Nel silenzio del desiderio - Capitolo 1/2
di
LtMilligan
genere
masturbazione
Viola aveva sempre condotto una vita tranquilla, scandita da piccoli rituali quotidiani e da una solitudine spesso cercata, a volte subìta. Abitava in un appartamento luminoso, al terzo piano di una palazzina affacciata su un viale alberato. Amava osservare le fronde degli alberi che si muovevano lievi al vento, come un mare verde in cui spesso si perdeva con lo sguardo. Non aveva molti amici né una famiglia numerosa: la maggior parte dei suoi affetti più cari viveva lontano e, da qualche tempo, aveva deciso di concentrarsi su se stessa.
La mattina, quando la luce filtrava attraverso le tende leggere, Viola si svegliava con calma. Lasciava che il tepore delle lenzuola la coccolasse ancora per qualche istante, chiudendo gli occhi e inspirando profondamente l’aria tiepida della stanza. In quei momenti di quiete, sentiva le proprie mani scivolare lungo il corpo quasi per istinto. Un gesto semplice, come se volesse assicurarsi di essere ancora lì, viva, completa. Uno sfioramento leggero, quasi distratto, ma che conteneva in sé la promessa di un piacere ancora da esplorare a fondo.
Da qualche mese, infatti, Viola aveva iniziato a sentire un desiderio sempre più presente. Non si trattava solo di curiosità: era la consapevolezza di poter accedere a una forma di libertà interiore che nessun altro poteva donarle. Aveva sperimentato momenti di autoerotismo fin dall’adolescenza, ma solo di recente aveva capito quanto potesse essere profondo il rapporto con il proprio corpo, e quanto poco dipendesse dal giudizio altrui.
Dopo aver fatto colazione, usciva spesso per una passeggiata. Aveva un piccolo negozio di alimentari preferito, dove comprava frutta fresca e pane appena sfornato. Il tempo sembrava dilatarsi in quei momenti: salutava i vicini, scambiava due parole col fornaio, poi si incamminava verso casa senza fretta. Eppure, in fondo al cuore, avvertiva una leggera impazienza. Le mani le formicolavano all’idea di tornare tra le pareti tranquille del suo appartamento e di concedersi un altro momento, fosse anche breve, per ritrovarsi a tu per tu con la propria intimità.
Spesso, dopo pranzo, si coricava sul divano per una piccola siesta. C’era un raggio di sole che si posava proprio sul tappeto, irradiando calore sul cuscino più grande. Mentre il mondo fuori proseguiva la sua corsa, Viola si immergeva in un’atmosfera ovattata. Bastava un gesto, il tocco delle sue dita che sfilavano la maglietta leggera, a scoprire il busto e a sentire il lento, accogliente contatto dell’aria tiepida sulla pelle. Ogni volta, rimaneva in ascolto delle proprie sensazioni, cercando di capire dove il piacere iniziasse a pulsare più forte.
A volte si fermava a metà, lasciando che il desiderio rimanesse sottile, come un filo di luce che attraversava la stanza. Le piaceva quell’idea di avere il controllo del proprio corpo, di poter decidere se spingersi oltre oppure no. Aveva persino iniziato a leggere qualche libro sulla sessualità femminile, scoprendo quanto l’autoerotismo potesse essere un percorso di consapevolezza personale. Non era più solo una pratica fugace, ma un viaggio profondo per riappropriarsi del proprio potere.
Verso sera, quando il tramonto tingeva il cielo di arancione e rosso, Viola accendeva una piccola lampada dal paralume dorato, creando un’atmosfera soffusa. Preparava un tè caldo o, a volte, un bicchiere di vino leggero, e si sedeva sul letto a pensare. In quei momenti, si chiedeva come sarebbe stato condividere certe sensazioni con un’altra persona. L’idea la intrigava e la intimoriva allo stesso tempo. Forse un giorno avrebbe trovato qualcuno con cui aprirsi. Per ora, la sua solitudine era anche la sua forza.
Prima di andare a dormire, si concedeva quasi sempre un rituale fatto di gesti delicati: una doccia tiepida, profumo sulla nuca e sulle braccia, un pigiama morbido. E poi, sotto le lenzuola, il corpo rilassato, i muscoli sciolti dal calore. Con le luci spente, si lasciava trasportare da pensieri leggeri, e le sue mani ricominciavano a esplorare quella frontiera sempre nuova. Il respiro si faceva più profondo, la mente si svuotava di qualunque turbamento.
Era un momento di puro abbandono, in cui si rendeva conto di come ogni minima carezza potesse regalare un’emozione diversa. Viola a volte si soffermava a domandarsi se fosse “troppo” ciò che provava, se fosse “esagerato” il modo in cui il suo corpo rispondeva. Ma presto aveva compreso che non esisteva una misura oggettiva per il piacere: doveva solo ascoltarsi, senza limiti, senza preconcetti.
Quando infine si addormentava, la percezione del proprio corpo continuava a cullarla in sogni limpidi e luminosi. Si sentiva grata di possedere quel rifugio interiore, convinta che ogni piccola scoperta l’avrebbe resa più forte e più consapevole di sé stessa.
La mattina, quando la luce filtrava attraverso le tende leggere, Viola si svegliava con calma. Lasciava che il tepore delle lenzuola la coccolasse ancora per qualche istante, chiudendo gli occhi e inspirando profondamente l’aria tiepida della stanza. In quei momenti di quiete, sentiva le proprie mani scivolare lungo il corpo quasi per istinto. Un gesto semplice, come se volesse assicurarsi di essere ancora lì, viva, completa. Uno sfioramento leggero, quasi distratto, ma che conteneva in sé la promessa di un piacere ancora da esplorare a fondo.
Da qualche mese, infatti, Viola aveva iniziato a sentire un desiderio sempre più presente. Non si trattava solo di curiosità: era la consapevolezza di poter accedere a una forma di libertà interiore che nessun altro poteva donarle. Aveva sperimentato momenti di autoerotismo fin dall’adolescenza, ma solo di recente aveva capito quanto potesse essere profondo il rapporto con il proprio corpo, e quanto poco dipendesse dal giudizio altrui.
Dopo aver fatto colazione, usciva spesso per una passeggiata. Aveva un piccolo negozio di alimentari preferito, dove comprava frutta fresca e pane appena sfornato. Il tempo sembrava dilatarsi in quei momenti: salutava i vicini, scambiava due parole col fornaio, poi si incamminava verso casa senza fretta. Eppure, in fondo al cuore, avvertiva una leggera impazienza. Le mani le formicolavano all’idea di tornare tra le pareti tranquille del suo appartamento e di concedersi un altro momento, fosse anche breve, per ritrovarsi a tu per tu con la propria intimità.
Spesso, dopo pranzo, si coricava sul divano per una piccola siesta. C’era un raggio di sole che si posava proprio sul tappeto, irradiando calore sul cuscino più grande. Mentre il mondo fuori proseguiva la sua corsa, Viola si immergeva in un’atmosfera ovattata. Bastava un gesto, il tocco delle sue dita che sfilavano la maglietta leggera, a scoprire il busto e a sentire il lento, accogliente contatto dell’aria tiepida sulla pelle. Ogni volta, rimaneva in ascolto delle proprie sensazioni, cercando di capire dove il piacere iniziasse a pulsare più forte.
A volte si fermava a metà, lasciando che il desiderio rimanesse sottile, come un filo di luce che attraversava la stanza. Le piaceva quell’idea di avere il controllo del proprio corpo, di poter decidere se spingersi oltre oppure no. Aveva persino iniziato a leggere qualche libro sulla sessualità femminile, scoprendo quanto l’autoerotismo potesse essere un percorso di consapevolezza personale. Non era più solo una pratica fugace, ma un viaggio profondo per riappropriarsi del proprio potere.
Verso sera, quando il tramonto tingeva il cielo di arancione e rosso, Viola accendeva una piccola lampada dal paralume dorato, creando un’atmosfera soffusa. Preparava un tè caldo o, a volte, un bicchiere di vino leggero, e si sedeva sul letto a pensare. In quei momenti, si chiedeva come sarebbe stato condividere certe sensazioni con un’altra persona. L’idea la intrigava e la intimoriva allo stesso tempo. Forse un giorno avrebbe trovato qualcuno con cui aprirsi. Per ora, la sua solitudine era anche la sua forza.
Prima di andare a dormire, si concedeva quasi sempre un rituale fatto di gesti delicati: una doccia tiepida, profumo sulla nuca e sulle braccia, un pigiama morbido. E poi, sotto le lenzuola, il corpo rilassato, i muscoli sciolti dal calore. Con le luci spente, si lasciava trasportare da pensieri leggeri, e le sue mani ricominciavano a esplorare quella frontiera sempre nuova. Il respiro si faceva più profondo, la mente si svuotava di qualunque turbamento.
Era un momento di puro abbandono, in cui si rendeva conto di come ogni minima carezza potesse regalare un’emozione diversa. Viola a volte si soffermava a domandarsi se fosse “troppo” ciò che provava, se fosse “esagerato” il modo in cui il suo corpo rispondeva. Ma presto aveva compreso che non esisteva una misura oggettiva per il piacere: doveva solo ascoltarsi, senza limiti, senza preconcetti.
Quando infine si addormentava, la percezione del proprio corpo continuava a cullarla in sogni limpidi e luminosi. Si sentiva grata di possedere quel rifugio interiore, convinta che ogni piccola scoperta l’avrebbe resa più forte e più consapevole di sé stessa.
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