Dedica al mio maestro
di
Cindy allieva
genere
gay
Caro Maestro,
ecco un nuovo racconto che unisce la mia passione per la storia con il desiderio di narrare.
Nelle amicizie fra maschi conta per me molto la complicità . frutto della capacità di comprendere l’altro e
Quindi, aprirsi in tutti i sensi a lui. Come vedrai ho unito ciò che piace a te con quello che soddisfa la mia fantasia. Ma in fondo è un gioco perché sappiamo che talvolta ci capita di gioire in cuori amati e sapere perché .
Lui lesse la dedica, sfogliò le pagine del racconto e sorrise.
Era un momento magico. Dalla terrazza dove ci eravamo rifugiati per riposarci dopo la lunga cavalcata nel bosco era prospiciente alla valle dorata di grano maturo.
Soli e lontani dal mondo, ci eravamo spogliati per asciugarci e senza pudore l’uno offriva la vista del proprio corpo all’altro. Timido per non farmi rapire da quel momento magico, dopo aver assaggiato il fresco chiaretto offerto, gli parlai del racconto “Mastro Andrea e il suo amorino” Una triste storia di un pittore del 400’ innamorato del figlio adolescente del suo committente .un nobile lombardo: Storia triste finita con la partenza del giovane amato e la morte del pittore”. Sul bel viso del maestro vidi calare un velo di tristezza.
Ma io non ti lascerò dissi e lo abbracciai e posi le mie labbra sulla sua adorata bocca. Non riuscii a sciogliermi dall’abbraccio e gettato il bicchiere oltre la ringhiera strinsi il corpo muscoloso coprendolo di baci e assaporando il maschio sapore del suo sudore. Come dice il poeta” galeotto fu il libro” e ci sedemmo per parlare del racconto.
Il divanetto ci permise di sdraiarci e subito mi sedei sul suo grembo appoggiando la testa al suo petto.
Breve fu il dialogo, dimentico dei suoi ragionamenti, gli baciai, meglio succhiai i capezzoli mentre la mia mano si insinuava sotto le sue natiche. Quel corpo bello e saggio dalle forme virili mi stava instillando un languore facendo nascere il desiderio. Si avevo avuto qualche amoretto con efebi dalle piatte natiche a dai peni pallidi che avevo preso per pietà e non facendomi prendere.
Non voglio essere un finocchio fra finocchi me sogno di amare un vero uomo che mi capisse, educasse e comprendesse. Pensavo queste cose mentre il mio corpo impudico iniziava a mostrare il mio desiderio.
Il mio respiro si fece irregolare mentre con gli occhi guardavo la sua bocca dalle belle labbra rosse e i forti denti bianchi e bevevo le parole, che m parlavano degli erastis greci uniti in guerra e amore.
Le parole mossero le mie mani che ora impudiche accarezzarono il forte petto i stretti fianchi e il piatto ventre. Ridendo scioccamente di gioia inserii le mani sotto lui stringendo le muscolose natiche lasciando scivolare le dita verso il fondo schiena per toccare la sua rosa.
Ero in ginocchio di fronte al maestro. Le mani sotto lui e la mia bocca baciava il suo grembo. Sentivo lil mio membro ergersi per l’eccitazione ma non osavo continuare, timoroso di un rifiuto. Al maestro non sfuggì il mio timore e sorridendo strinse fra le mani il mio viso portando le mie labbra al suo membro. Lo guardai, , era grande e vigoroso con grosse vene bluastre che sembravano pompare virilità. Aprii la bocca e lo lasciai entrare in me. Meravigliosamente mi possedeva nella bocca mentre le sue mani mi tiravano i capezzoli eccitandomi. La sua mano destra inizio a carezzarmi il membro. Lo avevo fatto molte volte da me ma ora era una cosa diversa di una dolcezza infinita che mi faceva sentire le farfalle nella pancia. Quando la mia bocca percepì che il membro del maestro stava pulsando mi preparai a bere il suo seme, che abbondante saporito come ambrosia mi scese nella gola. Poi grato ripulii la sua virilità con la lingua.
Poi, ci fermammo e sdraiati entrambi sul divano lasciammo che le nostre membra si conoscessero meglio.
Il maestro prese il bicchiere di vino , ne bevve e poi dalla sua bocca alla mia, lasciò fluire il sangue della terra.
Improvvisamente mi venne da piangere. “Cosa hai “chiese il maestro.
“Ora mi considererai un efebo passivo.” Dissi” Sarò buono solo a soddisfarti e magari mi darai ai tuoi amici.”
“Sciocco” rispose il maestro, “Maturerai ma per il momento non ragioni. Se avessi voglia di efebi, lo sai che mi basterebbe alzare lo sguardo”.
“No ! Tu sei un giovane uomo con cui dividere le conoscenze, i sogni, i progetti e anche da amare come usano gli uomini tra di loro.”
“Allora prendimi” dissi” sono ancora vergine e voglio essere tuo.”
La calura era finita e anche il pomeriggio volgeva alla sera.
Non sapevo cosa dire così gli recitai una poesia che avevo per lui composto.
Ulisse navigò
Il salso mare adriatico,
il colto Jonio, l’irato Tirreno.
Lo perdemmo a Citera. Lo scorgemmo tra Cariddi e Scilla.
La onda schiumosa ci trascinò lontano e lo vedemmo salutarci.
Restai casa senza padrone, campo senza aratore, allievo senza maestro.
Dei lontani, ridatemi la vista per ritrovare la rotta verso la mia amata Atene.
Efebo, per punire i troiani, mi unii ai guerrieri del mio re.
Efebo grazioso ma povero, i nobili mi disprezzarono. Non cavaliere, non fante fui. Lavapiatti mi
nominarono. Non armi ebbi, ma stracci. Mi vide Ulisse.
Con lo sguardo mi misurò. Mi fece suo discepolo e io lo elessi a mio maestro e amante.
Esplorammo assieme i piaceri della mente e del corpo.
Quando conquistata Ilio, mi offrirono il ritorno ad Atene ricco di onori e prede, rifiutai.
Mi imbarcai con il mio maestro a cui mi ero donato corpo e anima.
Entrambi fummo delusi da quella epopea diventata una squallida storia di violenze, tradimenti, massacri, stupri.
Vedemmo entrambi che non vi era gloria in quanto fatto.
Il maestro ci assicurò che presto saremmo tornati in patri a, ma io sentii il canto del suo cuore
Che anelava a cieli sconosciuti sopra mari tempestosi punteggiati di isole feconde.
E per amore lo seguii lasciando che fosse il desiderio per la sua mente e per il suo corpo a guidarmi.
Dalla prima ebbi in dono saggezza e conoscenza, dal secondo amore e passione dei sensi.
Ora solitario alle foci dell’ Istros là dove le torbide acque entrano nel Pontos Axeinos,
vivo dei doni che mio offrono i barbari Sciti affinché insegni ai loro figli la parlata greca.
Allora racconto loro di Ilio e della guerra per la bella Elena. Illustro gli eroi, racconto come vincemmo e
tornammo. Ma quando con la parola onoro Ulisse , un groppo mi chiude la gola e piango. Allora gli
innocenti efebi si chiedono in cosa mi hanno offeso e cercano di consolarmi.
Il maestro ascoltò e poi disse “ mio poetico amico lasciati amare da uomo a uomo”
Come avevo sentito dire si facesse , mi misi a quattro zampe attendendo che lui toro mi possedesse come una trepida vitella.
Lui rise “no amico vieni su di me. Ecco io sono sdraiato sul divano e tu abbracciami e baciami. La mia mano accarezzerà dolcemente il tuo buchino, e mentre tu succhierai la mia lingua la mia mano destra giocherà col tuo membro e della sinistra il dito indice ti penetrerà dolcemente aprendoti al piacere futuro.”
Così fu e il mio buchino penetrato iniziò a stringersi ed aprirsi chiedendo fremente di essere onorato dal membro del maestro. Aprii gli occhi e mi accorsi che il membro era enorme e ne ebbi timore, ma il desiderio che mi bruciava il ventre fu più forte.
Il maestro mi prese in grembo e mi fece piegare le ginocchia. Ora il suo grosso membro bussava alla porta del mio buchino e già la punta era entrata. L’abbraccio mi spinse dolcemente verso il basso e pensavo sari stato impalato. Invece lui entrò dolcemente in me .Vergine abbi un piccolo dolore che mi fece singultare, ma poi il piacere di avere quella carne amorosa in me mi travolse. IL maestro mi alzava e abbassava facendo penetrare sempre più il membro finché non sentii i suoi pesanti testicoli battere le mie natiche. Accelerò il ritmo, mentre io preso dal piacere urlavo “prendimi spaccami, sono la tua cagna vogliosa, la tua puttana da quattro soldi, il tuo femmino pederasta. Ormai non sapevo cosa stessi dicendo, ma quando il membro inizio a pulsare dentro di me e a sua testa battere sempre più velocemente la prostata facendomi squittire di libidine, le mie parole cambiarono . La chiamai mio signore, mio amore mio tutto e infine quando il potente torrente del suo seme mi inondò le viscere, lo abbraccia forte il maestro piansi e chiusi la mi bocca sulla sua in un lungo bacio di passione. Il maestro mi alzò il viso e mentre ancora lui pulsava in me col braccio sinistro mi tenne stretto a sé e con la mano destra fece crescere la mia virilità. Restammo così per un tempo. Poi lui riprese a penetrarmi, facendomi godere e mentre di nuovo mi inondava la pancia anche io scoppiai inondando il suo petto con uno spruzzo di seme. Ridemmo felici e fu la fine della serata.
In seguito, quando armati andavamo alla guerra, non trascuravamo mai di trovare un momento per amarci nello stesso modo di quella prima volta.
ecco un nuovo racconto che unisce la mia passione per la storia con il desiderio di narrare.
Nelle amicizie fra maschi conta per me molto la complicità . frutto della capacità di comprendere l’altro e
Quindi, aprirsi in tutti i sensi a lui. Come vedrai ho unito ciò che piace a te con quello che soddisfa la mia fantasia. Ma in fondo è un gioco perché sappiamo che talvolta ci capita di gioire in cuori amati e sapere perché .
Lui lesse la dedica, sfogliò le pagine del racconto e sorrise.
Era un momento magico. Dalla terrazza dove ci eravamo rifugiati per riposarci dopo la lunga cavalcata nel bosco era prospiciente alla valle dorata di grano maturo.
Soli e lontani dal mondo, ci eravamo spogliati per asciugarci e senza pudore l’uno offriva la vista del proprio corpo all’altro. Timido per non farmi rapire da quel momento magico, dopo aver assaggiato il fresco chiaretto offerto, gli parlai del racconto “Mastro Andrea e il suo amorino” Una triste storia di un pittore del 400’ innamorato del figlio adolescente del suo committente .un nobile lombardo: Storia triste finita con la partenza del giovane amato e la morte del pittore”. Sul bel viso del maestro vidi calare un velo di tristezza.
Ma io non ti lascerò dissi e lo abbracciai e posi le mie labbra sulla sua adorata bocca. Non riuscii a sciogliermi dall’abbraccio e gettato il bicchiere oltre la ringhiera strinsi il corpo muscoloso coprendolo di baci e assaporando il maschio sapore del suo sudore. Come dice il poeta” galeotto fu il libro” e ci sedemmo per parlare del racconto.
Il divanetto ci permise di sdraiarci e subito mi sedei sul suo grembo appoggiando la testa al suo petto.
Breve fu il dialogo, dimentico dei suoi ragionamenti, gli baciai, meglio succhiai i capezzoli mentre la mia mano si insinuava sotto le sue natiche. Quel corpo bello e saggio dalle forme virili mi stava instillando un languore facendo nascere il desiderio. Si avevo avuto qualche amoretto con efebi dalle piatte natiche a dai peni pallidi che avevo preso per pietà e non facendomi prendere.
Non voglio essere un finocchio fra finocchi me sogno di amare un vero uomo che mi capisse, educasse e comprendesse. Pensavo queste cose mentre il mio corpo impudico iniziava a mostrare il mio desiderio.
Il mio respiro si fece irregolare mentre con gli occhi guardavo la sua bocca dalle belle labbra rosse e i forti denti bianchi e bevevo le parole, che m parlavano degli erastis greci uniti in guerra e amore.
Le parole mossero le mie mani che ora impudiche accarezzarono il forte petto i stretti fianchi e il piatto ventre. Ridendo scioccamente di gioia inserii le mani sotto lui stringendo le muscolose natiche lasciando scivolare le dita verso il fondo schiena per toccare la sua rosa.
Ero in ginocchio di fronte al maestro. Le mani sotto lui e la mia bocca baciava il suo grembo. Sentivo lil mio membro ergersi per l’eccitazione ma non osavo continuare, timoroso di un rifiuto. Al maestro non sfuggì il mio timore e sorridendo strinse fra le mani il mio viso portando le mie labbra al suo membro. Lo guardai, , era grande e vigoroso con grosse vene bluastre che sembravano pompare virilità. Aprii la bocca e lo lasciai entrare in me. Meravigliosamente mi possedeva nella bocca mentre le sue mani mi tiravano i capezzoli eccitandomi. La sua mano destra inizio a carezzarmi il membro. Lo avevo fatto molte volte da me ma ora era una cosa diversa di una dolcezza infinita che mi faceva sentire le farfalle nella pancia. Quando la mia bocca percepì che il membro del maestro stava pulsando mi preparai a bere il suo seme, che abbondante saporito come ambrosia mi scese nella gola. Poi grato ripulii la sua virilità con la lingua.
Poi, ci fermammo e sdraiati entrambi sul divano lasciammo che le nostre membra si conoscessero meglio.
Il maestro prese il bicchiere di vino , ne bevve e poi dalla sua bocca alla mia, lasciò fluire il sangue della terra.
Improvvisamente mi venne da piangere. “Cosa hai “chiese il maestro.
“Ora mi considererai un efebo passivo.” Dissi” Sarò buono solo a soddisfarti e magari mi darai ai tuoi amici.”
“Sciocco” rispose il maestro, “Maturerai ma per il momento non ragioni. Se avessi voglia di efebi, lo sai che mi basterebbe alzare lo sguardo”.
“No ! Tu sei un giovane uomo con cui dividere le conoscenze, i sogni, i progetti e anche da amare come usano gli uomini tra di loro.”
“Allora prendimi” dissi” sono ancora vergine e voglio essere tuo.”
La calura era finita e anche il pomeriggio volgeva alla sera.
Non sapevo cosa dire così gli recitai una poesia che avevo per lui composto.
Ulisse navigò
Il salso mare adriatico,
il colto Jonio, l’irato Tirreno.
Lo perdemmo a Citera. Lo scorgemmo tra Cariddi e Scilla.
La onda schiumosa ci trascinò lontano e lo vedemmo salutarci.
Restai casa senza padrone, campo senza aratore, allievo senza maestro.
Dei lontani, ridatemi la vista per ritrovare la rotta verso la mia amata Atene.
Efebo, per punire i troiani, mi unii ai guerrieri del mio re.
Efebo grazioso ma povero, i nobili mi disprezzarono. Non cavaliere, non fante fui. Lavapiatti mi
nominarono. Non armi ebbi, ma stracci. Mi vide Ulisse.
Con lo sguardo mi misurò. Mi fece suo discepolo e io lo elessi a mio maestro e amante.
Esplorammo assieme i piaceri della mente e del corpo.
Quando conquistata Ilio, mi offrirono il ritorno ad Atene ricco di onori e prede, rifiutai.
Mi imbarcai con il mio maestro a cui mi ero donato corpo e anima.
Entrambi fummo delusi da quella epopea diventata una squallida storia di violenze, tradimenti, massacri, stupri.
Vedemmo entrambi che non vi era gloria in quanto fatto.
Il maestro ci assicurò che presto saremmo tornati in patri a, ma io sentii il canto del suo cuore
Che anelava a cieli sconosciuti sopra mari tempestosi punteggiati di isole feconde.
E per amore lo seguii lasciando che fosse il desiderio per la sua mente e per il suo corpo a guidarmi.
Dalla prima ebbi in dono saggezza e conoscenza, dal secondo amore e passione dei sensi.
Ora solitario alle foci dell’ Istros là dove le torbide acque entrano nel Pontos Axeinos,
vivo dei doni che mio offrono i barbari Sciti affinché insegni ai loro figli la parlata greca.
Allora racconto loro di Ilio e della guerra per la bella Elena. Illustro gli eroi, racconto come vincemmo e
tornammo. Ma quando con la parola onoro Ulisse , un groppo mi chiude la gola e piango. Allora gli
innocenti efebi si chiedono in cosa mi hanno offeso e cercano di consolarmi.
Il maestro ascoltò e poi disse “ mio poetico amico lasciati amare da uomo a uomo”
Come avevo sentito dire si facesse , mi misi a quattro zampe attendendo che lui toro mi possedesse come una trepida vitella.
Lui rise “no amico vieni su di me. Ecco io sono sdraiato sul divano e tu abbracciami e baciami. La mia mano accarezzerà dolcemente il tuo buchino, e mentre tu succhierai la mia lingua la mia mano destra giocherà col tuo membro e della sinistra il dito indice ti penetrerà dolcemente aprendoti al piacere futuro.”
Così fu e il mio buchino penetrato iniziò a stringersi ed aprirsi chiedendo fremente di essere onorato dal membro del maestro. Aprii gli occhi e mi accorsi che il membro era enorme e ne ebbi timore, ma il desiderio che mi bruciava il ventre fu più forte.
Il maestro mi prese in grembo e mi fece piegare le ginocchia. Ora il suo grosso membro bussava alla porta del mio buchino e già la punta era entrata. L’abbraccio mi spinse dolcemente verso il basso e pensavo sari stato impalato. Invece lui entrò dolcemente in me .Vergine abbi un piccolo dolore che mi fece singultare, ma poi il piacere di avere quella carne amorosa in me mi travolse. IL maestro mi alzava e abbassava facendo penetrare sempre più il membro finché non sentii i suoi pesanti testicoli battere le mie natiche. Accelerò il ritmo, mentre io preso dal piacere urlavo “prendimi spaccami, sono la tua cagna vogliosa, la tua puttana da quattro soldi, il tuo femmino pederasta. Ormai non sapevo cosa stessi dicendo, ma quando il membro inizio a pulsare dentro di me e a sua testa battere sempre più velocemente la prostata facendomi squittire di libidine, le mie parole cambiarono . La chiamai mio signore, mio amore mio tutto e infine quando il potente torrente del suo seme mi inondò le viscere, lo abbraccia forte il maestro piansi e chiusi la mi bocca sulla sua in un lungo bacio di passione. Il maestro mi alzò il viso e mentre ancora lui pulsava in me col braccio sinistro mi tenne stretto a sé e con la mano destra fece crescere la mia virilità. Restammo così per un tempo. Poi lui riprese a penetrarmi, facendomi godere e mentre di nuovo mi inondava la pancia anche io scoppiai inondando il suo petto con uno spruzzo di seme. Ridemmo felici e fu la fine della serata.
In seguito, quando armati andavamo alla guerra, non trascuravamo mai di trovare un momento per amarci nello stesso modo di quella prima volta.
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