Angie

di
genere
dominazione

Era una di quelle notti in cui non riesci a distinguere il sudore dalla rabbia. La stanza era un forno, una trappola in cui l'aria stessa sembrava volerti soffocare. Il caldo si attaccava alla pelle come una maledizione, rendendo ogni respiro un'impresa. Avevo bevuto troppo, come sempre, e tutto mi sembrava un cazzo di sogno confuso. Angie era lì, sdraiata sul letto, nuda, con le gambe aperte come una preghiera non detta.
Mi avvicinai, barcollando leggermente, il mio cazzo già duro come il cemento, spinto da una rabbia che non riuscivo nemmeno a spiegare. Lei mi guardò con quegli occhi da cagna bastonata, come se sapesse esattamente cosa sarebbe successo, ma fosse troppo stanca o troppo disperata per fermarmi.
"Non farlo," sussurrò, ma la sua voce era debole, più un gemito che una protesta.
"Smettila di fare la puttana," le risposi, la voce ruvida come carta vetrata. La presi per i capelli, tirandola su dal materasso. Il suo corpo si piegò, le sue labbra si spalancarono in un grido soffocato. Non c’era tenerezza, non c’era dolcezza in quello che stavo per fare. Ero solo un animale guidato dalla lussuria e dalla rabbia, e Angie lo sapeva.
La sbattei contro il muro, il suo viso schiacciato contro la tappezzeria che puzzava di muffa e vecchi segreti. Il mio respiro era un ruggito, un suono animalesco che riempiva la stanza. Infilai una mano tra le sue gambe, trovando la sua figa bagnata, calda, pronta, come se il suo corpo tradisse tutto ciò che le restava di dignità.
"Sporca puttana," sibilai nel suo orecchio, mentre spingevo dentro di lei con tutta la forza che avevo. Non c'era delicatezza, non c'era piacere, solo il bisogno di possederla, di affondare in quel corpo e strapparne via ogni briciola di resistenza.
Lei gemette, un suono gutturale che sembrava provenire dalle profondità della sua anima. Le sue mani si aggrapparono alle pareti, cercando disperatamente un appiglio, qualcosa che potesse salvarla da quella caduta nel baratro della mia follia. Ma io non le diedi tregua. Le mie mani esplorarono ogni centimetro del suo corpo, stringendo, graffiando, lasciando segni che avrebbero raccontato la storia di quella notte per giorni.
"Mi fai schifo," sussurrò, le parole che uscivano spezzate dai colpi dei miei fianchi contro i suoi. Ma io non mi fermai. Non potevo fermarmi.
La sua testa sbatté contro il muro, e per un attimo pensai che l’avessi persa. Ma poi si girò, con il viso coperto di lacrime e sputò. Mi guardò con una luce folle negli occhi, come se tutto il dolore, tutta la rabbia, fossero diventati una parte di lei, come se fosse pronta ad accettarlo, a lasciarsi consumare.
"Fottimi," disse, e io obbedii. La girai, la gettai di nuovo sul letto, le sue gambe che si sollevarono docilmente mentre mi tuffavo ancora una volta dentro di lei, senza pietà, senza pensare a nulla se non a quel momento. Ogni spinta era una dichiarazione di guerra, ogni colpo un urlo di disperazione che riempiva la stanza, facendo tremare le pareti sottili.
Non ci fu amore in quel momento. Solo un bisogno brutale, una fame che non poteva essere placata. Il suo corpo era solo un giocattolo tra le mie mani, un oggetto su cui riversare tutta la mia frustrazione, tutto il mio odio per me stesso, per il mondo, per quella fottuta vita che non aveva senso.
Quando finalmente esplosi dentro di lei, fu come se qualcosa dentro di me si fosse spezzato. Mi lasciai cadere su di lei, il respiro pesante, il cuore che batteva furiosamente nel petto. Angie non si mosse. Restò lì, sotto di me, il suo corpo molle e immobile, come una bambola rotta.
Mi alzai, guardandola. C’era qualcosa di irreparabile in quella stanza, qualcosa che sapevo non avrei mai potuto rimettere insieme. Angie mi guardò con occhi vuoti, senza dire una parola. Non c’era nulla da dire. Tutto era stato detto in quel momento, in quei colpi furiosi, in quella violenza che ci aveva consumato entrambi.
Mi vestii in silenzio, la testa che mi pulsava ancora per l'alcol, il corpo stanco e indolenzito. Guardai Angie un’ultima volta prima di uscire dalla stanza, senza voltarmi indietro.
Sapevo che non l’avrei più rivista. Ero troppo vigliacco per affrontare quello che avevo fatto. E lei? Lei era troppo forte per lasciarsi distruggere da uno come me.
La porta si chiuse con un clic, e la notte mi inghiottì, come se non fossi mai esistito.
scritto il
2024-08-12
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