Adam vince sempre

di
genere
dominazione

Conobbi Adam durante gli anni del liceo. Avevamo la stessa età, frequentavamo lo stesso istituto, ma eravamo in due sezioni differenti. Mi capitava di tanto in tanto di incrociarlo per i corridoi durante gli intervalli oppure nel cortile all’inizio o alla fine delle lezioni. Ricordo che mi impressionò fin dalla prima volta che lo vidi. Non era un ragazzo come tutti gli altri. Fin dalla giovane età si distingueva per una bellezza folgorante, vagamente esotica, del tutto fuori dal comune. Gli occhi scuri e lucenti come una notte stellata, erano due gemme incastonate su un volto serafico. I capelli color miele con sfumature dorate appena accennate, leggermente mossi, ondeggiavano ad ogni suo passo e benché fino ad allora non mi fossi mai avvicinato a lui, davano l'idea di emanare una fragranza dolce e intensa. Ma la cosa davvero sconvolgente era il suo sorriso: avrebbe potuto sciogliere i ghiacciai perenni himalayani, si sarebbe potuto rimanere a contemplarlo per ore per quanto era meraviglioso. Ovviamente lui, che ne era perfettamente consapevole, non mancava di sfoderarlo nelle situazioni più disparate, dal momento che funzionava come un eccezionale passe-partout sociale. A tutto ciò bisogna aggiungere una notevole prestanza fisica. Già allora era quasi una spanna più alto di me e poteva esibire una corporatura visibilmente molto atletica, per via dell'assiduità con cui praticava sport quasi ogni giorno. Ci si poteva accorgere anche solo dal suo modo di fare e dalla sua postura che era un tipo estremamente sicuro di sé, disinibito, piuttosto espansivo, con una personalità forte e prorompente e un carisma ammaliante. Godeva di un'ottima reputazione anche tra gli insegnanti, tanto che il suo rendimento scolastico era assolutamente eccellente e non ebbe difficoltà a farsi eleggere rappresentante di istituto e intrattenere ottimi e proficui rapporti con il corpo docente. Eppure, chi lo conosceva da vicino, giurava che fosse uno stronzo senza eguali. Neanche a dirlo, dietro aveva la fila: nel nostro istituto, era il sogno impossibile che popolava le fantasie di praticamente tutte le giovani studentesse, e non solo. Si diceva che si fosse passato più o meno ogni ragazza tra quelle considerate più ambite, senza mai legarsi stabilmente a nessuna, perché giustamente, potendo permetterselo, preferiva svolazzare di fiore in fiore. Insomma, nonostante fino a quel momento io non avessi mai avuto occasione di rivolgergli personalmente la parola e lo conoscessi solamente per via delle voci che circolavano sul suo conto, il senso di soggezione che provavo nei suoi confronti era considerevole, nonostante lui, con ogni probabilità, non fosse nemmeno al corrente della mia esistenza.
Io mi chiamo Daniel. Quando frequentavo le scuole superiori ero un ragazzino piuttosto chiuso in sé stesso e per indole abbastanza timoroso e remissivo. Avevo giusto un paio di amici con cui ci trovavamo il pomeriggio dopo la scuola a giocare con i videogiochi e studiare insieme. Fisicamente ero gracilino, tendenzialmente emaciato e nemmeno troppo alto. Non avevo avuto alcun tipo di esperienza con l'altro sesso e ciò contributiva ad incrementare il mio grado di insicurezza. Trascorrevo molto del mio tempo in casa a studiare, anche se i risultati in termini di voti erano poco più che discreti. Fin dal secondo anno di liceo ero segretamente invaghito di una splendida fanciulla di appena un anno più giovane di me di nome Angelina, di una bellezza radiosa, una ninfa dai lunghi capelli color ebano, gli occhi vispi di un cerbiatto e i lineamenti eterei. Dava l’impressione di essere una ragazza riguardosa e riservata. Purtroppo per arrivare a lei c’era decisamente troppa concorrenza. Non ero nemmeno certo che avesse idea di chi fossi e non trovai mai il coraggio di farmi avanti.
La prima volta che ebbi modo di rapportarmi di persona con Adam fu quanto mai inaspettata e del tutto traumatica. Eravamo al penultimo anno di liceo e si era appena disputata la finale del torneo di calcetto dell’istituto, vinta dalla squadra composta dagli studenti della classe di Adam, contro la formazione della mia sezione. Io non ero stato schierato, dal momento che ero stato convocato solo come riserva. Siccome a fine partita tutti quelli che avevano giocato erano corsi veloci negli spogliatoi per farsi la doccia, senza preoccuparsi troppo di rimettere in ordine, il docente di educazione fisica chiese a me se potevo aiutarlo per raccogliere tutto il materiale e riporlo nel magazzino. Quando ebbi portato a termine questa incombenza, la palestra era deserta e mi avviai anche io verso lo spogliatoio per recuperare i miei effetti. Ormai non era rimasto quasi più nessuno nemmeno lì, se non tre ragazzi dell’altra classe, tra i quali c’era anche Adam. Li si sentiva schiamazzare fin da fuori. Sapere della loro presenza e in particolare di quella di Adam fece salire in me un certo senso di inquietudine. In ogni caso entrai e vidi i tre che stavano chiacchierando allegramente mentre si rivestivano. Mi diressi verso la mia postazione, cercando di passare per quanto possibile inosservato, guardando diritto davanti a me. Passai proprio accanto a loro, ma feci di tutto per resistere alla tentazione di voltarmi per sbirciare. Non volevo che si facessero idee strane e non volevo avere problemi. Giunto a destinazione, mi sedetti sulla panca e cominciai e riporre nella borsa le poche cose che avevo precedentemente tirato fuori. Quando stavo quasi per terminare, alzai gli occhi che fino a quel momento avevo mantenuto fissi per terra. Mi accorsi che loro ignoravano totalmente la mia presenza, quasi che non esistessi in quella stanza e continuavano svogliatamente a vestirsi mentre conversavano piacevolmente. Questa nuova consapevolezza mi sollevò e rimasi per un attimo fermo ad osservarli. In particolare, non potei fare a meno di accorgermi che Adam, seminudo com’era in quella circostanza, come mai avevo avuto modo di vederlo prima di allora, appariva come una vera forza della natura, una sorta di prodigio della genetica. Rimasi quasi incantato ad ammirarlo per pochi secondi, ma poi riabbassai nuovamente lo sguardo per afferrare la borsa e guardarmi intorno accertandomi di non avere scordato nulla. Non appena mi alzai per incamminarmi verso l’uscita, sobbalzai nel ritrovarmi davanti il viso di Adam, con i nostri nasi che non distavano più di dieci centimetri l’uno dall’altro. Mi sentii le ossa liquefarsi dentro il corpo, i suoi occhi fissi su di me sortivano lo stesso effetto di una lente d’ingrandimento posta al di sopra una formica sotto il sole di luglio. “Perché mi guardavi il cazzo?”. La sua espressione era seria e impassibile e il tono della voce profondo, penetrante, inquisitorio. A distanza di pochi secondi, a fronte del mio silenzio assoluto, ripeté nuovamente la stessa domanda: “Perché mi guardavi il cazzo?”. Sta volta se possibile, persino con maggiore enfasi. A quel punto, in preda al panico più totale, cominciai a balbettare qualcosa del tipo: “Eh? Cosa? Io non… io non…”. Nel frattempo facevo di tutto per tentare di divincolarmi da quel contatto visivo stritolante, cercando una via di fuga da quegli occhi che mi stavano trafiggendo. Fu allora che la sua mimica facciale improvvisamente mutò e assunse un’espressione tra il disgustato e l'insofferente. Una frazione di secondo dopo, senza nemmeno avere ben chiara la dinamica, mi ritrovai disteso a terra. Credo mi abbia fatto perdere l'equilibrio con un rapido movimento delle gambe, urtandomi e facendomi perdere aderenza con il terreno. Fortunatamente rimasi illeso perché mi afferrò per la maglia col suo braccio poderoso poco prima che potessi impattare con il pavimento. Si chinò su di me e ricominciò a fissarmi negli occhi da distanza molto ravvicinata. Stavolta sul suo viso vidi apparire un sorriso, che una sorta di tensione malefica faceva somigliare più ad un ghigno beffardo. "Visto che ti piace tanto, te lo faccio vedere più da vicino, cosa dici?". Con un movimento scattante si rialzò e si posizionò in maniera tale che io mi ritrovai ad avere i suoi piedi scalzi ben piantati rispettivamente a destra e a sinistra della mia testa, con i suoi talloni che mi toccavano spalle. Io ero paralizzato dalla paura, e non mi azzardai a muovere un singolo muscolo. Dopodiché fece un piccolo balzo in avanti, divaricando le sue possenti gambe, flesse le ginocchia, e in un attimo vidi precipitare verso di me il suo fondo schiena, che in quel momento era rivestito solo di un paio di boxer grigi. Mi ritrovai con il naso piantato tra i suoi glutei tonici e carnosi e potevo sentire distintamente i suoi testicoli caldi che poggiavano sulla mia fronte. "Cosa dici? È abbastanza vicino adesso? Riesci a vederlo meglio". E mentre pronunciava queste parole con tono sarcastico e compiaciuto, cominciò a oscillare lievemente con il bacino avanti e indietro. Udendo le risate sguaiate dei suoi due compari, che nel frattempo avevano assistito a tutta la scena, mi resi conto per la prima volta del grado dell’umiliazione a cui ero stato sottoposto. La stoffa dei boxer, ancora umidiccia dal momento si era asciugato approssimativamente, a tratti mi toglieva il respiro, ma non osai fare nulla per ribellarmi: mi resi allora conto di quanto fossi totalmente incapace di compiere un qualsiasi atto anche solo per tentare di contrastarlo. Avvertii per la prima volta un grande senso di impotenza, che solo più avanti avrei scoperto essere una costante del mio rapporto con lui. Ma ciò che maggiormente mi stupì fu il turbinio di emozioni contrastanti che suscitò in me quella situazione. Se da una parte mi sentivo terribilmente mortificato e affranto, dall'altra sperimentai una sensazione nuova e cui non riuscivo a dare una spiegazione: una sorta di eccitazione acuta e straripante, che partiva dal basso ventre e si irradiava per tutto il corpo, tanto che ebbi un'erezione, che in quel momento sperai con tutto il cuore che nessuno dei presenti notasse.
Nei giorni successivi non proferii parola con nessuno riguardo quanto era accaduto, talmente era forte l'imbarazzo che mi provocava quella vicenda. Ciò di cui ancora non avevo contezza è che quell'episodio fu solo il primo di una serie di soprusi e vessazioni che dovetti sopportare da parte sua nei mesi successivi. Sembrava che in quella prima occasione si fosse reso conto della mia esistenza e pareva avermi preso di mira proprio per via della mia remissività e inettitudine. Era palese che provasse un piacere perverso nell'umiliarmi e nel giocare con il mio senso di insicurezza. In quel frangente, facevo di tutto per evitarlo, al punto che quando mi capitava di scorgerlo in lontananza provavo repentinamente a cambiare direzione senza dare nell'occhio. Se non potevo fare a meno di transitare nelle sue vicinanze, fingevo di non essermi accorto di lui. Per nessuna ragione al mondo volevo incrociare il suo sguardo. Dal canto suo invece, lui non perdeva occasione per infierire brutalmente, approfittando della soggezione che lui stesso sapeva di incutere su di me.

Un giorno accadde che Adam, incrociandomi per uno dei corridoi secondari dell'edificio scolastico, si estraesse di bocca un chewing gum a lungo masticato e con un gesto estremamente lesto e disinvolto me lo spalmò sulla fronte facendo pressione con il polpastrello del pollice. "Ops, scusami, ti avevo scambiato per un palo". Poi un occhiolino, un sorrisetto dei suoi, e chi si è visto si è visto.

In un'altra occasione, durante i mesi invernali, appena dopo l'orario d'ingresso della mattina, mi capitò di dovermi precipitare di corsa nei bagni maschili del piano terra, che solitamente non frequentavo, per evidenti impellenze fisiologiche. Stavo di fronte alla cabina della toilette, attendendo impazientemente che arrivasse il mio turno. Quando si aprì la porta e vidi uscire Adam, mi sentii mancare il fiato. Lui invece, appena si accorse di me, con una calma olimpica mi sfilò il cappello di lana che portavo in testa e se lo ficcò nelle mutande. Per qualche secondo lo strofinò per bene sui geniali prima di prima di tirarlo fuori e ripormelo nuovamente sulla testa, esclamando: "Scusami, avevo dimenticato di scrollarmi l'uccello. Ora ho risolto, grazie!".

La cosa che più mi provocava frustrazione era vedere come lui in un modo o nell'altro riuscisse sempre a farla franca. Tutte le sue malefatte passavano costantemente sottotraccia, del tutto impunite, e la sua ottima considerazione sociale non veniva minimamente scalfita. Consideravo tutto questo profondamente ingiusto.

Gli anni del liceo terminarono e ognuno prese la propria strada. Io mi iscrissi all'università in una città a diversi chilometri di distanza dal mio paese di origine. Ero sollevato all'idea che Adam non avrebbe più avuto modo di tormentarmi. Ero anche vagamente rammaricato per non essere riuscito in nessun modo ad avvicinarmi ad Angelina e a ritagliarmi la mia seppur misera occasione.

Trascorsero circa tre o quattro anni. Io mi ero trasferito nella città dove studiavo e tornavo a casa solo occasionalmente nei fine settimana. Era un venerdì sera tardo-primaverile, e me ne stavo stravaccato sul sedile dell'interregionale che mi stava riportando alla mia città di origine, al termine di una settimana sfiancante di studio in vista degli esami. Completamente immerso tra i miei pensieri, fissavo la luce delle abitazioni che si rincorrevano fuori dal mio finestrino. Ero esausto, ma tutto sommato mi sentivo sereno. Il treno si arrestò in una stazione parecchio affollata. Osservavo disinteressato il fluire delle persone che salivano e scendevano dalla mia carrozza. D'un tratto mi parve di intravedere qualcosa che mi fece gelare il sangue. Pensavo e speravo di aver visto male, ma guardando meglio mi accorsi di aver visto tremendamente bene. Era proprio lui, Adam. Non avevo idea di cosa ci facesse lì, non avevo più avuto sue notizie. Sta di fatto che stava salendo sulla carrozza dove mi trovavo io. Mi volta immediatamente verso il finestrino e cercai di farmi piccolo piccolo, per rendermi invisibile. "Ehi! Ma guarda un po' chi c'è qui!". Avrei voluto evaporare. Mi voltai e risposi con una smorfia appena accennata di finta sorpresa: “Ehilà”. Ma ne uscì un’esclamazione debole e quasi strozzata. “Ti ricordi di me? Frequentavamo lo stesso liceo!”. Quella domanda mi lasciò perplesso. La risposta era così scontata, che mi sorse il dubbio che si stesse prendendo gioco di me. E poi perché quel tono così affabile, allegro e cordiale? Con me non si era mai approcciato in quel modo. In ogni caso risposi: “Certo che mi ricordo”. “Vedo che c’è un posto libero, non ti dispiace se mi siedo qui, giusto?”. A quel punto maledissi il momento in cui avevo deciso di prendere quel treno, ma ormai ero lì e feci di tutto per apparire impassibile: “Prego, siediti pure”. In ogni caso quasi non feci in tempo a rispondere, che già stava appoggiando tutti i suoi bagagli. Dopodiché si mise bello comodo sul sedile accanto al mio. Mentre sistemava le sue cose io lo osservavo di sfuggita, e nonostante il profondissimo stato di disagio che mi provocava la sua presenza, non potei fare a meno di notare che in quei quattro anni era diventato se possibile ancor più bello e affascinante di quanto già non fosse. “Aspetta un attimo… tu ti chiami… ce l’ho sulla punta della lingua… Samuel, giusto?”. “Daniel” lo corressi io. “Ah certo, certo! Daniel!”. Ci fu qualche istante di silenzio e solo allora capii che forse sarebbe stato meglio che anche io fingessi di non ricordare il suo nome con certezza: “Tu invece Adam, giusto?” “Già! Allora ti ricordi!”. E sfoggiò subito uno di quei suoi sorrisi splendenti ed ammalianti. Continuavo a fare una tremenda fatica a mantenere il contatto visivo con lui, ma stranamente non riuscii a scorgere in lui alcun segno di malizia. Mi sembrava davvero sincero, addirittura quasi ingenuo. Iniziò a raccontarmi diverse cose su di sé. Mi parlò dell’università che stava frequentando, tra le più prestigiose ed esclusive a detta sua, e, a quanto pareva, con ottimi voti. Mi spiegò che nonostante i molti impegni non aveva abbandonato la sua vita da sportivo, anzi, andava quasi quotidianamente in palestra o in piscina. "Doversi allenare a volte è un po' una rottura di coglioni. Ma poi arrivano i risultati e pensi che ne è valsa la pena. Dovresti provare anche tu!". E mentre lo diceva contrasse il bicipite per darmene prova. Infine mi raccontò delle feste universitarie e delle sue innumerevoli conquiste amorose: in pratica non trovava fisicamente il tempo di uscire con tutte quelle ragazze! "Ma dimmi qualcosa di te adesso. Come te la stai passando?". Rimasi interdetto. Addirittura si interessava della mia vita? Ero confuso. Ma forse era veramente cambiato. Gli feci una panoramica breve e sbrigativa sulla mia vita, cercando di rimanere il più possibile sul vago. Fosse stato per me, in due minuti me la sarei cavata, ma fu lui che continuava a sollecitarmi ad andare avanti con continue domande, commenti puntuali, consigli appassionati e battute divertenti neanche troppo scontate. Insomma, non era la classica conversazione forzata, che nasce e prosegue solo per coprire l'imbarazzo del silenzio, destinata ad arenarsi per l'esaurirsi degli argomenti. Lui mostrava un magnetismo e un carisma che ti spingeva ad aprirti senza troppe remore. Piano piano mi sciolsi, fino ad arrivare al punto che mi sentivo rilassato e perfettamente a mio agio con lui. Giunsi persino al punto di fargli delle confidenze personali, che non ero solito lasciarmi sfuggire neppure con i miei amici più intimi. Stavamo discorrendo da circa due ore e sentivo che stava nascendo una certa complicità tra di noi, che forse, se coltivata, sarebbe potuta diventare addirittura una vera e propria amicizia.
- "Be', a figa come stai messo tu?"
- "Lasciamo perdere."
- "Ma come? Vuoi scherzare? È la cosa più importante. Quand'è stata l'ultima volta che hai timbrato il cartellino?"
- "Mmm... be' ecco... Diciamo che..."
- "Non vorrai mica dirmi che non hai ancora..."
Mi guardai attorno con circospezione per timore che qualcuno ci stesse ascoltando. Poi feci cenno affermativo, con aria sconsolata.
- "Porca puttana! Ma qui bisogna intervenire subito! Non puoi andare avanti così!"
- "Già. La fai semplice tu."
- "Ascolta. Lascia che ti dia una mano. Sinceramente, credo di non avere eguali in questo campo. Stai parlando con il migliore. Sai quanti miei amici hanno rimorchiato grazie a me? Credo di avere perso il conto."
- "Boh. Il fatto è che non saprei proprio da dove cominciare."
- "Vuoi scherzare? Ci sono qui io apposta. Anzi, già che ci siamo ti faccio vedere una cosa. Ho in ballo una cosa con due tipe. Due gran fighe devo dire. Forse le conosci anche tu perché frequentavano anche loro il nostro liceo. Ecco qua."
Non potevo credere a quello che stavo vedendo. Era proprio Angelina! Nella foto stava insieme a Diana, una delle sue migliori amiche, ed entrambe indossavano abiti decisamente succinti, mentre si esibivano pose provocanti, probabilmente davanti allo specchio del bagno di qualche locale. Erano entrambe ragazze oggettivamente stupende, non per niente già al liceo erano tra le più ambite. Ma nei confronti di Angelina, a distanza di alcuni anni, provavo ancora un'attrazione particolare. E rivedermela lì, in quel contesto, ebbe un effetto detonante. Rimasi senza parole.
- "Be', cosa mi dici? Non te la faresti una di queste?"
- "Magari. Il fatto è che non ho nessun tipo di esperienza con ragazze di questo livello"
- "Per questo ci sono io. Con me hai la garanzia di successo assicurato al cento per cento"
- "Ma cosa avevi in mente di fare?"
- "Domani sera avevo in programma una festicciola intima nel giardino di casa mia. Io e loro due."
E mentre pronunciava "festicciola intima" ammiccò.
- "Se ti aggiungi anche tu è l'occasione perfetta. Mi ringrazierai per il resto dei tuoi giorni."
- "Sarebbe davvero fantastico. Anche se devo dire la verità, l'idea mi mette addosso un pochino d'ansia"
- "Te la faccio passare io l'ansia domani sera. Anzi, ci penseranno loro, vedrai!"
Riprese in mano il telefono e mi mostrò nuovamente la foto.
- "Dai, quale delle due ti piacerebbe?"
Con una punta di imbarazzo e preda dell'eccitazione che iniziava a montare dentro di me, indicai Angelina.
- "Ah! buongustaio! Si vede che te ne intendi! Dai che domani il passerotto prende il volo! Batti il pugno se ci stai!"
Sapeva essere estremamente convincente. Battei il pugno. "Evvai!" Esclamò tutto soddisfatto. "Ho una cosa per te." Dal portafogli tirò fuori un paio di profilattici e me ne porse uno sorridendo. "Offre la casa." Io lo afferrai ringraziando e ricambiando il sorriso.

A quel punto il treno era quasi arrivato in città. Ci scambiamo i numeri di cellulare. Usciti insieme dalla stazione ci salutammo con la confidenza di amici due amici di vecchia data. "Ehi! Per domani sera mi raccomando. Vestiti come si deve. Chiamami se vuoi qualche consiglio! Dai che sei forte!"

Arrivai a casa che ero al settimo cielo. Non mi sembrava vero tutto quello che mi era capitato su quel treno, al punto che temevo di svegliarmi da un momento all’altro. Poteva veramente essere un punto di svolta epocale per me. Dopo tutto ora stavo con Adam, stavamo dalla stessa parte, e Adam, si sa, ottiene sempre ciò che vuole. Sentivo che con lui niente sarebbe stato impossibile o precluso a priori. Vedevo davanti a me spalancarsi un'infinità di nuove prospettive e opportunità, fino a poco tempo prima del tutto inattese e insperate. A stento riuscivo a frenare la mia mente dal fantasticare oltre misura e rimanere ancorata alla realtà del momento. Già prefiguravo come sarebbe stato poter finalmente a coronare il mio sogno adolescenziale con Angelina e magari riuscire addirittura a colpire nel segno già l'indomani sera. Quanto sarebbe stato tutto così magnificamente perfetto! L'adrenalina che mi scorreva dentro quasi non mi fece chiudere occhio.
Trascorsi il giorno seguente quasi interamente a prepararmi per la serata che mi attendeva. Andai dal barbiere, comprai dei vestiti nuovi adatti per l'occasione, mi lavai e mi rasai le zone intime. Chissà che magari non sarebbe servito davvero! Durante la giornata tempestai Adam con una moltitudine di messaggi, e lui ebbe modo di darmi diversi consigli su come vestirmi e su come prepararmi.

Mi recai presso la villa dove abitava la famiglia di Adam verso le nove e mezza di sera. Era in una zona isolata, riservata, dispersa tra i campi di granoturco, lontana da altre abitazioni e da occhi indiscreti. Il tepore di fine maggio era ideale per trascorrere una serata spensierata in un prato di campagna, tra i profumi dei melograni in fiore. Venne Adam ad aprirmi, magnifico come sempre, con un sorriso ancor più luminoso del solito. Come da programma, i suoi non erano in casa. "Ecco il mio uomo! Allora cosa mi dici? Sei carico? Le tipe devono ancora arrivare. Vieni che finché aspettiamo ci facciamo una birretta!". Ci accomodammo su delle poltroncine nella parte posteriore del giardino della casa. Chiacchierammo per circa mezz'ora, sorseggiando dell'ottima birra fresca in lattina mentre aspettavamo. Quando si udì il campanello suonare, il cuore mi balzò in gola, ma feci di tutto per non darlo a vedere. "Si va in scena!" esclamò Adam mentre correva verso la porta d' ingresso. Rimasi seduto lì fuori ad aspettare che mi raggiungessero. L'attesa era snervante. Nel frattempo ascoltavo le loro voci in lontananza mentre si salutavano.
- "Ecco le mie principesse! Avete fatto buon viaggio?"
- "Lasciamo perdere, Adam. Venire qui in mezzo al niente è un casino. Speriamo almeno ne sia valsa la pena."
- "A fine serata se non vi riterrete soddisfatte potrete chiedermi il rimborso!"
Man mano che sentivo i loro passi avvicinarsi l'adrenalina cresceva. Quando le vidi apparire rimasi folgorato per il loro aspetto incantevole ed incredibilmente avvenente allo stesso tempo. Diana, bionda naturale, alta e slanciata, indossava dei jeans estivi decisamente troppo corti per una serata elegante e una maglietta bianca legata con un nodo sopra l'ombelico. Dal suo modo di fare si capiva subito che era una ragazza spavalda e consapevole dei propri mezzi. La mia attenzione tuttavia si focalizzò soprattutto su Angelina, che mi appariva ancor più meravigliosa di quanto non la ricordassi. Quella sera portava un paio di leggings scuri, con dei raffinati ricami in pizzo che lasciavano intravedere scorci della sua pelle vellutata. Indossava poi un top color porpora, senza spalline, abbastanza aderente da metterne in risalto le forme abbondanti ma delicate. Il carattere schivo e introverso, associato a quella bellezza più unica che rara, le conferivano una grazia senza pari. "Lui è Samuel... Ma che dico, scusate, volevo Daniel ovviamente! Forse lo avete incrociato a scuola qualche volta." Quel lapsus mi infastidì, ma feci in modo che non si notasse e salutai le ragazze provando ad emulare la disinvoltura con cui si atteggiava Adam.

Tra battute, scherzi, risatine, discorsi semiseri e una gradevole musica di sottofondo, la serata non esitò a decollare, sospinta anche dal tasso alcolico che andava crescendo. Io tentavo di inserirmi nelle varie discussioni con alterna fortuna. Era evidente, quanto ampiamente preventivabile, che le ragazze pendessero dalle labbra di Adam, al punto che lo assecondavano in tutto e per tutto. Era lui che in qualche modo dirigeva lo svolgersi della serata e io mi aspettavo che da un momento all'altro fosse lui a dare la svolta necessaria per coinvolgermi maggiormente e fare in maniera tale che il tutto prendesse la piega da noi tanto auspicata. Ma non stava accadendo. Ad un certo punto trascorsero almeno cinque minuti nei quali mi sentii totalmente escluso. Adam sembrò accorgersene ed interrompendo il discorso che stava portando avanti, rivolgendosi a me, esclamò: "Ehi Samuel! Sono finite le birre! Che ne dici di fare una capatina in cucina a fare rifornimento mentre finisco di raccontare questa storia alle ragazze?" Aveva sbagliato di nuovo il mio nome. Per di più mi trattava come un inserviente. Dovetti sforzarmi parecchio per controllare il mio nervosismo, ma feci semplicemente un cenno di assenso e mi alzai per dirigermi in cucina. Passò un'altra buona mezz'ora e il canovaccio rimase pressoché lo stesso. Mentre ce ne stavamo seduti sulle poltroncine, a formare una sorta di semicerchio, con il padrone di casa al centro ed io e le ragazze sui due diversi estremi, mi accorsi che Adam si protese verso Angelina e Diana per sussurrare loro qualcosa nell’orecchio. Era veramente troppo. Stavo per scoppiare. Ma poi vidi che quando ebbe finito si allungò anche verso di me, facendomi un gesto per chiedermi di avvicinare a mia volta l'orecchio alla sua bocca. Quando fu abbastanza vicino, esplose in rutto talmente potente e fragoroso che potei percepire il retrogusto di birra inondarmi le narici. Le ragazze si sbellicarono dalle risate. "Non te l'aspettavi eh? Dovresti vedere la tua faccia!" E intanto mi batteva energicamente la mano sulla spalla, come a voler dire di non prendermela troppo. Dal canto mio, feci di tutto per provare a replicare con un sorriso, ma mi riuscì solo parzialmente. Ero troppo deluso e amareggiato. Cominciai a pensare che lui potesse avermi ospitato solo per prendersi gioco di me e rendermi lo zimbello della serata. Nei minuti successivi iniziai a maturare dentro di me la convinzione che accettare quell'invito era stato un errore fin dall'inizio. Pensai che ero stato dannatamente stupido ed ingenuo a ritenere che potesse andare diversamente da così. Decisi di andarmene. Di punto in bianco mi alzai e rivolgendomi a tutti dissi: "Vi ringrazio per la splendida serata, ma credo proprio di dover scappare via. So dov'è l'uscita, non vi disturbate ad accompagnarmi". "Oh non credo proprio" replicò prontamente Adam, mantenendo tuttavia il suo tono amichevole e allegro, "dove pensi di andare? Non se ne parla neppure. Adesso inizia la parte interessante! Vieni qui con me che ci divertiamo, dai!" Mi afferrò per le braccia, e mi trasse sé con fare scherzoso, ignorando i miei tentativi di resistenza, costringendomi di fatto a sedermi accanto a lui, nella sua stessa poltroncina, che era abbastanza spaziosa per ospitare due persone, seppur non in maniera non troppo comoda. Mi cinse le spalle con il suo braccio vigoroso, per tenermi stretto a sé. Poi iniziò a parlare a gran voce rivolgendosi a Diana ed Angelina: "Dovete sapere che il nostro caro Samuel non vede figa da quando è nato e stasera è venuto qui per via di una mia promessa che gli ho fatto. E sapete che mantengo sempre le promesse. Quindi adesso noi due maschietti ce ne stiamo qui seduti belli comodi a guardarvi e voi ci fate divertire come si deve. Sono stato abbastanza chiaro?" Sempre più confuso e travolto da emozioni fortemente contrastanti tra loro, ero totalmente immobilizzato e non avevo idea di come comportarmi. Pensai che Adam doveva essere completamente ubriaco, eppure non mi pareva avesse bevuto così tanto. Intanto le ragazze si scambiarono uno sguardo pieno di complicità, Diana corse ad alzare leggermente il volume della musica, mentre Angelina spegneva qualche luce per creare la giusta atmosfera. Poi si lasciarono andare a balli sensuali ed estremamente disinibiti, pochi metri davanti a noi. Iniziarono anche a baciarsi passionalmente ed a spogliarsi vicendevolmente. Nel giro di pochi minuti avevano addosso solamente il completo intimo, mentre continuavano a danzare e a palparsi l'una con l'altra con fare provocante. Avevano entrambe due corpi mozzafiato, perfetti in ogni dettaglio, straordinariamente avvenenti. "Non trovi siano stupende?" Mi sussurrò Adam. Io, che non ero mai stato tanto eccitato in vita mia, non riuscii nemmeno a dargli una risposta. "Ragazze, venite più vicine, non riusciamo a vedere bene" ordinò Adam, e le ragazze si posizionarono a non più di mezzo metro dalla nostra postazione. Ero teso come una corda di violino. Da un certo momento, si voltarono entrambe, e continuarono a ballare dandoci le spalle, così che noi potessimo ammirare da vicino i loro deliziosi sederini. "Non ti capita di vedere questa roba tutti i giorni, eh?" mi disse Adam, e nel frattempo protese il braccio in avanti per tastare con mano. "Questi sì che sono culetti di qualità, belli sodi proprio come piacciono a me!" Ero letteralmente sconvolto, ma sta volta l'eccitazione era talmente incontrollabile che prevalse e allungai anche io la mano. Adam se ne accorse subito e con uno scatto rapidissimo mi bloccò afferrandomi il polso. "Ehi, ehi, calma! Chi ti ha detto che puoi toccare?" Non ci stavo capendo più nulla. Ero molto perplesso. Adam, sorridendo, proseguì con la sua solita flemma, scandendo bene le parole, come se stesse spiegando una nozione ad un bambino: "Vedi Samuel, il punto è proprio questo: tu non puoi toccare. E sai perché? Be', devi sapere che esistono due categorie di maschi: quelli che possono fare e quelli che guardano e basta". Ascoltando quelle parole mi sentii mancare la terra sotto i piedi. Poi riprese: "Allora, facciamo un test per vedere se hai afferrato il concetto. Chi si scopa lei adesso?" E indicò Diana. Siccome me ne stavo zitto, mi incalzò ripetendo nuovamente la domanda. A quel punto risposi sottovoce: "Tu". "E chi si scopa lei invece? Pensaci bene, mi raccomando". Questa volta stava indicando Angelina. Ebbi un attimo di esitazione, poi sommessamente bisbigliai: "Sempre tu". "E tu cosa fai?" In un primo momento non seppi cosa rispondere, poi dissi semplicemente: "Io guardo". "Bravo. Vedi che hai capito qual è il tuo ruolo!" C fare paternalistico e fintamente compassionevole mi sorrise e mi diede un paio di carezze sulla nuca. Poi improvvisamente scattò in piedi esclamando: "Allora bambine, cosa dite? Ci diamo una mossa? Il mio pisello non si succhia mica da solo!" e mosse un mezzo passo in avanti, quel tanto che bastava per ritrovarsi in mezzo a loro due, mentre con un ampio e scenografico movimento di entrambe le braccia schiaffeggiò i loro fondo schiena che risuonarono all'unisono. Le trasse a sé e iniziò a slinguazzarle senza alcun ritegno. Mentre le baciava, le loro sottili e leggere manine percorrevano irrequiete e frenetiche il suo corpo, palesando un desiderio quasi irresistibile, fino a quando non gli sollevarono la maglietta, come a volerlo implorare di liberarsene. Lui non tardò ad accontentarle e mise in mostra un fisico d'adone che tolse il fiato a tutti i presenti, me compreso. Dopo qualche altro scambio di baci, le loro attenzioni si concentrarono sull'unica parte di quel corpo semidivino che era rimasta loro preclusa, ma che era anche la più importante. Iniziarono a tastargli insistentemente la patta dei jeans, per stimare la dimensione della virilità che vi era celata e sollecitarla a manifestarsi. Adam si limitò a poggiare i palmi nelle mani sulle loro spalle esercitando una lievissima pressione verso il basso, come a voler suggerire loro di inginocchiarsi. Quando i loro occhi si ritrovarono alla stessa altezza dell'oggetto dei loro desideri, Adam lasciò che fossero loro stesse a spogliarlo dei pantaloni e ad abbassare i boxer. Fece dunque il suo ingresso in scena il protagonista assoluto della serata. Era una verga maestosa ed imponente, quasi già completamente eretta, che allo stesso tempo destava stupefazione e incuteva un senso di riverenza a chi se la ritrovava di fronte. Diana e Angelina erano estasiate al cospetto di quella meraviglia. La prima che ci si fiondò sopra fu Diana, confermando di essere la più coraggiosa e intraprendente delle due. Dapprima ne inumidì la punta con la lingua, dopodiché iniziò a cercare di ingoiarne quanto più riusciva. Arrivava a stento a metà. Adam si lasciò andare ad un sospiro di puro compiacimento. Diana ci diede dentro per qualche decina di secondi, quanto bastò per non scocciare eccessivamente Angelina che attendeva trepidante il suo turno. Quando il testimone passò di mano, Angelina cominciò a succhiarlo con una bramosia e una spudoratezza che non ci si aspetterebbe da una ragazza tanto posata e a modo. Mentre la sua bocca era intenta a dare piacere, le sue dita solleticavano delicatamente l'addome scolpito e le cosce possenti. Andarono avanti per qualche minuto alternandosi e scambiandosi di continuo quel portentoso scettro di carne.

Io ero pietrificato. Osservavo quello spettacolo a pochissimi metri di distanza. Ero sgomento, ma anche in balia di un’irrefrenabile eccitazione, tanto che mi ero infilato una mano nelle mutande per darmi piacere, sperando che nessuno lo notasse, indaffarati com'erano. Purtroppo non fu così. "E tu cosa stai combinando?" mi chiese Adam sornione. "Ti stai divertendo lì nel tuo angolino? Lo sai che non è molto educato fare le cose di nascosto quando si sta in compagnia?". "Non lo faccio più" farfugliai io, colto del tutto alla sprovvista. "Vieni qui" mi intimò lui. "Ho detto che non lo faccio più. Lo prometto". "E io ho detto che devi venire qui, altrimenti ti vengo a prendere io!". Terrorizzato, mi alzai e lentamente mi avvicinai. Quando me li ritrovai davanti, le ragazze erano ancora devotamente impegnate nella loro attività, come se nulla fosse. Adam fece loro cenno di fermarsi. Poi rivolgendosi a me: "Avanti, spogliati. Fai vedere a tutti con cosa ti stavi divertendo". Mi sentii morire dentro: "No, dai. Non lo faccio più ho detto". Lui era irremovibile: "Spogliati". Iniziarmi a denudarmi, cercando di resistere alla vergogna e all'imbarazzo che mi stava divorando. Anche se non li vedevo, potevo sentire la pressione dei loro i loro sguardi fissi su di me. Arrivò il momento di abbassarsi gli slip. Esitai, poi con un gesto secco e veloce, come a voler strappare un cerotto nella maniera più indolore possibile, me li feci scivolare ai piedi. La prima cosa che si udì, fu il tentativo mal riuscito delle ragazze di soffocare una risatina schernitrice. Effettivamente la scena era impietosa, soprattutto per via della comparazione che era inevitabile: i due falli si trovavano uno di fronte all'altro, entrambi ancora quasi completamente in erezione, ma quello di Adam sovrastava il mio per dimensioni fino a più che raddoppiarlo. Alzai gli occhi per non dover guardare e mi trovai davanti l'espressione entusiasta e galvanizzata di Adam, che invece guardava eccome, e si compiaceva di quella che era a tutti gli effetti la rappresentazione plastica del suo stato di superiorità. "Ma tu veramente pensavi di presentarti qui con quel cosino e che io ti facessi scopare? Be', vecchio mio, tu sei veramente un concentrato di sfighe inverosimile. Io posso fare tante cose, ma non faccio i miracoli". Ascoltavo quelle parole e mi rendevo conto che erano così vere da risultare ovvie. Come avevo potuto anche solo per un secondo immaginare di poter davvero combinare qualcosa? Con delle ragazze del genere poi. Era tutto così scontato fin dall'inizio. "Ascoltami, è evidente che scopare non è una cosa per te. Ma non ti devi preoccupare. Magari sei portato per altre cose... Che ne so... Succhiare ad esempio... potresti provare, che ne dici?" Sta volta Diana e Angelina si lasciarono andare ad una risata sonora. L’intento di Adam era chiaramente quello di infierire ed umiliarmi ulteriormente. Eppure dentro di me, in quello stato di degradazione totale, sentii emergere una strana pulsione sessuale che mi spingeva ad assecondarlo e ad ubbidirgli in tutto e per tutto. In fondo lui aveva ampiamente dimostrato di essere il maschio dominante, meritava un riconoscimento da parte mia della sua supremazia e io ormai non avevo più nessuna dignità da dover difendere davanti a loro. In quegli istanti confusi e irrazionali decisi di abbandonarmi totalmente all’istinto e seguire quella che avevo capito essere la mia vera natura di maschio sottomesso. Così, senza dire una parola, mi inginocchiai. Gli occhi Adam si accesero per lo stupore e le ragazze lanciarono esclamazioni divertite di sorpresa. Quando lo presi in mano, ebbi modo di constatare quanto fosse effettivamente enorme. Rimasi ad ammirarlo per pochi secondi. “Lo sapevo che eri un succhiacazzi. L’ho capito fin dalla prima volta che ti ho visto. Be’ dopo, già che ci sei dammi una bella lustratina anche alle palle.” Ne infilai in bocca quanto potevo, non molto a dire il vero. Il suo sapore intenso di maschio era inequivocabile, mi rimase subito impresso. Alzai gli occhi verso l'alto. La vista che mi si presentò era sublime: dapprima il corpo statuario di Adam, che da quella prospettiva appariva ancor più imperioso, poi, più in alto, il suo volto angelico che mi osservava, beandosi dello spettacolo della mia spontanea sottomissione. Ero talmente eccitato, che quasi mi estraniai dal contesto in cui mi trovavo e non mi resi neanche conto che mentre con la bocca succhiavo, con la mano libera avevo cominciato a masturbarmi. Diana se ne accorse e inveì contro di me: "Ehi sfigato! Hai finito di segarti quell'insulso pisellino di cui non frega niente a nessuno? Non hai ancora capito che qui l'unico cazzo che conta davvero è quello che hai davanti alla faccia? Dimostragli più rispetto e concentrati su come soddisfarlo!" Aveva perfettamente ragione, la mia era stata una disattenzione grave. Dovevo riuscire a controllare meglio il mio corpo perché il pieno appagamento sessuale doveva essere prerogativa esclusiva di Adam. Spettava solo a lui, non a me. Mi portai le braccia dietro la schiena e continuai a succhiare. Poco dopo fu lo stesso Adam ad interrompermi: "Vedo che te la stai spassando alla grande, ma se non ti dispiace io adesso andrei avanti con loro. Altrimenti poi se la prendono con me, capisci? Se ti va di continuare ad usare la lingua ci sono i miei piedi, quelli li lascio a te, ok?" Non me lo feci ripetere due volte e mi ci precipitai. "Sì ma aspetta un attimo, cazzo! Dammi il tempo di sedermi!" Si accomodò stravaccato su una poltroncina e fece cenno alle ragazze di raggiungerlo. Loro gli montarono addosso e ricominciarono a baciarlo con una passionalità via via più intensa. "Avete preso la pillolina bambine?" "Sì, sì" assicurarono entrambe. "Ottimo, perché stasera non ho proprio voglia di gomma attorno al cazzo". Nel frattempo io cominciavo a prendere confidenza con il suo sudaticcio e odoroso piede sinistro. Nel giro di pochi minuti, le ragazze si spogliarono dei pochi indumenti che ancora celavano le loro grazie, per offrirle in dono al loro maschio, che si trovava completamente immerso in questa dimensione paradisiaca. Una per volta, le ragazze si disponevano a gambe divaricate al di sopra del carnoso obelisco e con movimenti sinuosi si facevano penetrare. Nei loro mugolii libidinosi si poteva avvertire il piacere dirompente che si insinuava nelle loro membra. Chissà per quanto tempo avevano bramato quel corpo.

Alcuni minuti più tardi, Adam decise che era arrivato il momento di prendere in mano le redini del gioco e si alzò in piedi. Sta volta io mi feci subito da parte per non essere in alcun modo d'intralcio. Condusse Diana e Angelina sull'erba fresca e soffice del prato. Le fece posizionare carponi, una di fianco all'altra, con il bacino anteverso, in maniera da esporre il più possibile le loro candide intimità. Lui si collocò in ginocchio dietro di loro. Quello che si trovò ad ammirare era uno spettacolo che non poteva lasciare in alcun modo disinteressato un maschio eterosessuale. Era un banchetto succulento, magnificamente imbandito, che aspettava solo di essere consumato. Ed era tutto per lui. Proprio quando meno me l'aspettavo, si rivolse a me: "Samuel, vieni qui". Mentre mi parlava, non distoglieva lo sguardo dalle sue due prede inermi. "Chi ti ha detto di smettere di leccare? Dai su, cerca di renderti utile e di dare un senso alla tua presenza". Io non proferii parola, ma in realtà, non aspettavo altro. Mi sentivo sinceramente onorato di poter dare il mio contributo alla causa e che lui stesso lo considerasse in qualche modo non indifferente. Silenziosamente mi accovacciai e ubbidii all’ordine che mi era stato impartito. Mentre la mia lingua percorreva ossequiosamente le piante dei suoi piedi, Adam prese finalmente a castigare a dovere le due fanciulle. Prima una, poi l'altra, le alternava di continuo, in un impeto passionale via via sempre più travolgente, al punto che faticavo ad inseguire i movimenti dei suoi piedi. Andò avanti per un tempo indefinito, sempre con maggior intensità, fino a giungere ad un tripudio di pura potenza sessuale. Il suo corpo emanava una vitalità prorompente. Sembrava ardere in lui un fuoco inestinguibile, una fonte di un'energia inesauribile. Non smettevo di leccare e intanto osservavo quei muscoli luccicanti imperlati di sudore che riflettevano la luce lunare e seguitavano a pompare con una forza apparentemente sovraumana e con una regolarità degna di una macchina perfetta. Rimasi ipnotizzato ad osservare quei testicoli da toro che oscillavano ad ogni colpo di bacino. Presto persi il conto degli orgasmi procurati alle due ragazze, che non riuscivano minimamente a contenere le loro grida di godimento. Improvvisamente, mentre Adam ci stava dando dentro con Angelina, tutti ci rendemmo conto che il momento topico della serata stava per arrivare. Adam aveva alzato i giri del motore e la smorfia che gli si disegnò sul viso suggeriva che il piacere stava per prendere il sopravvento. Distese in avanti il busto e abbracciò Angelina, come a volerla possedere interamente, mentre lei, completamente trasfigurata dalla passione erotica, lo implorava: "Ti prego Adam! Vienimi dentro! Ne ho tremendamente bisogno! Ho bisogno di sentirlo dentro di me!" Adam assestava colpi sempre più vigorosi e decisi. Nel giro qualche istante lasciò che il godimento più estremo ed assoluto pervadesse il suo corpo e si abbandonò ad un orgasmo prolungato e massimamente soddisfacente, che gli fece riversare abbondanti fiotti di seme caldo e denso nelle cavità di Angelina, la quale accolse entusiasta nel suo ventre quel genoma perfetto e preziosissimo tanto anelato. Potevo avvertire il piede di Adam contorcersi tra le mie mani per gli spasmi di incontenibile piacere. Restammo tutti in silenzio per contemplare la sacralità di quell'attimo in cui la potestà di Adam si manifestava in tutta la sua magnificenza. Adam aveva vinto. Come sempre. Ed era giusto così. Avrei voluto essere il suo Samuel in eterno.

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2022-03-11
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