Mosto

di
genere
etero

Giornata al termine, la porta di casa che si schiude, il calore delle mura domestiche, la protezione dalla routine del mondo esterno dal quale isolarsi, le chiavi nello svuotatasche sul tavolino nell'ingresso, i soprabito sull'attaccapanni, le scarpe che volano via dai piedi senza vedere neppure le mani.
Scalza ti muovi, a liberarti d'ogni orpello che ti copre, che ti rende presentabile al Mondo, canotta e slip, il massimo che ora ti è dato sopportare, i passi nudi sul pavimento di marmo sino al bagno.
L'acqua che scroscia, tu che aspetti le volute di vapore che arriveranno, ed arrivano, dalla doccia, slip e canotta nel cesto, l'abbraccio dell'acqua calda e avvolgente, la stanchezza che scorre via insieme ad essa, il confortevole tocco pervasivo della spugna calda, i capelli corti ed umidicci che frizioni, mentre ti avvi in camera per indossare una semplice vestaglia.
C'è ancora tempo per la cena, curiosi nel frigorifero indecisa, poi spazi con lo sguardo i piani della credenza, su cui spicca un sontuoso grappolo d'uva su un piatto.
Lo scorrere dei tuoi pensieri, devia, cancella ogni immagine, lenta ti avvicini, ipnotizzata dalla perfezione di quei chicchi tra il verde e l'oro, perfetti nella loro ovale levigatezza rilucente.
“Bastardo!” pensi tra te e te, mentre si apre un breve sorriso, e pensosamente i denti compaiono ad imprigionare il labbro inferiore.
Solo qualche giorno fa ero li con te, in quella bolla di tempo che ci contiene quando il Mondo smette di riguardarci, ad attardarci nell'ignorare convenzioni, orari e regole, troppo occupati a saziarci l'uno dell'altra per avere maggior fame.
Le bocche che smettono di rincorrersi solo per pascersi d'altri sapori, affondate nei nostri sessi, tenerezza, furia, desiderio che si alternano senza un ordine preciso, che comunque non avrebbe successo o importanza.
Adoro guardarti indossare la mia camicia, non tanto per nasconderti al mio sguardo, che nulla ignora di te, quanto per portare il mio odore indosso, sulla tua pelle mai paga di attenzioni.
Ha quasi del misteriosamente miracoloso, il nostro semplice scambiarci sorrisi e sguardi, mentre ognuno dei due prepara un abbondante carbonara, senza interromperci per saltarci addosso.
Due maturi adolescenti che vivono una breve tregua di una tempesta ormonale o forse due adulti che si riservano per esaurirsi con maggiore veemenza più tardi?
Il pasto consumato con gusto, parlando di frivolezze, studiando l'uno il viso dell'altro, aspettando l'insorgere del segnale che metta fine a questa tregua.
E quel piatto a centro tavola, ricolmo di uva bianca, dolce ed invitante.
Sei tu a riprendere l'iniziativa, maliziosa e malandrina, nessuna sorpresa nelle tue intenzioni, curiosità su quale sarà la tua strategia.
In quella camicia sei superba, non so quanto resisterò prima di afferrarti per spalancarla, magari facendo saltare alcuni bottoni... forse è proprio quello che vuoi.
Ma non vuoi rendermi le cose ovvie, il tuo fulmineo inginocchiarti per insidiarmi sotto il tavolo palesa, più che tradire, le tue vere intenzioni.
Ho appena il tempo di percepire il calore del tuo fiato, prima di essere ingerito, mangiato da te; il mio cazzo semieretto scompare tra le tue labbra, le mie mani corrono ad afferrarti i capelli.
La tregua è finita, nell'offensiva della maestria della tua bocca, in pochi minuti mi porti all'estasi, mi scosto con la sedia dal tavolo quel tanto che basta per guardarti il viso, per vedermi scomparire tra le tue labbra e riemergere lucido di saliva come un naufrago boccheggiante d'ossigeno.
Se ti lasciassi fare, nello spazio di pochi attimi ancora, mi troverei ad inondare il tuo viso o la tua bocca come decine e decine di altre volte, ma non voglio arrendermi così facilmente.
La presa sui tuoi capelli è salda, la uso per strappare il mio cazzo al gorgo delle tue labbra, costringerti a risalire dalla tua posizione.
Cedi, non senza lottare, la tua golosa lussuria rinuncia malvolentieri all'epilogo che volevi estorcermi, ma rapida trovi posizione a cavallo delle mie gambe, le mani corrono ad impossarti della mia asta per imprigionarla nuovamente dentro te.
Labbra differenti, ma non meno spietate, tornano a fagocitarmi.
Le nostre bocche si uniscono, assaporo la turgidità delle tue labbra rese tali dal pompino, un suono di piccoli oggetti rimbalzanti sul pavimento, i bottoni della mia camicia, un epilogo scontato?
C'è ancora margine per nuovi finali, allungo la mano e spicco un chicco dal grappolo, è un acino grosso e oblungo, lo porto tra noi, lo accosto alle tue labbra.
Mentre lo tengo con due dita, lo sfrego tra quelle turgide onde rosa della tua bocca, poi inizio delicatamente a spingere.
“Non morderlo, succhialo come il mio cazzo!”, il tuo sguardo brilla di curiosità e sorpresa.
Da quella consumata meravigliosa pompinara che sei, non ti sottrai, anzi... mi guardi guardarti nella tua maestria.
Qualunque puttana sarebbe capace di infilarsi in bocca una banana simulando un pompino, ma farlo con un chicco d'uva richiede malizia; la mia richiesta raccoglie i suoi frutti, sento la tua fica stillare sul mio plesso solare, bagnare le palle correndo verso il basso, sento l'asta stretta tra le tue contrazioni, sei eccitata e forse stai già godendo delle tue contrazioni sull'asta che ti incerniera a me.
Sei cotta a puntino, “Mordilo ora!” ti ordino mentre ti strizzo un seno con la mano libera.
L'acino resiste brevemente ai tuoi denti, poi letteralmente ti esplode in bocca, scoppiando come un palloncino e liberando la lussuriosa dolcezza della sua polpa dolce e succosa.
Mentre questo accade con una spinta di reni muovo un affondo dentro di te.
Prendo un altro acino e ricominciamo, la prima di molte altre volte...

Ora sei seduta, stai guardando da alcuni minuti l'uva, poi stendi una mano per spiccarne un acino dal grappolo, mentre l'altra lenta ed insorabile scende tra le cosce.
di
scritto il
2020-10-18
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