Nostalgia dalmatica

di
genere
etero

Nostalgia dalmatica

L’avevo notata sulla spiaggia e spiaggia (sassosa, come tutte le spiagge jugo) insieme alla madre e alla sorellina. Era una ragazzona robusta, con begli occhi e spalle squadrate, quindi sportiva, non abbondante di seno. L’avrei sicuramente ritrovata la sera al dancing, in realtà poco più che uno spiazzo accanto all’albergo. L’orchestrina suonava le solite canzoni nello stile antiquato che piace all’Est e i tavoli del vicino bar erano popolati sia da famiglie con bambini che da giovani coppie. Se cercavo il rimorchio avevo sbagliato ambiente, le isole non sono mai frequentate come la costa, ma ormai la tenda l’avevo piazzata nel vicino campeggio e la sera andavo nella zona degli alberghi, dove c’era più vita. Questa era la Jugoslavia degli anni 70 e 80, buona per vacanze spartane. Pochi i contatti con gli slavi, sempre un po’ chiusi, migliori quelli con gli altri turisti: tedeschi, austriaci, olandesi. Pochi gli italiani – era giugno – i quali le ferie le prendono sempre a luglio e agosto. Dipende anche dai calendari scolastici ed io ero all’epoca un singolo, ben lieto di trovare prezzi più bassi e fare un favore ai colleghi con famiglia. Non esisteva ancora una Croazia indipendente e troppo cara per noi italiani. Le isole della Dalmazia erano stupende e costavano poco, quindi potevamo pur sopportare le scortesie slave e i servizi socialisti. Quando sono iniziate le danze me la sono studiata meglio: lei e la madre sedevano a un tavolino come tutti gli altri, bevendo una lemunada. Mi sono avvicinato dopo le prime canzoni. In serata non potevano mancare Marina e Scalinada , ma inizialmente i brani erano solo strumentali. Mi feci dunque coraggio e la invitai a ballare. La invitai educatamente a ballare prima salutando la madre. Indossava un vestitino estivo colorato, le scarpe erano normali sandali col tacco, non si era nemmeno truccata; evidentemente erano scesi al dancing per passare una serata altrimenti noiosa: il paese era relativamente lontano dal campeggio e la vita sociale quella era. Oggi che è Croazia è tutto più organizzato e caro, ma all’epoca eravamo assai più spartani e tutte le famiglie slave, ungheresi e tedesco orientali potevano godersi due settimane di splendido mare una volta italiano.
Nel primo ballo le ho chiesto il nome e da dove veniva. Parlava un tedesco dialettale, lei mi disse che veniva dalla Sassonia (DDR). Ill padre le avrebbe raggiunte forse a fine giugno, quando gli avrebbero dato le ferie. L’albergo era convenzionato e si mangiava anche bene, almeno per i loro standard. Gli italiani invece si lamentavano sempre, avvezzi a ben altra cucina. Nel frattempo la musica si era fermata e lo speaker annunciò che avrebbero suonato rock ‘n roll, quindi sul momento mi congedai dalla ragazza e ordinai una birra al banco - la marca era una sola - cercando comunque di tener d’occhio quel tavolino mentre i più giovani ballavano. Tutto un po’ retrò, ma questa era la Jugoslavia di Tito.
Nel secondo ballo iniziai a stringere un po’ e a diminuire la distanza fra i due corpi. Era robusta ma i fianchi sicuramente morbidi. Le mani erano curate, lo smalto alle unghie era recente e i capelli corti le davano un’immagine un po’ Hitlerjugend, ma ne intuivo la sensualità. Non parlava italiano ma riuscivamo a capirci usando una lingua mista tra inglese e tedesco. L’inglese era stentato, ma per comunicare ci capivamo benissimo. Per non sembrare invadente per quella sera la riaccompagnai al tavolo, non chiesi di sedermi accanto a loro e salutai dicendo “bis morgen”, a domani.
Il giorno dopo sulla spiaggia arrivarono tardi. Chi vive in tenda si alza presto, chi sta in albergo fa colazione e scende con calma. Le vidi arrivare con tutto l’armamentario tipico dei bagnanti e aspettai con calma che prendessero posto sulla spiaggia. Non mi fu difficile presentarmi di nuovo vicino a loro, ma potevo correre due rischi: che nel frattempo avesse conosciuto qualcun altro – che so, un gruppo di ragazzi divertenti – o che non intendesse approfondire. La madre, sportiva, si vedeva che era provinciale.. Quando era l’ora del bagno nuotava insieme alla figlia e si vede che il socialismo ne aveva fatta da giovane un’atleta: le spalle e la muscolatura lo dimostravano. Aveva gli occhi come la figlia, ma pure quell’espressione dura di molti tedeschi, meno espansivi di noi latini. Comunque alla seconda nuotata riuscii a star da solo con la figlia, che nuotava bene anche lei. Muscolatura tonica, forme sode. Le proposi di arrivare costa costa fino a una vicina caletta – saranno stati duecento metri – e lei accettò la sfida. In genere è sempre meglio andare in giro con un amico che ti fa da ‘spalla’, una donna non si fida quasi mai di un singolo e del resto le amiche vanno in vacanza in gruppi di almeno due o tre. Ma quest’isola – parlo di Arbe, Rab per i croati - proprio per i suoi bassi fondali sul lato sud era meta di turismo familiare e all’inizio non me ne ero accorto. Mangiai con loro al ristorante dell’albergo, parlando un po’ di tutto, dell’Italia che non conoscevano. All’epoca i tedeschi orientali difficilmente potevano viaggiare all’estero – a Roma i primi li vidi dopo la caduta del Muro di Berlino e li distinguevi per l’accento e per l’abbigliamento fuori moda, molto attenti ai monumenti e privi della cafoneria tipica dei crucchi. Già, ma quanto le piacevo? L’attrazione fisica c’era, era reciproca, ma fin dove saremmo arrivati? E quanti giorni avevamo ancora a disposizione? Nel migliore dei casi una settimana o poco più. Andando avanti da timido avrei combinato poco, quindi dovevo essere più deciso e all’epoca non lo ero. Mi feci forza con la bottiglia di Slivoviza che avevo comprato al samoposluga (l’emporio socialista) e iniziai a invitarla a nuotare con me. Sua madre era contenta che la figlia non si annoiasse e io volevo stare da solo con lei, passeggiare mano nella mano oltre la zona dei bagnanti. In fondo mi andò bene: al ballo della sera eravamo già una coppia: ballavamo stretti e parlavamo a bassa voce, incuranti della musica antiquata ad alto volume. Anche lei stringeva durante i lenti e sentivo l’odore della sua pelle. Non era vestita alla moda, ma il socialismo quello era. Prima di tornare al solito tavolino ci eravamo anche baciati, per cui fu naturale farci vedere mano nella mano. Pagai da bere.
Il giorno dopo arrivammo fino a Suha Punta, Punta Secca, dove era tollerato il nudismo. Era una bella baia a un paio di km dal campeggio e albergo – ora la zona è più costruita - e ci si arriva in mezzo al verde costeggiando la frastagliata costa. Un’ampia baia con l’acqua cristallina era la cornice per prendere il sole e fare il bagno e le uniche persone locali che incontravi lungo il sentiero erano le vecchine che vendevano peperoni, patate e cipolle. Una volta arrivati alla spiaggia sassosa stendemmo un telo e lei rimase con il solo cappello di paglia in testa. Le sue forme le avevo già indovinate da un pezzo, ma il contatto fisico con una ragazza nuda è qualcosa di diverso. Lei finse di non guardare in basso, io invece subito ammirai i capezzoli di cui avevo solo intuito la forma e buttai anche l’occhio in basso. All’epoca il pelo pubico non veniva rasato com’è di moda oggi, al punto che era persino difficile capire l’aspetto della fica. Il suo pelo era un bel cespuglietto, di più non potevo sapere. D’altro canto le spiagge per nudisti non sono quel paradiso sexy che uno s’immagina: sono in genere frequentate da famiglie intere, nonni compresi, e il sesso nulla c’entra col corpo nudo, peraltro non sempre perfetto. Nei campeggi per nudisti come Koversada il panorama non ricordava Playboy ma somigliava piuttosto all’inferno di Dante. Qui perlomeno non c’era affollamento, era un posto tranquillo dove fare il bagno, cosa che facemmo subito nuotando per almeno cinquanta metri nell’acqua cristallina. Poi sdraiati nudi a prendere il sole. Un’ora più tardi pranzavamo con sua madre e da come ci guardavamo si capiva che avremmo fatto presto l’amore. Quando dopo pranzo la mia giovane walkiria si alzò dicendo che voleva riposarsi in albergo e mi fece cenno di seguirla, sua madre aveva capito che quel pomeriggio volevamo restar soli.
Per prima cosa una doccia. Da quella accanto alla spiaggia usciva poca acqua e bisognava far la fila, per cui avevamo ancora il sale addosso. Di nuovo nudi, ma in un contesto diverso. La doccia era abbastanza spaziosa per accogliere due persone e non persi tempo: subito un getto d’acqua neanche tanto calda e tanto sapone liquido, iniziando a massaggiarla e lavarla con forza. A quel punto lei mi baciò con passione, mettendomi schiena al muro. Chiusi gli occhi, solo per sentirmi dire warum schließt du deine Augen? L’avevo fatto anche con il primo amore, ottenendo a suo tempo la stessa reazione. Dopo questo, riprendemmo a lavarci sotto il getto, mettendo le mani dovunque. Lei lo prese in mano facendolo scorrere e stringendomi le palle, dimostrando una certa pratica, quindi la ragazza il sesso lo praticava da anni e in effetti sotto il pelo si apriva una fica bella aperta, altro che bocciolo di rosa. Sicuramente aveva iniziato presto e aveva avuto più di un ragazzo se non addirittura un marito – nei paesi socialisti lavoravano si sposavano presto, magari per ottenere la casa popolare o perché presto incinte, tanto c’erano gli asili nido. Mentre il mio arnese s’ingrossava nelle sue mani passai le mie scendendo lungo la sua schiena e insaponai il suo ano, stringendole i glutei muscolosi e facendo scorrere il dito nella scanalatura. E qui una piacevole sorpresa: non solo lasciò fare, ma guidandomi il dito fece capire che l’ano era dilatato, il che significa una cosa sola. Ma subito mi ricambiò il servizio, facendomi capire con un cenno che avrei avuto lo stesso trattamento. Ma non andammo oltre e la doccia continuò con lei spalle al muro e io in ginocchio a leccarla di continuo. Quando non ne poté più mi prese per la mano fino in camera da letto, dove facemmo l’amore fino all’esaurimento delle forze, addormentandoci quasi insieme uno sopra l’altro. Avevo trent’anni ed ero non solo al meglio delle mie prestazioni, ma avevo anche una fame arretrata di fica. Lei era esuberante e robusta, il suo fisico era noi diciamo di cavallona, incassava bene e godeva da matti, agitandosi nell’orgasmo. Ci svegliammo solo quando sua madre tornò dal mare, sorprendendoci in flagranza di reato. In realtà vedendoci ancora nudi sotto le lenzuola si mise a ridere cantando chissà quale canzone mentre io lentamente riprendevo i sensi. Non sembrava affatto scandalizzata, anzi c’era un’aria di allegra complicità, quasi che la madre avesse combinato per sistemare la figlia con l’occidentale. All’epoca c’era una vera e propria caccia al marito e al passaporto europeo e di storie simili ne avevo sentite tante, senza minimamente pensare che potevo integrarne il repertorio. Una volta rivestiti la conversazione tornò nella normalità, né capivo tutto quello che si dicevano con quella strana pronuncia dialettale. Mi proposero di cenare con loro al ristorante dell’albergo e naturalmente avrei offerto io. Alla fine della serata ci salutammo in allegria, io sarei tornato in tenda, loro in camera. Magari il giorno dopo avrei chiesto se ce ne fosse una libera, almeno potevamo continuare la nostra relazione senza mamma tra i piedi. Purtroppo l’albergo era stato tutto prenotato, quindi rimasi loro ospite facendomi segnare. Appena soli – si fa per dire - iniziai a sculacciarla e a prenderla a schiaffi sulla schiena per riscaldarla ed eccitarla, pizzicandole i capezzoli, tirandole i peli della fica e continuando a darle sonore pacche sul corpo. Non è come nei film porno, nella realtà per eccitare una donna servono anche venti minuti, ma alla fine lei neanche mi lasciò il tempo di respirare e si fece sbattere per mezz’ora, squirtando e pisciando direttamente nella doccia e baciandomi di continuo sulla bocca. Gli ormoni impazzivano. Mancava solo che a noi si unisse la madre e poi era fatta, mi venivano invece in mente quei filmetti porno danesi dove alla fine madre e figlia si dividevano lo stesso uomo, come nelle serie Color Climax dove “tiny” Tove Jensen recitava forse con sua madre vera, e del resto una donna di 45 anni forse separata o comunque sola non sarebbe andata tanto per il sottile. Sua figlia del resto sotto l’acqua… giocava col fuoco: per scherzo ma anche con soddisfazione ostentava il mio arnese duro e dritto davanti alla sacra famiglia ed io facevo la mia parte, imbarazzato ma anche orgoglioso. Nei loro occhi leggevo sia l’eccitazione che una strana serenità, una soddisfazione interiore. Ormai non ero soltanto l’uomo di ***, ero il loro uomo. Nelle loro fantasie – ma anche nelle mie – facevamo un unico corpo.
Ma stavo comunque con una donna sola. Una volta nell’intimità l’avrei cosparsa d’olio profumato e dopo un massaggio l’avrei presa da dietro. Quel giorno lei era fertile, me lo disse lei - bin fruchtbare - ma me ne ero già accorto dalle pupille dilatate e dal respiro. Non voleva rischiare una gravidanza ma le piaceva farsi sborrare dentro, per cui fu lei stessa ad allargare sotto la doccia le natiche con le mani e appoggiandosi a parete si fece lentamente inculare. A differenza della fica l’ano non è lubrificato, ma con l’olio o con un gel neutro entra tutto. Mettevo il gel e spingevo col pollice, stimolando le labbra della fica con le altre quattro dita. Una volta rilassata, lei con mani a parete e schiena verso di me iniziai a entrare. Col mio corpo premevo sulla sua schiena mentre muovevo avanti e indietro l’arnese e la baciavo sulla schiena e sul collo. Una volta che il glande aveva superato il muscolo dell’ano entrando nel retto era fatta: sarei arrivato fino al colon. Lei iniziò anche a masturbarsi e questo le moltiplicava gli stimoli pubici, finché non le venne da pisciare. L’abbracciai e subito un getto caldo e scomposto mi bagnò e gambe e mi eccitai ancora di più, prendendola quasi con violenza almeno per un quarto d’ora. Se una ragazza ha paura dell’anale non insistere, ma se le piace e ti invita lei, spingilo fino alle palle. Al massimo cura l’igiene per evitare infezioni: falle un clistere prima della supposta o usa un profilattico, e soprattutto non rimetterglielo subito dentro la fica. Come finale però ebbi lo stesso trattamento: prima un dito, poi due e poi tre s’infilarono dietro di me girando e penetrando avanti e indietro. Il mio ano non era dilatato come il suo, ma il dolore valeva la giornata d’amore. Nessuno poi era in casa, quindi niente siparietti da film porno, dove la suocera porca si fa il genero o la sorellina guarda la coppia masturbandosi e poi viene invitata al far l’amore insieme alla coppia. Ci sdraiammo a letto baciandoci e tirando su il lenzuolo, giusto in tempo per riposare un’oretta. Nel frattempo pensavo alla mia scarsa fortuna di amatore nel mio ambiente, dove passavo per povero e timido e alla fine ero il classico amico. Qui almeno combinavo qualcosa e mi si apriva un mondo fatto di viaggi, di culture diverse. Appartengo infatti alla prima generazione che ha imparato bene le lingue straniere e ha viaggiato con l’Interrail, una delle più belle invenzioni degli anni ’70. Ma qui in Jugo ero stanziale, si prendeva il traghetto da Ancona o Pescara per sbarcare a Spalato o Ragusa (Dubrovnik). I campeggi costavano poco, anche se le guardie Jugo erano scortesi e alla frontiera ti controllavano sempre tutto. Per non parlare dei negozi molto spartani, soprattutto nelle isole e della scortesia delle commesse dei negozi. Ma da giovani si accetta tutto purché a basso costo. E la Jugoslavia di Tito costava proprio poco, anche se mancava quasi tutto quello a cui eravamo abituati. E avevo trovato l’amore. La guardavo, fissandola negli occhi azzurri. I suoi tratti un po’ duri e il suo corpo tonico sarebbero stati accettati in famiglia? Si sarebbe vestita in modo più elegante? La nostra sarebbe rimasta un’avventura estiva o avrebbe avuto un futuro? Ed io chi ero per lei realmente? La sua bocca appena aperta comunicava sensualità, ero entrato dentro di lei con passione. Un’ora prima le avevo leccato la fica e ora già soffrivo per la mia palese dipendenza dal sesso. Ero arrivato a trent’anni senza mai essere realmente andato a letto con una donna, il sesso era quello che facevano gli altri e ora vivevo in paradiso, anche se sapevo bene che le differenze culturali e le distanze possono rovinare col tempo anche una coppia affiatata. Ma ancora non avevamo parlato del futuro, né era chiaro se sarei stato mollato a fine vacanza. In ogni caso sembrava che entrambi avessimo degli arretrati in materia di sesso e amore e volevamo recuperare il tempo perduto. Per lei scopare era normale come lavarsi i denti e in più c’era la benedizione della famiglia, almeno della sua. A casa mia non so se avrebbero accettato una moglie straniera e per giunta dell’Est: anche se tedesca lei viveva nell’Europa socialista e la diffidenza verso la storia dei matrimoni facili pur di espatriare e vedere il mondo era più di un pregiudizio. Ma c’era tempo per pensarci, sul momento ero felice e basta. Ma quello che pensavo sarebbe forse rimasta un’esperienza estiva si trasformò nel rapporto più profondo e conflittuale della mia vita. Ma questo è un altro capitolo.




scritto il
2025-05-27
1 . 3 K
visite
1 3
voti
valutazione
6.4
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto precedente

Piccola mano cinese

racconto sucessivo

In campeggio
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.