponde che è meglio di no, per questa volta. Recupereranno. Si salutano, si riempiono di parole d'amore, si baciano, poi la porta di casa si chiude.
Aspetto che lui venga a liberarmi. Non arriva neanche subito: se la prende comoda, va in bagno, manda un paio di audio dal telefono. Ma io non oso alzarmi, uscire di mia iniziativa. Non solo so che è una trappola, ma non ho neanche la forza di ammettere in che situazione sono.
Alla fine, però, lui apre la porta. La luce entra, e io mi copro gli occhi con la mano. Lo sento ridere, e posso immaginare il perché. Sono ridicolo, cazzo. Mentre gli occhi si riabituano alla luce, lui si allontana, poi ritorna e mi lancia un pacchetto di fazzoletti.
"Toh, stavolta ti sei meritato di pulirti, zoccola!"
L'ennesimo insulto, l'ennesima umiliazione, ma è diverso, questa volta, perché questa volta ha ragione: sono una zoccola. Cerco di pulirmi al meglio con un paio di fazzoletti. Mi sento però ancora sporco ed appiccicaticcio, oltre che puzzolente.
Quando finisco, mi guardo attorno cercando di capire dove posso mettere i fazzoletti prima di rimettermi a quattro zampe. Anche in questa situazione, il primo pensiero è quello di non infastidirlo sporcandogli il pavimento.
Lui mi guarda, sorride capendo la questione, e mi dice di lanciargli le sue mutande e i fazzoletti. Io eseguo, ringraziandolo pure, da brava zoccola che sono, pensando che volesse farmi un favore. Ed invece racchiude i fazzoletti con le mutande e poi me le rificca in bocca, dandomi anche un paio di schiaffetti giocosi sulla guancia. Ritrovarmi in bocca non solo i suoi sapori, ma anche quello del mio stesso sperma mi fa avere un conato di vomito. Ma ormai ho capito che questo è il mio posto, e lo controllo al meglio delle mie forze.
Lui continua a ridere mentre esco dall'armadio e mi rimetto in posizione, senza neanche aspettare un suo ordine.
"Ti è proprio piaciuto quindi, eh? Lo sapevo che sei solo una gran zoccola... Vero o no che sei una zoccola?"
Svergognato e umiliato, lo guardo torvo ma annuisco. Lui sorride e mi accarezza il viso.
"E dimmi... ti è venuta voglia o no di darmi il culo, ora? Hai sentito quanto ha goduto Vero, no? Ci è voluto un po' di convincimento, ma poi che urla, eh?"
Lo guardo, silenzioso. L'odore del mio sperma secco sul mio corpo sale fino alle mie narici e, ne sono sicuro, fino alle sue. Ripenso a ciò che ho sentito, ripenso alle scelte che ho fatto oggi. Ripenso a quel momento in cui ho sentito il mio corpo sostituirsi a quello di Veronica.
Lui fa un passo avanti, sovrastandomi, praticamente mettendomi il pacco in faccia. Mi prende il mento e mi forza a guardare in alto, verso di lui. Mi rivolge uno sguardo di ghiaccio: pretende una risposta, e può essere solo una.
"Ho detto: ora vuoi darmelo il culo o no?"
Lo guardo, in silenzio.
Poi annuisco, strusciando il viso sul suo pacco.
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