Un bar vuoto, una bottiglia di spumante e uno spigolo.

Scritto da , il 2020-12-31, genere dominazione

Sono un insegnante di musica al liceo. Ogni giorno, dopo le ore di scuola, vado a mangiare in un ristorante in centro a Firenze.
Mangio spesso solo. Mi piace. Mi metto davanti al vetro e guardo la gente passare. Mi immagino storie, mi innamoro, mi perdo nei miei pensieri. Molto spesso mi annoio e basta.
Ma (e questo è un ma che porta molte conseguenze) oggi vedo passare un culo. È perfetto, fa la piega mentre la gamba si stende e ha una forma armonica, tonda. Mi fa tornare in mente molti ricordi, alcuni fumosi. Esco come in trance dal ristorante e inseguo quel culo. Fermo la proprietaria anche se non so con certezza il perché. La mia è una grande sensazione di possibilità.
Le vedo il volto.
– Aurora!
– Pietro!
È lei, è quella ragazza che al liceo ha impostato il mio ideale di bellezza.
Il suo viso non è cambiato di una virgola, ha sempre gli occhi di colori diversi (uno azzurro e uno marrone) e quel viso ben definito con labbra carnose e un non so che di ispanico, forse latino. I suoi seni sembrano sempre rinchiusi in abiti troppo stretti, sempre sul punto di uscire fuori. I suoi capelli neri le cadono lisci sulle spalle e sulla schiena.
Ci abbracciamo. La sua vita è asciutta e sinuosa.
– Cosa fai in giro? Hai tempo per un caffè? – le chiedo.
– Certo! Vieni, ti porto io in un posto.
E ci incamminiamo insieme. Dio mio, come cammina! Nel suo vestito attillato posso vederla ancheggiare con grazia.
Mi porta in un posto da sogno. È un caffè all’ultimo piano di un palazzo. Aurora si muove dietro il bancone e chiacchiera con i baristi che la salutano per nome.
– Vieni spesso in questo posto?
– A dire la verità, è mio.
– Cosa?
– No be’, in realtà non è proprio mio mio. È del mio ragazzo.
– Immagino sia geloso di te. Tutti i ragazzi che hai avuto, sin dal liceo, erano dei cretini gelosi che non sapevano neanche parlare. Non dovrei essere qui.
– Sì, è geloso. Col tempo non sono riuscita ad affinare le mie scelte. Ma almeno ho questo posto. Rimani, ti prego. – L’ultima frase l’ha detta mettendomi la mano sul petto.
Così ci sediamo e parliamo per un po’ dei tempi passati e del nuovo ragazzo di Aurora.
– Al liceo eravamo molto legati. – mi dice lei a un certo punto. È una mia impressione o sta giocando con i suoi capelli?
– Sì, lo eravamo.
– E credo che tu, Pietro, sia stato la mia prima, vera, cotta.
Lo so bene, penso.
– Ma non hai mai voluto avere una relazione con me. Mi hai ferito. – Ormai è sicuro, si è abbassata la zip del vestito e si protende verso di me a braccia conserte. Riesco quasi a vederle i capezzoli.
– Io ci provavo in tutti i modi a eccitarti. Mi strusciavo il seno sul tuo braccio facendo finta di dormire a lezione, mi sedevo su di te mettendo il culo sul tuo cazzo e, facendo finta di essere sbadata, lasciavo uscire un capezzolo dal reggiseno. Ma tu niente, non mi hai mai cagato. Per una donna è frustrante.
Mentre parla si morde le labbra, sorride e inclina la testa di lato. Io ho un’erezione tremenda nei pantaloni ma non voglio cedere a lei. In ogni caso, è già mia.
Mi alzo e con calma mi dirigo verso il bancone. Non c’è nessuno.
– Sono tutti in pausa pranzo, Pietro.
Si è alzata anche Aurora e viene verso di me.
– Non c’è nessuno in questo bar?
– Siamo soli.
Quale cazzo di bar chiude per la pausa pranzo?
Aurora è davanti al bancone, io dietro.
– Mettiti sul bancone. – le dico di getto – Sdraiati.
Lei obbedisce e si sdraia a pancia in su. Io ho un'idea in testa, di quelle sporche, da film.
– Che ne dici se stappiamo una bottiglia? – Prendo la più costosa bottiglia di spumante che trovo e la apro. Lei ride, si abbassa ancora di più la zip. Non porta il reggiseno e i capezzoli le escono fuori già turgidi. Mi avvicino a lei con la bottiglia fumante in mano.
– Apri la bocca.
Lei obbedisce e tira fuori anche la lingua. Le verso dall’alto lo spumante che le finisce in gola e sul viso. Poi scendo, continuando a versare, sui seni. Lo spumante le scivola sulle curve e sui capezzoli formando bollicine. Aurora rabbrividisce e ha un gemito. Il vestito bianco si bagna. Scendo ancora, verso la pancia, verso la vagina, verso le gambe. La bagno del tutto. Quando la bottiglia finisce l’appoggio accanto al suo viso.
– Ciuccia la bottiglia. – e lei la ciuccia con gusto.
Mi slaccio i pantaloni facendo uscire il pene. È gonfio, con le vene pulsanti. Lei vorrebbe accanircisi subito, ma io la blocco.
– Esci in terrazza e resta nuda.
Lei si alza e, di nuovo, obbedisce. Si toglie il vestito fradicio e lo lascia cadere in terra poi, senza voltarsi, cammina verso la terrazza. Il culo umido si muove con grazia, i seni al vento sembrano ancora più belli.
Io la desidero con tutto me stesso. Tutti i momenti passati al liceo, tutte le strusciate, ogni singola carezza mi torna in mente grazie ai suoi discorsi. È stata molto abile, non posso negarlo. Ma non sarà lei a dominare il rapporto.
Esco anche io in terrazza col pene all’aria. Lei mi aspetta seduta sopra un tavolo, a gambe scoperte. La figa è già umida e gocciola umori sul tavolino nero. Senza troppa eleganza la prendo per la vita e la tiro su, poi inizio a baciarla. Sento la sua lingua cercare la mia, esplorare la mia bocca, succhiare le mie labbra. Mi divora il viso.
La spingo verso il basso e le ficco il cazzo in bocca, poi la scopo con forza. Tengo i capelli bagnati con una mano e con l’altra le spingo la nuca verso di me. Lei fa dei versi e si sgrilletta. Lo tiro fuori dopo qualche minuto e glielo sbatto in faccia. Un po’ di pre-sperma le finisce sul viso e lei lo lecca vorace.
Ma poi succede una cosa. Lei mi spinge e io, sorpreso, perdo l’equilibrio. Faccio qualche passo indietro per rimanere in piedi ma urto una sedia e casco in terra. C’era un tavolino prima del pavimento e io, nella mia sfortuna, ci sbatto una tempia. La vista mi si annebbia e sento sapore di sangue in bocca. Provo rabbia, un vero e proprio furore verso Aurora, ma non ho voglia di muovermi, ho male alla testa.
Tanto avrà preso paura, penso. Invece no, lei si mette sopra di me e sento il mio cazzo penetrarla. Come lo infila, lancia un urlo selvaggio. La mia erezione non è diminuita con la rabbia, anzi, forse è aumentata. Aurora cavalca il mio pene e gode. Mi sbatte il seno in faccia e mi morde il collo per trattenere le grida. La sento salire e scendere con sempre più violenza e velocità e le sue urla si fanno più acute.
Sembra non essersi resa conto del mio stato di semi incoscienza. Con la testa pulsante mi tiro su e me la premo addosso. Siamo entrambi seduti e io ho i suoi enormi seni in faccia. Li mordo e le stritolo i capezzoli, vorrei quasi strapparglieli. Lei urla, questa volta per dolore, ma non frena la sua cavalcata. Ora basta.
Mi alzo in piedi, barcollando. La prendo e la giro, sbattendola sul davanzale. Tiro entrambe le sue braccia, inarcandola. Lei dice un sommesso “Ahia!”, ma è quasi un gemito di piacere.
Affondo il pene nel suo culo facendo prima attenzione, poi con violenza, e la penetro profondamente. Vista da dietro sembra una dea, ha le fossette sopra il culo a mandolino e i capelli neri, lunghi e bagnati le sussultano sulla schiena. La penetro a lungo, tenendole sempre le braccia tese, sentendo i suoi gemiti aumentare sempre di più finché non viene in un rantolo cieco di piacere. Continuo lo stesso lasciando le braccia e prendendole il viso. Le metto quattro dita in bocca e sento le sue labbra succhiare. Le sue gambe tremano e perde quasi la voce, ma continuo a spingere. Non riesce quasi a gemere perché ha le mie dita in gola, ma sento le mani annaspare in cerca di un aiuto. Il mio cazzo è sempre più gonfio, sempre più pieno, e faccio appena in tempo a toglierlo e girare Aurora davanti a me. Ha il viso rigato e il trucco è colato. Le infilo il cazzo in bocca e sborro più e più volte. Dopo essere venuto la metto in piedi e le bacio ogni centimetro del viso.
Il mondo comincia a comparire di nuovo. Il tempo a scorrere. Le gambe di Aurora tremano ancora mentre si riveste. Io mi sento male, ho mal di testa e ho paura di quello che Aurora può dirmi. Mi rivesto lentamente, senza dire una parola. Aurora è in cucina dietro al bancone che ancora gocciola spumante. Beve un bicchiere di Whiskey e fuma una sigaretta.
– Posso averne una anche io? – chiedo dall’altra parte del bancone. Lei me la passa. La accendo e tiro una lunga, lunghissima boccata. Sembra di rinascere, mi sento più ottimista.
– Allora, cosa di pensi di dire al tuo ragazzo di questa scopata?
Lei mi guarda un po’ stupita. – Quale ragazzo?
– Ma come, il tuo. Mi avevi detto di averne uno.
– Ah, sì?”


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