Il desiderio di un capo
di
William Scott
genere
prime esperienze
-Posso rubarle un minuto?
Hai bussato, ti ho lasciata entrare. Rimango concentrato sullo schermo del computer, come se la tua presenza nella stanza fosse irrilevante.
-Sì, certo, chiudi la porta.
Non ti guardo neanche. Come sempre.
-Spero di non risultare irrispettosa in alcun modo. Ormai lavoro qui da un po', e non ho potuto fare a meno di notare alcune cose che non mi permettono di sentirmi a mio agio. Non credo di lavorare male, di essere poco professionale o di aver sbagliato nulla da quando sono qui. Ho sempre fatto tutto ciò che mi è stato chiesto e mi sono sempre impegnata...
-Per favore, stringi. Non ho tutto il giorno. Qual è il problema?
Continuo a non guardarti, impassibile. Ho imparato a non mostrare nulla.
-Signore, il problema è che lei mi tratta malissimo. Anzi, spesso non mi tratta affatto. Vedo che con qualunque altro dipendente lei mostra umanità, quasi affetto, dopo così tanto tempo. Mostra fiducia. Sono l'unica con cui si comporta così.
Continui a parlare, ormai vai a ruota libera. So quanto ti costi parlarmi così, so quanto mi rispetti, alzo lo sguardo verso di te e ti vedo. Vedo la tua maglia grigia, innocente, semplice, senza scollatura, ed il tuo seno che sembra scoppiare. Vedo i tuoi jeans, le linee del tuo corpo che non hai mai ostentato, non ne hai bisogno, è lui che mi chiama, è lui che non mi fa dormire, e di nuovo i miei pensieri vanno troppo veloce. Penso che vorrei chiudere la porta a chiave e piegarti su questo tavolo, questa è la verità. Vorrei abbassarti i pantaloni e scoparti, tirando su quella maglietta quanto basta per stringerti il seno mentre ritmicamente mi spingo dentro di te distruggendo la tua purezza che mi ha tolto il sonno e quell'aria da brava ragazza, penso che vorrei sentirti mentre mi chiami "signore" con quel tono sottomesso con cui ti rivolgi a me, ma vorrei sentirtelo dire mentre il calore della tua figa mi stringe dentro di te, mentre ti mordo la schiena, mentre graffi la mia scrivania per soffocare i gemiti di dolore e di piacere senza saperli neanche distinguere, e una volta soddisfatto voglio prenderti da quella coda e spingerti in ginocchio mentre implorante mi guardi aspettando che riversi il mio piacere nella tua bocca. Voglio farti male, voglio che tu sia mia ogni volta che lo desidero, questo penso. Ma non posso farlo - sono il tuo capo, tu sei così giovane, e io devo lasciarti uscire da questa stanza e continuare a ignorarti. Ma sei così vicina ora, il tuo profumo mi sta confondendo, sento il mio sesso spingere nei pantaloni, non so se riuscirò ancora una volta a tenere a bada la mia fame animale...
-...e se questo dipende da qualcosa che ho fatto le chiedo scusa, ma in queste condizioni è davvero difficile continuare a lavorare.
-Non hai sbagliato nulla. Chiudi la porta a chiave e vieni qui, ora ti spiego tutto.
Hai bussato, ti ho lasciata entrare. Rimango concentrato sullo schermo del computer, come se la tua presenza nella stanza fosse irrilevante.
-Sì, certo, chiudi la porta.
Non ti guardo neanche. Come sempre.
-Spero di non risultare irrispettosa in alcun modo. Ormai lavoro qui da un po', e non ho potuto fare a meno di notare alcune cose che non mi permettono di sentirmi a mio agio. Non credo di lavorare male, di essere poco professionale o di aver sbagliato nulla da quando sono qui. Ho sempre fatto tutto ciò che mi è stato chiesto e mi sono sempre impegnata...
-Per favore, stringi. Non ho tutto il giorno. Qual è il problema?
Continuo a non guardarti, impassibile. Ho imparato a non mostrare nulla.
-Signore, il problema è che lei mi tratta malissimo. Anzi, spesso non mi tratta affatto. Vedo che con qualunque altro dipendente lei mostra umanità, quasi affetto, dopo così tanto tempo. Mostra fiducia. Sono l'unica con cui si comporta così.
Continui a parlare, ormai vai a ruota libera. So quanto ti costi parlarmi così, so quanto mi rispetti, alzo lo sguardo verso di te e ti vedo. Vedo la tua maglia grigia, innocente, semplice, senza scollatura, ed il tuo seno che sembra scoppiare. Vedo i tuoi jeans, le linee del tuo corpo che non hai mai ostentato, non ne hai bisogno, è lui che mi chiama, è lui che non mi fa dormire, e di nuovo i miei pensieri vanno troppo veloce. Penso che vorrei chiudere la porta a chiave e piegarti su questo tavolo, questa è la verità. Vorrei abbassarti i pantaloni e scoparti, tirando su quella maglietta quanto basta per stringerti il seno mentre ritmicamente mi spingo dentro di te distruggendo la tua purezza che mi ha tolto il sonno e quell'aria da brava ragazza, penso che vorrei sentirti mentre mi chiami "signore" con quel tono sottomesso con cui ti rivolgi a me, ma vorrei sentirtelo dire mentre il calore della tua figa mi stringe dentro di te, mentre ti mordo la schiena, mentre graffi la mia scrivania per soffocare i gemiti di dolore e di piacere senza saperli neanche distinguere, e una volta soddisfatto voglio prenderti da quella coda e spingerti in ginocchio mentre implorante mi guardi aspettando che riversi il mio piacere nella tua bocca. Voglio farti male, voglio che tu sia mia ogni volta che lo desidero, questo penso. Ma non posso farlo - sono il tuo capo, tu sei così giovane, e io devo lasciarti uscire da questa stanza e continuare a ignorarti. Ma sei così vicina ora, il tuo profumo mi sta confondendo, sento il mio sesso spingere nei pantaloni, non so se riuscirò ancora una volta a tenere a bada la mia fame animale...
-...e se questo dipende da qualcosa che ho fatto le chiedo scusa, ma in queste condizioni è davvero difficile continuare a lavorare.
-Non hai sbagliato nulla. Chiudi la porta a chiave e vieni qui, ora ti spiego tutto.
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