A lezione di chitarra (parte 1)
di
Isapel
genere
feticismo
"Ciao, scusa, settimana prossima Michela non potrà venire a lezione, però stavo pensando, se sei d'accordo, che potrei venire io al posto suo. Sono curiosa di provare. Che ne dici? Fammi sapere, grazie, ciao! ;) Caterina."
Cominciai leggermente ad inquietarmi quando lessi questo sms, proveniente dalla mamma di una mia studentessa di chitarra classica.
Nel corso di quell'anno accademico, avevo avuto il crescente ed intrigante sospetto, di un interessamento più che professionale da parte della signora Caterina nei miei confronti.
Calabrese, lavorava come impiegata al comune di [...] nell'ufficio tecnico; si era trasferita con il marito e le figlie da 6 o 7 anni, ed essendosi inserita bene nel tessuto sociale del piccolo paese - impeccabile, a detta di tutti - quando la figlia primogenita aveva chiesto di poter studiare chitarra, si era subito rivolta alla locale scuola civica, presso cui lavoravo come docente di chitarra e mandolino.
La signora Caterina era cordiale, colloquiale (per non dire un poco ciarliera) e quasi ogni settimana, ritirando la ragazza al termine della lezione, spendeva 5 o 10 minuti del suo tempo conversando con me; dapprima riguardo i progressi musicali della figlia, poi interessandosi della mia attività concertistica, fino ai temi ed argomenti più disparati.
Fu poco prima delle vacanze di Natale, che, insieme ai colleghi docenti della scuola, organizzammo nella piazza principale del paese un concertino benefico, in favore di non so più quale ente non a scopo di lucro, a cui poté assistere praticamente tutto il paese.
Non fece eccezione la signora, che prese 4 posti in prima fila per sé, la figlia, il figlio e il marito.
Al termine della serata, mentre rimettevo in custodia il mandolino, mi sentii chiamare:
- Maestro! Maestro!
Voltandomi la riconobbi immediatamente, fasciata nel suo bel cappottino color rosso acceso, proprio natalizio, i calzoni stile cavallerizza a scacchi e un notevole paio di stivali in cuoio nero.
Teneva in una mano un mezzo bicchiere di vin brulè, mentre mi porgeva l'altra per congratularsi:
- mi sono veramente emozionata sai? Non ti avevo mai sentito suonare, mi hai fatto venire i brividi, tutta la tua musica mi è entrata proprio dentro.
Complimenti un po' esagerati, pensai, il concerto era stato bello, ma mi sembrava un po' eccessivo, d'altronde, la musica può fare un certo effetto su chi la ascolta.
Continuò: - quindi ora vi fermate fino all'epifania, giusto?
- si, lasciamo prendere un po' di fiato ai ragazzi. Scherzai, ma lei non la prese sullo stesso tono, perché mi si avvicinò e disse:
- allora devo salutarti e farti gli auguri.
Alle parole seguì il gesto, con la mano libera mi fece una carezza al braccio sinistro, poi quasi di slancio si fece ancora più vicina e mi scoccò un bacio a piene labbra su di una guancia.
Non ebbi modo di reagire, avevo le custodie con gli strumenti nelle mani, e il palcoscenico allestito dal comune mi avrebbe impedito di arretrare, se anche avessi tentato.
E forse non avrei nemmeno tentato.
Il breve pomeriggio dicembrino cedeva la luce alle tenebre della sera, l'aria iniziava a pullulare di una neve leggera, la signora Caterina, così emozionata fece mezzo passo indietro.
- Buon Natale maestro.
Le lezioni avevano ripreso, si era ormai quasi in primavera, la signora Caterina si fermava sempre a fumare una sigaretta insieme a me, ritirando la figlia da scuola di musica. Mi parlava del suo lavoro, all'ufficio tecnico, dei figli, di quando sarebbe "scesa" in calabria a trovare i genitori e mi chiedeva sempre di quando avrebbe potuto venire a sentirmi di nuovo.
- venerdì sarò con un paio di colleghi all'osteria dell'arco, se le piace la musica celtica.
- oh si! Che bella notizia, la adoro! Disse con entusiasmo
- fate anche quella canzone, com'è il titolo? Ne cantò a spanne un pezzetto
Le dissi il titolo e confermai che faceva parte del nostro repertorio.
- che meraviglia, non mancherò!
- bene, vuole che le tenga un tavolo?
- ti mando un messaggio in questi giorni. A venerdì.
Spense la sigaretta nel posacenere pieno di sabbia, il filtro segnato dal suo rossetto sempre così appariscente ed intenso.
Le prime danze ed arie erano già volate via dall'arpa e dal mandolino, la serata era in corso, gente ai tavolini o al banco, impegnata a bere, mangiare, sghignazzare, importunare bonariamente la cameriera più carina, e simili amenità.
Proprio quando nemmeno ci pensavo più, il portoncino a vetri dell'osteria fece entrare un cappottino primaverile verde smeraldo che avvolgeva la snella figura della signora Caterina.
Ebbi un sussulto, non mi aveva mai scritto per confermare il tavolo, quando la vidi prendere posto ad una tavolata molto lunga che ospitava gruppi diversi di avventori, mescolati e allegri.
Ci salutammo con un cenno, mentre si esaurivano le ultime note di una canzone bretone, e lei toglieva il cappotto verde per prendere posto.
Ebbi modo di osservarla, la camicia bianca dalle ampie maniche era infilata in una gonna scura, al ginocchio, le calze accompagnavano le lunghe gambe in un paio di stivaletti a punta, dal tacco tozzo e piuttosto alto.
Aveva un foulard in tinta col verde del cappottino, le labbra rosse come sempre.
Colsi l'occasione per chiamare il prossimo brano ai miei compagni, era quello che voleva la signora.
Era venuta a sentirmi. Era da sola. Meritava un piccolo omaggio.
Segue...
Cominciai leggermente ad inquietarmi quando lessi questo sms, proveniente dalla mamma di una mia studentessa di chitarra classica.
Nel corso di quell'anno accademico, avevo avuto il crescente ed intrigante sospetto, di un interessamento più che professionale da parte della signora Caterina nei miei confronti.
Calabrese, lavorava come impiegata al comune di [...] nell'ufficio tecnico; si era trasferita con il marito e le figlie da 6 o 7 anni, ed essendosi inserita bene nel tessuto sociale del piccolo paese - impeccabile, a detta di tutti - quando la figlia primogenita aveva chiesto di poter studiare chitarra, si era subito rivolta alla locale scuola civica, presso cui lavoravo come docente di chitarra e mandolino.
La signora Caterina era cordiale, colloquiale (per non dire un poco ciarliera) e quasi ogni settimana, ritirando la ragazza al termine della lezione, spendeva 5 o 10 minuti del suo tempo conversando con me; dapprima riguardo i progressi musicali della figlia, poi interessandosi della mia attività concertistica, fino ai temi ed argomenti più disparati.
Fu poco prima delle vacanze di Natale, che, insieme ai colleghi docenti della scuola, organizzammo nella piazza principale del paese un concertino benefico, in favore di non so più quale ente non a scopo di lucro, a cui poté assistere praticamente tutto il paese.
Non fece eccezione la signora, che prese 4 posti in prima fila per sé, la figlia, il figlio e il marito.
Al termine della serata, mentre rimettevo in custodia il mandolino, mi sentii chiamare:
- Maestro! Maestro!
Voltandomi la riconobbi immediatamente, fasciata nel suo bel cappottino color rosso acceso, proprio natalizio, i calzoni stile cavallerizza a scacchi e un notevole paio di stivali in cuoio nero.
Teneva in una mano un mezzo bicchiere di vin brulè, mentre mi porgeva l'altra per congratularsi:
- mi sono veramente emozionata sai? Non ti avevo mai sentito suonare, mi hai fatto venire i brividi, tutta la tua musica mi è entrata proprio dentro.
Complimenti un po' esagerati, pensai, il concerto era stato bello, ma mi sembrava un po' eccessivo, d'altronde, la musica può fare un certo effetto su chi la ascolta.
Continuò: - quindi ora vi fermate fino all'epifania, giusto?
- si, lasciamo prendere un po' di fiato ai ragazzi. Scherzai, ma lei non la prese sullo stesso tono, perché mi si avvicinò e disse:
- allora devo salutarti e farti gli auguri.
Alle parole seguì il gesto, con la mano libera mi fece una carezza al braccio sinistro, poi quasi di slancio si fece ancora più vicina e mi scoccò un bacio a piene labbra su di una guancia.
Non ebbi modo di reagire, avevo le custodie con gli strumenti nelle mani, e il palcoscenico allestito dal comune mi avrebbe impedito di arretrare, se anche avessi tentato.
E forse non avrei nemmeno tentato.
Il breve pomeriggio dicembrino cedeva la luce alle tenebre della sera, l'aria iniziava a pullulare di una neve leggera, la signora Caterina, così emozionata fece mezzo passo indietro.
- Buon Natale maestro.
Le lezioni avevano ripreso, si era ormai quasi in primavera, la signora Caterina si fermava sempre a fumare una sigaretta insieme a me, ritirando la figlia da scuola di musica. Mi parlava del suo lavoro, all'ufficio tecnico, dei figli, di quando sarebbe "scesa" in calabria a trovare i genitori e mi chiedeva sempre di quando avrebbe potuto venire a sentirmi di nuovo.
- venerdì sarò con un paio di colleghi all'osteria dell'arco, se le piace la musica celtica.
- oh si! Che bella notizia, la adoro! Disse con entusiasmo
- fate anche quella canzone, com'è il titolo? Ne cantò a spanne un pezzetto
Le dissi il titolo e confermai che faceva parte del nostro repertorio.
- che meraviglia, non mancherò!
- bene, vuole che le tenga un tavolo?
- ti mando un messaggio in questi giorni. A venerdì.
Spense la sigaretta nel posacenere pieno di sabbia, il filtro segnato dal suo rossetto sempre così appariscente ed intenso.
Le prime danze ed arie erano già volate via dall'arpa e dal mandolino, la serata era in corso, gente ai tavolini o al banco, impegnata a bere, mangiare, sghignazzare, importunare bonariamente la cameriera più carina, e simili amenità.
Proprio quando nemmeno ci pensavo più, il portoncino a vetri dell'osteria fece entrare un cappottino primaverile verde smeraldo che avvolgeva la snella figura della signora Caterina.
Ebbi un sussulto, non mi aveva mai scritto per confermare il tavolo, quando la vidi prendere posto ad una tavolata molto lunga che ospitava gruppi diversi di avventori, mescolati e allegri.
Ci salutammo con un cenno, mentre si esaurivano le ultime note di una canzone bretone, e lei toglieva il cappotto verde per prendere posto.
Ebbi modo di osservarla, la camicia bianca dalle ampie maniche era infilata in una gonna scura, al ginocchio, le calze accompagnavano le lunghe gambe in un paio di stivaletti a punta, dal tacco tozzo e piuttosto alto.
Aveva un foulard in tinta col verde del cappottino, le labbra rosse come sempre.
Colsi l'occasione per chiamare il prossimo brano ai miei compagni, era quello che voleva la signora.
Era venuta a sentirmi. Era da sola. Meritava un piccolo omaggio.
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