Riccardino - 2: In trasferta

di
genere
gay

Genere: Gay (in parte bisex), Dominazione (dalla parte del dom)
CW: sesso non consensuale, ingiurie pesanti (fr***o e simili)
Racconto con descrizioni lunghe e dettagliate.
Tutto quello che segue è frutto della fantasia e dell'immaginazione.
Tutti i personaggi sono maggiorenni.

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È infine arrivata. La classica partita prima vs seconda a fine del girone d'andata. Chi vince sarà in rampa di lancio per la vittoria finale. Siamo a metà del secondo quarto, e io sono già incazzato.

Mia morosa, Veronica, è sugli spalti, e questa volta si è portata dietro pure Giulia, che non vedo da quando le ho preso il culo. Ed infatti mentre Vero mi guarda e mi manda i bacini, Giulia guarda in qualsiasi direzione tranne che verso di me. O dovrei dire verso la panchina.

Questo perché, ovviamente, il mister non mi ha ancora messo dentro. Probabilmente manco lo farà, lo stronzo. E ha ragione: è una partita troppo importante per metterla nelle mie mani. È molto più sensato fidarsi invece del nostro play-maker, Riccardino.

Ignoro le occhiate d'amore di Vero e fisso Riccardino. In mezzo ad altri nove giocatori più grandi e grossi di lui lo si intravede appena, ma appena ha la palla in mano il palazzetto si accende. È come se stesse giocando un gioco diverso da tutti gli altri, come se vedesse una partita diversa da noi. In un istante riceve il pallone ed effettua un passaggio no-look che taglia il campo per un assist perfetto.

Tutta la panchina si alza dall'ammirazione. Io pure li seguo, ma davanti agli occhi vedo solo Riccardino che mi succhia il cazzo venerdì, sotto le docce. Mentre si riposiziona in difesa ripenso a lui che si rialza dopo che gli ho mollato un ceffone per non essere riuscito ad ingoiare tutta la mia sborra: mi ha pure chiesto scusa prima di uscire.

Quando sono tornato negli spogliatoi, dopo la doccia, era già andato via, e non l'ho più visto fino ad oggi prima della partita. Mi sono seduto vicino a lui in spogliatoio e mentre ci cambiavamo gli ho sussurrato che il suo culo era ancora bellissimo. Lui è arrossito e non ha detto niente, poi è uscito velocemente e durante il riscaldamento mi è stato distante.

Lo osservo mentre marca un avversario. Mi sta dando le spalle, quindi posso osservargli il culetto. I pantaloncini da basket non sono particolarmente attillati, ma non riescono comunque a nascondere quanto sporga il suo culo rispetto al resto del corpo. Stringo la mano con cui glielo palpai, e risento quella splendida consistenza, carnosa ma soda allo stesso tempo.

Con la coda dell'occhio vedo Vero che si sbraccia per attirare la mia attenzione, e da lontano le mando un bacino. Lei è molto felice, quella stronza di Giulia sbuffa.

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È l'ultimo quarto, mancano due minuti, e siamo sotto di 5. Il mister, dopo avermi messo per parte del terzo quarto, decide di concedermi questi ultimi momenti. Sa che con gli avversari stanchi la mia stazza da "centro" può aiutare. Mi piazzo al limite dell'area dei tre secondi e inizio a fare ciò che so fare meglio: fare blocco sugli avversari, muovermi e creare spazio per i miei avversari.

La mossa del mister funziona, io eseguo bene le istruzioni e riusciamo a rimontare e superare: 64-63 con 30 secondi da giocare, possesso loro. Manovrano in velocità, il pallone va da una parte all'altra, l'ala piccola taglia, la seguo ma così facendo lascio libera la loro guardia di entrare, ricevere e segnare. Cazzo.

Con soli 15 secondi rimasti, siamo un punto sotto. Il mister chiama time-out, ci spiega lo schema: possesso veloce, guardia e ala grande tagliano a svuotare l'area, io mi smarco e ricevo dal play. Guardo Riccardino negli occhi, e annuisco, concentrato. Lui ricambia il cenno d'intesa, e torniamo in campo.

La partita riparte, ed in velocità eseguiamo lo schema: arriviamo nei pressi dell'area, giro palla fino all'ala piccola, guardia e ala grande tagliano, Riccardino riceve palla, mi smarco e sono totalmente solo, pronto per andare a canestro in libertà. Riccardino mi guarda, finta il passaggio mandando a vuoto il suo marcatore, step-back, salto e tiro da tre. Una palombella perfetta che finisce nel canestro senza neanche toccare il ferro. Ciuffo, si dice dalle mia parti.

Il palazzetto esplode, la nostra panchina è tutta in piedi. In campo cerchiamo di rimanere concentrati: mancano ancora due secondi sul tabellone. Ma non li facciamo neanche arrivare a metà campo: vinciamo noi. Alla sirena tutta la squadra si lancia verso Riccardino, viene preso in braccio e portato in trionfo. Io lo guardo da lontano, con le braccia sulle ginocchia, come se fossi stanco. Ma non lo sono. Sono solo profondamente incazzato.

Mentre la squadra festeggia, mi si avvicina Veronica. Lei ovviamente non ha capito un cazzo di quello che è successo, quindi mi fa i complimenti, mi dice quanto ho giocato bene, che devo essere proprio felice. Io la abbraccio, la ringrazio, le palpo il culo e le dico che vorrei festeggiare subito con lei, come siamo soliti fare: la sua figa è la valvola di sfogo per le mie frustrazioni, e più sono frustrato più duramente la scopo, anche a costo di farle male.

Veronica però mi dice che è già d'accordo di andare a casa di Giulia, che è molto dispiaciuta e che le farebbe tanto piacere ma che possiamo recuperare in un altro momento, magari quando sono un po' più calmo. Sta zoccola. Lei, e quella stronza di Giulia che deve ricomparire solo per rovinarmi i piani. Puttane. La bacio e le dico che non c'è problema, che ci rifaremo. Un velo di paura le attraversa il viso, e la cosa mi soddisfa: deve stare attenta a non farsi troppo furba.

La lascio andare e mi avvicino alla squadra, che sta ancora festeggiando Riccardino. Mi unisco anche io, gli scompiglio la zazzera, gli dico bravo. Lui mi guarda, sorridente, ma anche in lui vedo la paura, la stessa che ho visto in Veronica. Sa di aver fatto una cazzata.

Il mister ci richiama all'ordine, ci fa il discorso di fine partita e poi ci manda sotto le docce. Ci avviamo verso gli spogliatoi cantando e urlando, mentre gli avversari ci osservano invidiosi. Mi siedo sulla panca, vicino a Riccardino. Mi chino verso di lui e gli sussurro:

"Te ora ti inventi una scusa per cui devi venire via subito con me. Chiaro?"

Lui mi fissa, con il terrore negli occhi. A quella vista il mio cazzo inizia già a reagire.

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In macchina c'è puzza di sudore, di rabbia - la mia - e di paura - la sua. Guido in modo scattoso per le strade della cittadina, mi dirigo verso la campagna. I miei nonni hanno un campo e c'è un sentierino che lo costeggia che finisce in mezzo ad un boschetto. Non ci va mai nessuno, se non io quando voglio scopare con qualcuno, solitamente Veronica. È anche abbastanza isolato che anche gridando non ci sente nessuno: pure gli alberi e gli arbusti aiutano a schermare i suoni.

E Riccardino lo voglio far gridare. Dio se voglio che gridi. Era il mio momento di gloria, e questo marmocchio me lo ha rubato. Lo schema era chiaro, tutto organizzato perché io potessi segnare il canestro della vittoria sulla sirena. E invece no, lo stronzetto ha deciso che preferiva fare l'egoista. Magari era pure in combutta con il mister: quest'ultimo mi ha creato le aspettative, quell'altro me le ha distrutte.

Dalla rabbia mi formicolano le mani. Ne stacco una dal volante e inizio a chiuderla e a riaprirla. Intanto lancio un'occhiataccia a Riccardino, seduto in fianco a me. Lui non la vede neanche: guarda fisso fuori dal finestrino. È proprio un bel ragazzo: i capelli mori scompigliati, gli occhi scuri e profondi, il viso tondo e carino, sbarbato. Il cazzo torna ad agitarsi nelle mutande.

Torno a guardare avanti, e mentre cambio marcia gli dico:

"Vedi di ingoiare tutto oggi".

Con la coda dell'occhio lo vedo che si gira di scatto, mi fissa, e deglutisce.

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"Scendi".

Siamo arrivati in questo sprazzo circondati da alberelli e arbusti, dove la strada sterrata si ferma. Se qualcuno si mettesse a cercare fra la polvere, troverebbe alcuni dei miei preservativi, quelle poche volte che mi sono fatto convincere ad usarli. O quell'unica volta che l'ho preso nel culo e non volevo rischiare malattie. Scuoto la testa.

"Appoggiati con le braccia al cofano e spingi in fuori il culo".

Riccardino mi guarda spaventato. Pensava che con un altro pompino se la sarebbe cavata. E me lo dice, mi chiede di lasciarlo stare, mi chiede di succhiarmi il cazzo. Sta roba mi eccita non poco, e glielo dico: se non vuole che lo inculi, deve pregarmi. Lui mi guarda con una nota di speranza, e allora si inginocchia davanti a me. Indossiamo ancora i pantaloncini, quindi le ginocchia nude finiscono sullo sterrato: posso solo immaginare la sensazione dei sassolini che si conficcano nella pelle. Ma lui non si lamenta, anzi: mi guarda implorante.

"Ti prego, non incularmi. Ti scongiuro, mi farebbe troppo male. Fammi succhiare il tuo cazzo, ti prego. Ti prometto che sarò più bravo, che riuscirò ad ingoiare tutto. Te lo chiedo come favore per me, fammelo succhiare"

Che belle parole. Me le sono già sentite dire da ragazze e da frocetti, ma erano sempre sinceri. Lui è il primo che me le dice con la voce tremante di paura, e questa cosa mi fa indurire il cazzo. Mi avvicino a lui, sovrastrandolo, gli prendo la faccia e gliela struscio sul mio pacco. Da sopra i pantaloni sente la mia grossezza, la mia durezza. Glielo strofino sul naso, sulle guance, sulle labbra. Lo vedo che fa smorfie di disgusto, che chiude gli occhi schifato, e la mia eccitazione cresce ancora di più.

Faccio un passo indietro e lo guardo, con aria torva. Lui mi fissa un attimo, poi si ricorda. Tremante e incerto, apre la bocca e tira fuori la lingua. Gli sorrido, e vedo che si rassicura. Faccio un nuovo passo in avanti, gli prendo il mento, gli spingo la testa all'indietro e lascio cadere un rivolo di saliva dentro la bocca, che lui ingoia senza che gli debba dire nulla. Poi mi allontano nuovamente.

"Va bene"

Sorride, genuinamente felice - di aver salvato ancora una volta la sua verginità anale, non di dovermi spompinare, chiaramente.

"Ma sistemati comunque come ti ho detto prima".

Il sorriso scompare, e mi guarda confuso. Fa per fare una domanda, ma capisce che non è il caso, anche perché io, senza aspettarlo, ho già aperto il bagagliaio e sto frugando nel mio borsone da basket. Lui allora si alza - sbircio, e vedo tutte le ginocchia rosse, con sassolini nelle pieghe della pelle - e da solo si posiziona come gli ho detto: a 90 appoggiato sul cofano della macchina.

Dal mio borsone recupero la cintura e la reggo dietro la schiena, così che lui non la veda. Poi mi avvio, lentamente, dietro di lui. Riccardino inizia a girare la testa per seguirmi, ma gli intimo di guardare fisso in avanti, e lui eseguo. Piego la cintura in due, e mi preparo.

"Ora, conta e ringrazia, mi raccomando"

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La prima frustrata è forte, sì, ma è ancora sopra pantaloncini e mutande. Risuona comunque forte nella piccola radura, ma ancora più forte è l'urlo di Riccardino. È più shock che dolore, ma il mio cazzo reagisce comunque ingrossandosi. Riccardino si gira verso di me, terrorizzato e confuso, ma io mi limito a guardarlo torvo, aspettando. Lui vede che in me non c'è empatia, non c'è comprensione, c'è solo rabbia e voglia di sfogare tutta la mia insofferenza su di lui. Allora abbassa la testa, chiude gli occhi per ricacciare indietro le lacrime, torna a guardare in avanti, e dice:

"Uno. Grazie".

Sorrido. Che troia.

"Due, grazie. Tre, grazie. Quattro, grazie. C-cinque, grazie".

Ad ogni schiocco che risuona segue immediatamente un urlo, che però Riccardino cerca di soffocare. Forse è vergogna, forse è paura che non mi piaccia. In ogni caso, apprezzo. Quando lo sento esitare sulla quinta, mi fermo un attimo e gli faccio una domanda:

"Sai perché ti sto punendo? Sai qual è stato il tuo errore?"

Lui non ha il coraggio di guardarmi, tiene gli occhi chiusi, anche se le lacrime gli rigano il viso comunque. Non ha neanche il coraggio di rispondermi: annuisce e basta.

"Dimmelo, allora".

"Avrei dovuto passarti la palla. Ti ho rubato il momento".

"Bravo".

Riprendo a frustrarlo, e lui riprende a contare. Solo dai suoi urli mi accorgo di starlo punendo con sempre maggior forza: quando arriviamo a dieci inizio ad avere il fiato corto.

"Abbassati i pantaloni".

Di nuovo uno sguardo di paura, nascosta fra le lacrime, e di nuovo l'ubbidienza all'ordine. Che cazzo di culo si ritrova sto ragazzo: le mutandine bianche quasi faticano ad arrivare fino in fondo alla sfera tanto è prorompente e carnoso. Rialzo il braccio.

"Ti prego... fai più piano, per favore..."

Sento la rabbia in corpo, il braccio inizia a tremare. Lo guardo incattivito, e poi abbasso il braccio, mirando alla schiena. Riccardino urla, questa volta soprattutto dal dolore. Inizio a parlare, intervallando ogni parola con una frustrata.

"Chi [sciac] cazzo [sciac] ti [sciac] ha [sciac] detto [sciac] che [sciac] potevi [sciac] parlare??"

Riccardino si dimena, cerca di spostare la schiena per attutire i colpi, ma non si sposta, non fugge. Rimane lì a subire la mia rabbia. Solo l'ultimo colpo quasi lo manca, al che mi avvicino e gli metto una mano sulla schiena, calda, per tenerlo fermo. Sento il convulsi del petto mentre inizia a singhiozzare. Questa cosa mi eccita ancor di più, ma sento anche la rabbia montare, e inizio a frustrargli il culetto con cattiveria. Non mi interessa neanche più che conti e ringrazi: quello era per umiliarlo, per sottometterlo.

Ora voglio solo fargli male.

Senza accorgermene, inizio anche a parlargli, mentre lo frustro con violenza.

"Chi cazzo credi di essere, a dirmi cosa posso o non posso fare? Tu devi fare quello che ti dico io! Darmi il culo, succhiarmi il cazzo, farti frustrare, passarmi [sciac] la [sciac] cazzo [sciac] di [sciac] palla!"

L'avrò frustrato almeno venti volte, vedo le chiappe che stanno diventando viola. Riccardino non urla neanche ad ogni colpo, ha iniziato a ululare in maniera continua, piangendo a dirotto e singhiozzando.

Questo rumore mi infastidisce, quindi mi tolgo i pantaloncini e le mutande, facendo svettare il mio grosso cazzo duro all'aria, prendo quest'ultime e gliele ficco in bocca. Ma non sono ancora contento, sento di dover dire ancora delle cose - non so se a lui, all'aria o a me stesso. Quindi lo prendo, lo giro con le spalle sul cofano, e con una mano inizio a strozzarlo mentre con l'altra lo prendo a schiaffi sul petto, sulle braccia, in faccia.

"Come cazzo ti permetti a essere più bravo di me? Io dovrei avere il tuo talento, io! E sai perché?! Perché hai fatto la cazzo di scelta giusta a tirare tu! Io avrei sbagliato e avremmo perso! Hai avuto ragione tu!"

Mi blocco. Sento le guance bagnate - quando ho iniziato a piangere? Riccardino mi guarda implorante, sta soffocando. Gli lascio il collo e faccio un passo indietro, guardandolo sconvolto mentre lui cade a terra a tossire, facendo cadere le mie mutande. Ha le guance arrossate dalle botte, domani petto e braccia saranno piene di lividi.

"Sai quanto cazzo ti invidio? Quanto cazzo invidio Veronica, e Giulia, e tutte le persone che mi succhiano il cazzo? Voi avete tutto, i soldi, il talento, le amicizie vere. Io non ho un cazzo di niente. Tranne quando vi scopo: allora io ho tutto, e voi non avete niente".

Mi scappa un singhiozzo, nonostante cercassi di trattenerlo. Mi vergogna forse più questo di quello che sto dicendo: tanto, chi gli crederà mai? Sono io il figo della squadra, della scuola. Poco importa ciò che non ho, io ho quello che importa davvero, il potere sugli altri. Incluso Riccardino. Lo guardo.

Lui ricambia il mio sguardo, accasciato a terra, fra la terra e la polvere. Per la prima volta, non so leggere le emozioni nei suoi occhi. Non ho proprio idea di cosa farà.

Riccardino mi guarda, poi si rialza. Raccoglie le mie mutande da per terra, sporche di sudore, piscio, polvere, e se le rimette in bocca. Poi si rimette a 90° sul cofano, allungando le braccia e guardando fisso davanti a sé, pronto.

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In macchina, ora che lo sto riportando a casa, c'è ancora puzza di sudore. Si è anche aggiunto un altro odore: quello di sperma. Dopo averlo frustrato con la cintura sul culo nudo, infatti, ero talmente eccitato che non me lo sono neanche fatto succhiare: lo trascinato con i capelli per terra, in ginocchio, e mi sono segato fino ad esplodergli in faccia e fra i capelli, urlandogli contro che era la mia zoccola.
Gli ho anche impedito di pulirsi, ed è questa la causa dell'odore: il mio sperma secco sul suo viso e fra i suoi capelli. In bocca ha ancora le mie mutande, penso che gliele lascerò come ricordo.
In compenso, in macchina non si sente più né la mia rabbia, né la sua paura.
scritto il
2025-07-27
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