Il rifugio
di
OMBRE
genere
sentimentali
La casa era lì, immersa nel rumore della pioggia, isolata dal mondo.
Pareti scrostate, finestre rotte, vecchi mobili coperti di polvere e silenzi.
Fuori, la tempesta.
Dentro, solo loro.
Non servivano parole.
Lui era lì, davanti a lei, con quel sorriso lento che la faceva tremare più del tuono.
Le si avvicinò senza fretta, come se ogni passo fosse una decisione.
Lei restò immobile, con il cuore che batteva forte.
Non aveva bisogno di toccarla per farle perdere l’equilibrio.
Bastava quello sguardo.
La mano di lui si alzò.
Non per afferrarla, ma per sfiorarle una ciocca di capelli bagnata che le cadeva sul viso.
Il tocco fu leggero, quasi irreale.
Ma bastò a farle chiudere gli occhi.
«Sei qui?» sussurrò lei, senza aprirli.
«Più di quanto pensi.»
La sua voce era profonda, bassa, calda come la pelle sotto le sue dita.
Lui le prese la mano e la guidò verso una vecchia cassapanca di legno.
Si sedettero.
La pioggia continuava a cadere, il tetto lasciava filtrare gocce lente, rumorose.
Eppure, in quel momento, sembrava che il mondo si fosse ritirato altrove.
Le sue labbra sfiorarono il collo di lei, poi l’orecchio, poi la spalla nuda.
Non c’era fretta.
Solo desiderio che cresceva, lento, pieno, maturo.
Le sue mani percorrevano la pelle come se avesse tutto il tempo del mondo.
E forse, lì dentro, lo avevano davvero.
Nessuno da aspettare. Nessuno da temere.
Solo pelle, respiro e mente.
Lei lo guardava. Ogni tanto chiudeva gli occhi, ma poi li riapriva, perché non voleva perdersi nemmeno un dettaglio.
Voleva vedere ogni sua espressione, ogni movimento delle mani, della bocca.
Il legno scricchiolava sotto di loro.
La pioggia batteva più forte.
Ma dentro quella casa abbandonata, il tempo si era fermato.
Erano due corpi che si cercavano come se si appartenessero da sempre.
Come se quel posto, decadente e vuoto, fosse stato costruito solo per loro.
Un luogo nato per contenere il desiderio.
Per proteggerlo.
Per non doverlo spiegare.
E quando lei si abbandonò tra le sue braccia, la mente non pensò più.
Sapeva solo che lì, in quel momento, non mancava nulla.
Né parole, né calore, né lui.
Solo il battito del cuore.
Solo quel respiro condiviso.
Solo quella realtà inventata,
così perfetta da sembrare vera.
Pareti scrostate, finestre rotte, vecchi mobili coperti di polvere e silenzi.
Fuori, la tempesta.
Dentro, solo loro.
Non servivano parole.
Lui era lì, davanti a lei, con quel sorriso lento che la faceva tremare più del tuono.
Le si avvicinò senza fretta, come se ogni passo fosse una decisione.
Lei restò immobile, con il cuore che batteva forte.
Non aveva bisogno di toccarla per farle perdere l’equilibrio.
Bastava quello sguardo.
La mano di lui si alzò.
Non per afferrarla, ma per sfiorarle una ciocca di capelli bagnata che le cadeva sul viso.
Il tocco fu leggero, quasi irreale.
Ma bastò a farle chiudere gli occhi.
«Sei qui?» sussurrò lei, senza aprirli.
«Più di quanto pensi.»
La sua voce era profonda, bassa, calda come la pelle sotto le sue dita.
Lui le prese la mano e la guidò verso una vecchia cassapanca di legno.
Si sedettero.
La pioggia continuava a cadere, il tetto lasciava filtrare gocce lente, rumorose.
Eppure, in quel momento, sembrava che il mondo si fosse ritirato altrove.
Le sue labbra sfiorarono il collo di lei, poi l’orecchio, poi la spalla nuda.
Non c’era fretta.
Solo desiderio che cresceva, lento, pieno, maturo.
Le sue mani percorrevano la pelle come se avesse tutto il tempo del mondo.
E forse, lì dentro, lo avevano davvero.
Nessuno da aspettare. Nessuno da temere.
Solo pelle, respiro e mente.
Lei lo guardava. Ogni tanto chiudeva gli occhi, ma poi li riapriva, perché non voleva perdersi nemmeno un dettaglio.
Voleva vedere ogni sua espressione, ogni movimento delle mani, della bocca.
Il legno scricchiolava sotto di loro.
La pioggia batteva più forte.
Ma dentro quella casa abbandonata, il tempo si era fermato.
Erano due corpi che si cercavano come se si appartenessero da sempre.
Come se quel posto, decadente e vuoto, fosse stato costruito solo per loro.
Un luogo nato per contenere il desiderio.
Per proteggerlo.
Per non doverlo spiegare.
E quando lei si abbandonò tra le sue braccia, la mente non pensò più.
Sapeva solo che lì, in quel momento, non mancava nulla.
Né parole, né calore, né lui.
Solo il battito del cuore.
Solo quel respiro condiviso.
Solo quella realtà inventata,
così perfetta da sembrare vera.
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