La fine, l'inizio
di
Numero Primo Encore
genere
dominazione
Questo pomeriggio mi hai scritto su WhatsApp di farmi trovare pronto, e so cosa significa, una lunga serata, forse anche una notte nelle tue mani.
Mi spoglio e faccio una doccia anche se sono pulito, poi indosso la cintura di castità di cui solo tu hai la chiave, strizzandomi il cazzo dentro il tubo di plastica trasparente che fisso all’anello che circonda la radice delle palle e del cazzo stesso. Ogni volta che sento il clic della serratura a scatto non so mai per quanto tempo dovrò rimanere in quello stato, a volte me l’hai tolta la sera stessa, altre volte ho dovuto attendere un mese intero, ed è stato quasi impossibile. Ma questi sono i patti, da quando abbiamo deciso che io devo esserti sottomesso. Polsiere, cavigliere e collare sono tutto quello che posso indossare. So che mi trovi un po’ ridicolo, ma fa parte del gioco. Ti aspetto in piedi, appoggiato allo stipite della porta della sala, esattamente davanti alla porta d’ingresso. Se nel momento in cui aprirai la porta passerà qualcuno sicuramente sarò visto, ma ci tengo ad essere disponibile anche ai tuoi occhi già dal primo momento.
Arrivi e non mi saluti nemmeno, già nel tuo ruolo, ma rimani per qualche secondo sulla soglia, la chiave nella tua mano ancora infilata nella serratura, a squadrarmi. Ti fisso di rimando, come accettando la sfida silenziosa che mi stai lanciando, poi chiudi la porta e infili l’indice nell’anella del mio collare per farti seguire, prima in camera dove rimani in intimo, poi in bagno, dove apri un cassetto ed estrai un contenitore per lenti a contatto. Sono completamente bere, e quando me le fai indossare, oltre al breve lieve fastidio per il corpo estraneo negli occhi, scopro che mi hai reso cieco. Ti sento spogliarti, e immagino il tuo corpo atletico ora nudo davanti a me senza poterlo almeno accarezzare con gli occhi. Apri il getto della doccia e mi permetti di lavarti con cura, poi esci e ti immagino avvolta dall’accappatoio, e ti fai seguire in sala. Mi leghi i polsi al solito posto, ai cardini della porta finestra che dà sul giardino. È ancora presto, e qualcuno di passaggio potrebbe individuarmi, sbirciando tra i rami della recinzione, in quella posa decisamente imbarazzante, e sei tu stessa a ricordarmi quanto potrebbe essere imbarazzante incrociare qualche vicino che mi vede in quel momento, e che nella mia condizione sarò inconsapevole di chi eventualmente sa che io sono solo un misero schiavo, in quel momento cieco e indifeso. Ti piace scoparmi la mente, ti piace regalarmi queste umiliazioni potenziali che potrebbero trasformarsi in reali, per caso o perché tu lo vuoi.
Ti sento uscire dalla stanza, rientri dopo alcuni minuti, e sento la TV che si accende, tu che armeggi con il telecomando, un video porno che parte con i suoi soliti rumori e voci, poi il ronzio del vibratore. Ti immagino sul divano, nuda e splendida, mentre giochi guardando il video, e ogni tanto spero anche me. Mi eccito nella cintura mentre sento i tuoi gemiti nemmeno troppo smorzati, umiliato dal tuo disinteresse per me, dal tuo volermi fare sentire inutile al tuo piacere. Il ronzio continua ma ti sento alzarti, ti avvicini e inizi a colpirmi con una frusta. Riconosco il gatto a nove code con i piccoli nodi sulla cima delle corde, e ti sento venire mentre mi frusti, con il ronzio sovrastato dagli schiocchi che mi segnano la pelle. Quando sei eccitata mi fai più male, e io gemo per il piacere frustato mescolato al dolore reale. Riservi gli ultimi colpi per il pube che fino a quel momento hai risparmiato, e afferrandomi le palle mi chiedi come ci si senta ad essere la puttana di qualcuno. Non rispondo, e lei mi incalza stringendo la presa. Gemo flettendo le ginocchia per sfuggire alla presa, ti rispondo che sono solo il tuo schiavo, e tu ridacchi, chiudi ancora di più le dita per un nuovo orgasmo, poi sottolinei che non sono il tuo schiavo ma uno schiavo, che potresti averne altri migliori di me, più prestanti e dotati, o almeno non disposti a lasciarsi imprigionare il cazzo in una gabbia. E la gabbia si riempie del mio cazzo che tenta di indurirsi, trascinando in avanti le palle procurandomi altro dolore. Sai che non obietterei, sai che accetterei anche di saperti soddisfatta da altri, che mi ecciterei anche, guardandoti impalata su un altro e sentendoti gemere di piacere. E cosa ne penserei di restare ingabbiato per sempre, di non poter più nemmeno avere un’erezione, mi domandi in un orecchio, con la lingua che lambisce il lobo mentre lo dici, e io chino la testa. Già, vai avanti, sei così sottomesso che potrei farlo, farmi mettere un piercing alla cappella per bloccare la cintura per sempre, trasformarmi in una specie di eunuco ma sempre eccitato per l’astinenza, e la mia schiavitù sarebbe orribilmente eccitante. Poi mi lasci tornando al divano, dove continui il tuo gioco solitario lasciandomi appeso. Di sicuro la tua fantasia ti ha eccitato abbastanza da farti cercare sollievo nel vibratore ancora per un po’, e continui a mugolare senza sosta, fermandoti quando gli orgasmi cominciano ad essere dolorosi da sopportare. Quando finisci mi stacchi dalla mia posizione e mi blocchi le polsiere dietro la schiena, mi fai sedere sul divano dove fino a poco tempo prima eri stesa a prendere il piacere che mi stai negando. Ti siedi accanto a me e mi sfili la cintura, ti sento sfogliare una rivista o un libro, dopo aver cambiato canale e messo un film alla TV. Dopo qualche minuto sento la tua mano allungarsi sul mio cazzo che risponde prontamente. Ma tu non sei interessata al mio piacere, ti limiti a giocare con tocchi lievissimi, mi sfiori con la punta delle dita quel tanto che basta a tenermi duro, poi ti fermi lasciando scivolare la mano sul mio ventre, lasciando che il cazzo si appoggi al dorso di quella mano, e quando inizia ad afflosciarsi ripeti il gioco, strappandomi gemiti e affannando il mio respiro per fermarti ancora, sempre troppo presto per me. Ti sento sorridere della mia frustrazione, continui a chiedermi cosa mi prende, come se non lo sapessi benissimo. Sono il tuo antistress, mi dici, lo trovi rilassante ma dovrei smettere di fare tutta questa scena. Vai avanti fino alla fine del film con questo tormento, fino a quando non puoi nemmeno toccarmi senza farmi arrivare vicinissimo all’orgasmo che non vuoi concedermi. E allora te ne vai, lasciandomi lì a farmi colare liquido sulle cosce. Forse mi stai osservando, ridendo di me, o forse sei in un’altra stanza facendo tutt’altro, come se non ci fossi, ma non tento nemmeno di toccarmi torcendo i polsi fino a raggiungermi, temendo la tua rappresaglia per la trasgressione, finché di colpo ti siedi su di me, a gambe larghe, e mi ritrovo un tuo capezzolo sulle labbra. Sono stato bravo e merito un piccolo premio, posso succhiarti un seno, e magari con un po’ di fortuna sfiorarti la figa con la cappella ipersensibile. Mi avvento sul capezzolo con la bocca e lo sento inturgidirsi tra i denti, lo lavoro in tutti i modi che mi vengono in mente cercando di eccitarti nuovamente, quasi senza speranza di riuscirci, e infatti dopo qualche minuto in cui ti sento fare qualche risolino tiri indietro il busto e ti metti a giocare con le dita sui miei capezzoli. Io sono ancora più eccitato, il cazzo ogni tanto appoggiato sulla tua pancia ogni tanto ha sobbalzo e mi lancia delle scosse di piacere effimere quanto sublimi. Squilla il tuo cellulare e ti allunghi per afferrarlo, schiaffeggiandomi dolcemente con l’altra tetta. Sposti di poco il tuo peso sulle mie cosce per lasciarmi giocare con quella. Parli con la tua amica Silvia, indifferente alle sensazioni che cerco di trasmetterti con la lingua e le labbra. No, non sto facendo niente di speciale, possiamo trovarci a bere qualcosa, perché no, le dici. E da vero cretino mi eccito a sentirmi trattato da niente di speciale, a immaginarmi di nuovo solo mentre vai da qualche parte con lei. Mi posi il palmo della mano sul glande, lo ruoti da una parte e dall’altra e mi sembra di impazzire mentre mi avvicino ancora una volta ad un orgasmo che so non mi farai raggiungere, e infatti la tua mano si ferma, poi riparte, poi si ferma ancora e ancora mi scopri facendo scivolare la mano verso il basso, rimanendo lì. Sei un mostro ma ti amo, maledetta stronza. Finisci la chiamata e mi baci mentre ti alzi, e rimango lì mentre ti sento prepararti. Mi piacerebbe averti aiutata a prepararti, osservarti mentre mi vesti anche se non per me, o anche solo vedere come sei, pronta per uscire, ma posso solo immaginare cosa ti sei messa. Qualcosa di semplice ma sexy, provocante senza esagerare, o forse indossi qualcosa che attirerà tutti gli sguardi, che ti aiuterà a sedurre qualcuno da cui farti scopare. Prima di uscire mi fai inginocchiare e mi leghi mani e piedi ad un tavolino, lasciandomi ad aspettarti in una posizione piuttosto scomoda. Ti mancherò? Mi chiedi, e io annuisco. Mi manchi sempre amore. Le sue parole furono durissime: non chiamarmi amore, anche se so che mi ami, come è giusto. Io amo le sensazioni che mi dai quando ti uso, amo quello che ti faccio, e amo trattarti come lo schiavo che sei diventato. Non potrei amarti e mancarti di rispetto come mi hai permesso di fare. Posso offrirti la libertà, ma non mi vedresti più, oppure posso tenerti solamente come schiavo, ingabbiato, deriso, torturato e umiliato, fino a quando sopporterai questa condizione senza obiettare. Restare al mio servizio significherà rinunciare a qualsiasi diritto, e io occasionalmente mi ricorderò che siamo stati amanti e ti concederò di venire, nel modo più degradante possibile. Per il resto del tempo sarai solo qualcosa da usare. Hai tempo per decidere fino al mio ritorno, dopo di che il tuo destino sarà deciso.
Mi lasci con un bacio che è un addio, un addio a quello che siamo stati e che non saremo mai più. La porta si chiude, e lascio scendere le lacrime che ho trattenuto a stento fino a quel momento. Non c’è bisogno di tempo per sapere che ti amo troppo per dirti di no, per salvare la mia dignità e rimanere libero, per rinunciare completamente a te. Quando la porta si riaprirà saprai di aver vinto, anche se sono sicuro che lo sai già
Mi spoglio e faccio una doccia anche se sono pulito, poi indosso la cintura di castità di cui solo tu hai la chiave, strizzandomi il cazzo dentro il tubo di plastica trasparente che fisso all’anello che circonda la radice delle palle e del cazzo stesso. Ogni volta che sento il clic della serratura a scatto non so mai per quanto tempo dovrò rimanere in quello stato, a volte me l’hai tolta la sera stessa, altre volte ho dovuto attendere un mese intero, ed è stato quasi impossibile. Ma questi sono i patti, da quando abbiamo deciso che io devo esserti sottomesso. Polsiere, cavigliere e collare sono tutto quello che posso indossare. So che mi trovi un po’ ridicolo, ma fa parte del gioco. Ti aspetto in piedi, appoggiato allo stipite della porta della sala, esattamente davanti alla porta d’ingresso. Se nel momento in cui aprirai la porta passerà qualcuno sicuramente sarò visto, ma ci tengo ad essere disponibile anche ai tuoi occhi già dal primo momento.
Arrivi e non mi saluti nemmeno, già nel tuo ruolo, ma rimani per qualche secondo sulla soglia, la chiave nella tua mano ancora infilata nella serratura, a squadrarmi. Ti fisso di rimando, come accettando la sfida silenziosa che mi stai lanciando, poi chiudi la porta e infili l’indice nell’anella del mio collare per farti seguire, prima in camera dove rimani in intimo, poi in bagno, dove apri un cassetto ed estrai un contenitore per lenti a contatto. Sono completamente bere, e quando me le fai indossare, oltre al breve lieve fastidio per il corpo estraneo negli occhi, scopro che mi hai reso cieco. Ti sento spogliarti, e immagino il tuo corpo atletico ora nudo davanti a me senza poterlo almeno accarezzare con gli occhi. Apri il getto della doccia e mi permetti di lavarti con cura, poi esci e ti immagino avvolta dall’accappatoio, e ti fai seguire in sala. Mi leghi i polsi al solito posto, ai cardini della porta finestra che dà sul giardino. È ancora presto, e qualcuno di passaggio potrebbe individuarmi, sbirciando tra i rami della recinzione, in quella posa decisamente imbarazzante, e sei tu stessa a ricordarmi quanto potrebbe essere imbarazzante incrociare qualche vicino che mi vede in quel momento, e che nella mia condizione sarò inconsapevole di chi eventualmente sa che io sono solo un misero schiavo, in quel momento cieco e indifeso. Ti piace scoparmi la mente, ti piace regalarmi queste umiliazioni potenziali che potrebbero trasformarsi in reali, per caso o perché tu lo vuoi.
Ti sento uscire dalla stanza, rientri dopo alcuni minuti, e sento la TV che si accende, tu che armeggi con il telecomando, un video porno che parte con i suoi soliti rumori e voci, poi il ronzio del vibratore. Ti immagino sul divano, nuda e splendida, mentre giochi guardando il video, e ogni tanto spero anche me. Mi eccito nella cintura mentre sento i tuoi gemiti nemmeno troppo smorzati, umiliato dal tuo disinteresse per me, dal tuo volermi fare sentire inutile al tuo piacere. Il ronzio continua ma ti sento alzarti, ti avvicini e inizi a colpirmi con una frusta. Riconosco il gatto a nove code con i piccoli nodi sulla cima delle corde, e ti sento venire mentre mi frusti, con il ronzio sovrastato dagli schiocchi che mi segnano la pelle. Quando sei eccitata mi fai più male, e io gemo per il piacere frustato mescolato al dolore reale. Riservi gli ultimi colpi per il pube che fino a quel momento hai risparmiato, e afferrandomi le palle mi chiedi come ci si senta ad essere la puttana di qualcuno. Non rispondo, e lei mi incalza stringendo la presa. Gemo flettendo le ginocchia per sfuggire alla presa, ti rispondo che sono solo il tuo schiavo, e tu ridacchi, chiudi ancora di più le dita per un nuovo orgasmo, poi sottolinei che non sono il tuo schiavo ma uno schiavo, che potresti averne altri migliori di me, più prestanti e dotati, o almeno non disposti a lasciarsi imprigionare il cazzo in una gabbia. E la gabbia si riempie del mio cazzo che tenta di indurirsi, trascinando in avanti le palle procurandomi altro dolore. Sai che non obietterei, sai che accetterei anche di saperti soddisfatta da altri, che mi ecciterei anche, guardandoti impalata su un altro e sentendoti gemere di piacere. E cosa ne penserei di restare ingabbiato per sempre, di non poter più nemmeno avere un’erezione, mi domandi in un orecchio, con la lingua che lambisce il lobo mentre lo dici, e io chino la testa. Già, vai avanti, sei così sottomesso che potrei farlo, farmi mettere un piercing alla cappella per bloccare la cintura per sempre, trasformarmi in una specie di eunuco ma sempre eccitato per l’astinenza, e la mia schiavitù sarebbe orribilmente eccitante. Poi mi lasci tornando al divano, dove continui il tuo gioco solitario lasciandomi appeso. Di sicuro la tua fantasia ti ha eccitato abbastanza da farti cercare sollievo nel vibratore ancora per un po’, e continui a mugolare senza sosta, fermandoti quando gli orgasmi cominciano ad essere dolorosi da sopportare. Quando finisci mi stacchi dalla mia posizione e mi blocchi le polsiere dietro la schiena, mi fai sedere sul divano dove fino a poco tempo prima eri stesa a prendere il piacere che mi stai negando. Ti siedi accanto a me e mi sfili la cintura, ti sento sfogliare una rivista o un libro, dopo aver cambiato canale e messo un film alla TV. Dopo qualche minuto sento la tua mano allungarsi sul mio cazzo che risponde prontamente. Ma tu non sei interessata al mio piacere, ti limiti a giocare con tocchi lievissimi, mi sfiori con la punta delle dita quel tanto che basta a tenermi duro, poi ti fermi lasciando scivolare la mano sul mio ventre, lasciando che il cazzo si appoggi al dorso di quella mano, e quando inizia ad afflosciarsi ripeti il gioco, strappandomi gemiti e affannando il mio respiro per fermarti ancora, sempre troppo presto per me. Ti sento sorridere della mia frustrazione, continui a chiedermi cosa mi prende, come se non lo sapessi benissimo. Sono il tuo antistress, mi dici, lo trovi rilassante ma dovrei smettere di fare tutta questa scena. Vai avanti fino alla fine del film con questo tormento, fino a quando non puoi nemmeno toccarmi senza farmi arrivare vicinissimo all’orgasmo che non vuoi concedermi. E allora te ne vai, lasciandomi lì a farmi colare liquido sulle cosce. Forse mi stai osservando, ridendo di me, o forse sei in un’altra stanza facendo tutt’altro, come se non ci fossi, ma non tento nemmeno di toccarmi torcendo i polsi fino a raggiungermi, temendo la tua rappresaglia per la trasgressione, finché di colpo ti siedi su di me, a gambe larghe, e mi ritrovo un tuo capezzolo sulle labbra. Sono stato bravo e merito un piccolo premio, posso succhiarti un seno, e magari con un po’ di fortuna sfiorarti la figa con la cappella ipersensibile. Mi avvento sul capezzolo con la bocca e lo sento inturgidirsi tra i denti, lo lavoro in tutti i modi che mi vengono in mente cercando di eccitarti nuovamente, quasi senza speranza di riuscirci, e infatti dopo qualche minuto in cui ti sento fare qualche risolino tiri indietro il busto e ti metti a giocare con le dita sui miei capezzoli. Io sono ancora più eccitato, il cazzo ogni tanto appoggiato sulla tua pancia ogni tanto ha sobbalzo e mi lancia delle scosse di piacere effimere quanto sublimi. Squilla il tuo cellulare e ti allunghi per afferrarlo, schiaffeggiandomi dolcemente con l’altra tetta. Sposti di poco il tuo peso sulle mie cosce per lasciarmi giocare con quella. Parli con la tua amica Silvia, indifferente alle sensazioni che cerco di trasmetterti con la lingua e le labbra. No, non sto facendo niente di speciale, possiamo trovarci a bere qualcosa, perché no, le dici. E da vero cretino mi eccito a sentirmi trattato da niente di speciale, a immaginarmi di nuovo solo mentre vai da qualche parte con lei. Mi posi il palmo della mano sul glande, lo ruoti da una parte e dall’altra e mi sembra di impazzire mentre mi avvicino ancora una volta ad un orgasmo che so non mi farai raggiungere, e infatti la tua mano si ferma, poi riparte, poi si ferma ancora e ancora mi scopri facendo scivolare la mano verso il basso, rimanendo lì. Sei un mostro ma ti amo, maledetta stronza. Finisci la chiamata e mi baci mentre ti alzi, e rimango lì mentre ti sento prepararti. Mi piacerebbe averti aiutata a prepararti, osservarti mentre mi vesti anche se non per me, o anche solo vedere come sei, pronta per uscire, ma posso solo immaginare cosa ti sei messa. Qualcosa di semplice ma sexy, provocante senza esagerare, o forse indossi qualcosa che attirerà tutti gli sguardi, che ti aiuterà a sedurre qualcuno da cui farti scopare. Prima di uscire mi fai inginocchiare e mi leghi mani e piedi ad un tavolino, lasciandomi ad aspettarti in una posizione piuttosto scomoda. Ti mancherò? Mi chiedi, e io annuisco. Mi manchi sempre amore. Le sue parole furono durissime: non chiamarmi amore, anche se so che mi ami, come è giusto. Io amo le sensazioni che mi dai quando ti uso, amo quello che ti faccio, e amo trattarti come lo schiavo che sei diventato. Non potrei amarti e mancarti di rispetto come mi hai permesso di fare. Posso offrirti la libertà, ma non mi vedresti più, oppure posso tenerti solamente come schiavo, ingabbiato, deriso, torturato e umiliato, fino a quando sopporterai questa condizione senza obiettare. Restare al mio servizio significherà rinunciare a qualsiasi diritto, e io occasionalmente mi ricorderò che siamo stati amanti e ti concederò di venire, nel modo più degradante possibile. Per il resto del tempo sarai solo qualcosa da usare. Hai tempo per decidere fino al mio ritorno, dopo di che il tuo destino sarà deciso.
Mi lasci con un bacio che è un addio, un addio a quello che siamo stati e che non saremo mai più. La porta si chiude, e lascio scendere le lacrime che ho trattenuto a stento fino a quel momento. Non c’è bisogno di tempo per sapere che ti amo troppo per dirti di no, per salvare la mia dignità e rimanere libero, per rinunciare completamente a te. Quando la porta si riaprirà saprai di aver vinto, anche se sono sicuro che lo sai già
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